E’stagione di guerra su molti quadranti del mondo. Gravi rischi si addensano e non ci abbandonano neppure a ferragosto. Proprio il 15 agosto abbiamo partecipato ad una toccante riflessione collettiva nella cattedrale di Pitigliano durante i funerali di Simone Camilli morto a Gaza mentre svolgeva il suo lavoro di serio professionista. Colpiva la commozione e il raccoglimento di tutti: il ramo d’ulivo in mano ai genitori e alla moglie portato da Gerusalemme, le bandiere palestinese e israeliane l’una accanto all’altra, tutta la comunità silenziosa e commossa insieme ai colleghi ed al direttore dell’agenzia Associated Press: ”appena l’ho visto al lavoro a Beirut –ha detto- gli ho offerto il primo contratto, per trasformarlo subito dopo a tempo indeterminato. Era un ragazzo eccezionale, una perdita per tutto il giornalismo”. Le tragedie del mondo è importante saperle raccontare, è dovere di un bravo giornalista che spera in cuor suo che il lavoro professionale così delicato e rischioso possa contribuire ad una presa di coscienza delle opinioni pubbliche di tutti i Paesi e sconfiggere le guerre, ogni guerra. Una invocazione per la pace, forte come un grido di preghiera l’ha levata papa Francesco dalla lontana Corea del sud. Terra separata da decenni da quella del nord, protagonista ricorrente di un clima di tensioni, provocazioni e minacce: due missili a corto raggio sono stati lanciati nel mare del Giappone ed a nessuna delegazione di giovani coreani è stato consentito di recarsi a Seoul. Di fronte ad un milione di coreani che l’hanno ascoltato in un silenzio impressionante, il Papa ha spiegato la ragione della santificazione di tanti numerosi martiri coreani che avevano accettato il sacrificio della vita perché la loro fede si fondava sul principio di fratellanza, cuore del messaggio cristiano. Che è fondamentalmente –ha detto il Papa- messaggio di accoglienza dell’altro in condizione di reciprocità e di parità. Valori questi irrinunciabili per la fede di ogni credente, ma che vanno difesi e diffusi per ogni uomo indipendentemente dalle convinzioni culturali e religiose. Tanto più per la Corea del tempo, divisa profondamente e rigidamente in classi sociali. Sono soprattutto i giovani che devono farsi portatori di questa visione del mondo e fare –ha concluso il Papa- della propria vita un fattore di sviluppo e di crescita pacifica per l’umanità intera. Un pensiero finale il Papa l’ha riservato in particolare ai cristiani che soffrono nel nord dell’Iraq ed ad ogni popolazione privata dell’abitazione e di ogni minima possibilità di esistenza. Il Papa resta un vero punto fermo per la ricerca della pace, sulla frontiera del richiamo religioso e di fede autentica, ma vale crediamo anche sul terreno etico civile e tutti i governanti e leader del mondo dovrebbero ascoltarlo e seguirlo di più.
(16 agosto 2014)