La nuova legge sull’immigrazione di Obama.

Obama, ha sfidato gli oppositori ad approvare una legge che riformi in via definitiva il sistema dell’immigrazione.

Il Congresso si divide Obama sfida il Congresso sull’immigrazione. Nel corso di un discorso tenuto ieri alla Casa Bianca il presidente degli Stati Uniti ha sostenuto le sue idee per provare a convincere gli americani sullo spinoso tema degli immigrati non regolari.

Era notte in Italia mentre Obama esponeva, in modo dettagliato, il suo piano per offrire permessi di soggiorno e lavoro a circa 3,7 milioni di persone senza documenti, genitori (in gran parte) di cittadini e residenti statunitensi. Obama, quindi, ha sfidato gli oppositori ad approvare una legge che riformi in via definitiva il sistema dell’immigrazione. Ha citato sia la Bibbia sia G.W. Bush, chiedendo a tutti una visione più compassionevole della questione immigrazione negli Stati Uniti, una decisione di “buon senso” che permetterà agli immigrati irregolari di venire fuori dall’ombra e di mettersi a posto con la legge.

Per ragione pratiche il presidente ha spiegato che un’espulsione di massa degli oltre 11 milioni di immigrati irregolari “sarebbe sia impossibile sia contraria alla nostra indole”. L’obiettivo semmai sarà quello di concentrare le risorse per rinforzare le guardie di confine. Questa decisione, per molti versi “storica”, arriva a due anni di distanza dalla sua promessa, pronunciata poco dopo la rielezione, di attuare una riforma del sistema dell’immigrazione per offrire un percorso più semplice a chi intende ottenere la cittadinanza e non è un immigrato regolare.

Intanto il presidente della Camera John A. Boehner afferma: “Ignorando la volontà del popolo statunitense, il presidente Obama ha dato nuova conferma dell’eredità che vuole lasciare, fatta di illegalità e sperperi, cosa che lo rende ancora meno credibile”. E rincara: “I Repubblicani non hanno altra responsabilità che confermare il loro giuramento quando hanno assunto i loro incarichi parlamentari. Non ci sfileremo dal nostro dovere. Ascolteremo la popolazione, lavoreremo con i nostri colleghi e proteggeremo la Costituzione”. Secondo i funzionari della White House Obama ha tutto sotto controllo e riuscirà a tenere fede al proprio impegno. Staremo a vedere.

L’ultima sfida di Obama si preannuncia ad ogni modo difficile. Il piano, ampiamente anticipato nei giorni scorsi, prevede che gli immigrati irregolari che sono genitori di cittadini statunitensi e di residenti negli Stati Uniti possano essere legittimati solo se hanno vissuto nel paese per almeno cinque anni, a partire dal primo gennaio 2010.

Le garanzie contro l’espulsione sono di un anno più lunghe rispetto a quanto già fissato dal governo di Obama con un altro programma, iniziato nel 2012 e indirizzato ai più giovani, noto come Deferred Action for Childhood Arrivals (DACA).

Lo stesso DACA sarà rivisto per offrire tre anni di garanzie e sarà applicato per gli immigrati non regolari arrivati negli Stati Uniti a partire dal primo gennaio 2010, e non più dal 15 giugno 2007. È anche prevista la realizzazione di un tipo di visto per i migranti che possono documentare di essere interessati a investire economicamente negli Stati Uniti e per gli impiegati del settore tecnologico.

Il segretario del Dipartimento della Sicurezza Interna, Jeh Johnson, nel frattempo, produrrà nuove linee guida per le agenzie governative che si occupano di immigrazione spiegando nel dettaglio le nuove regole. Johnson chiuderà anche un programma piuttosto discusso chiamato “Comunità sicure”, che richiede alle forze di polizia locali di fermare gli immigrati arrestati fino a quando i loro casi non vengono esaminati dagli agenti federali dell’immigrazione. Questo sistema sarà sostituito con una nuova soluzione grazie alla quale i migranti arrestati dovranno sempre dare le loro impronte digitali, ma in compenso spetterà alle agenzie locali decidere se informare quelle federali per un’avvenuta violazione della legge sull’immigrazione.

Insomma la macchina operativa è pronta, il presidente Obama si accinge ad affrontare l’ultima sfida di politica interna, con la speranza che dal fronte internazionale giungano “solo” buone notizie e non si aggravi la situazione in Medio Oriente.

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