Dopo la caduta del dittatore Siad Barre nel 1991 la Somalia è precipitata nel caos e una strisciante guerra civile ha contribuito ad alimentare alcune organizzazioni integraliste, come gli al-Shabaab (giovani, in arabo) di cui molto in questi giorni si è parlato a proposito della strage nel campus universitario di Garissa, in Kenya. Si formano negli anni Novanta quindi e iniziano a definirsi come organizzazione integralista nel giro di poco tempo nel corso, soprattutto, dell’insurrezione contro le truppe etiopi.
Queste ultime cercarono di penetrare in Somalia nel 2006 per ribaltare l’Unione dei Tribunali Islamici, con l’aiuto degli Stati Uniti, che controllavano Mogadiscio. Stati Uniti che erano già intervenuti nell’area nell’ambito dell’operazione Restore Hope (1992-1993) a fianco dei ribelli e degli alleati occidentali. Ma è il 2009 che segna l’anno della svolta per al-Shabaab che afferma la spregiudicata alleanza con al-Qaida che poi li integrerà ufficialmente nella propria rete terroristica nel 2012.
Un anno prima (2011) vengono costretti a ritirarsi dalla capitale Mogadiscio dai soldati dell’Unione Africana (Amisom) e perdono tutte le loro roccaforti nel paese. Nonostante questo riescono comunque a mantenere il controllo di vaste zone rurali e da qui iniziano a organizzare una serie di spaventosi attentati sia a Mogadiscio sia in Kenya. Nel settembre del 2013 l’assalto al centro commerciale Westgate a Nairobi provoca 67 morti e nel luglio 2010 a Kampala riescono a fare 76 vittime in Uganda, paese finito nel mirino dei fanatici integralisti islamici somali per la sua partecipazione alla missione Amisom.
L’organizzazione conta oggi tra i 5000 e i 9000 guerriglieri e sul sostegno “obbligato” delle popolazioni rurali abbandonate totalmente dal potere centrale. I miliziani somali di al-Shabaab stanno quindi portando avanti un forte reclutamento fra i ragazzi keniani, sconvolgendo le fasce più basse della popolazione, minorenni che vivono in strada e che passano le giornate, per lo più, a raccogliere plastica e rottami da rivendere per comprarsi colla da sniffare e cibo di pessima qualità. Eccole le prede più facili da raggiungere, da Eastleight ed Haruma, quartieri poveri di Nairobi, ma anche da Dagoretti, Pangani e Mathare, alcuni ricevono anche denaro, secondo fonti governative keniane si parla di 1.550 dollari al mese.
L’episodio di Abdirahim, il ragazzo freddato dall’esercito mentre uccideva altri coetanei nel campus universitario di Garissa, dimostra però che il reclutamento si è aperto anche alle fasce più alte della popolazione, scuotendo le coscienze dei politici dell’area. Inoltre gli Shabaab parlano a tutti i giovani con il loro stesso linguaggio, video spot su YouTube e pubblicazioni on line, la scelta poi di utilizzare l’idioma Swahili non è casuale ma punta alla necessità di reclutare quanta più gente possibile dal Kenya. Specialmente dalle zone vicine al confine con l’Etiopia che con la Somalia sta affrontato enormi problemi legati ai cambiamenti climatici.
Le regioni di Mandera e Garissa infatti combattono contro la carestia e siccità, mentre il governo di Nairobi appare lontanissimo e incapace di risolvere anche le necessità basilari della popolazione. Un’assenza, questa, che al-Shabaab sta cercando di colmare con la sua lucida follia, sostituendosi allo Stato.