Nella seduta del 21 maggio la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge anticorruzione, con 280 voti a favore, 53 contrari e 11 astenuti. I sì sono arrivati da Pd, Sel, Scelta Civica, Per l’Italia, Area Popolare e dagli ex 5 Stelle di Alternativa Libera. Contro si sono espressi Forza Italia e M5S. La Lega si è astenuta. Il ddl, approvato senza modifiche rispetto al Senato, diventa così legge. Il testo all’art. 10 reintroduce il falso in bilancio.
Ecco i punti più significativi del provvedimento, che introduce, innanzitutto, una stretta sui delitti contro la Pubblica amministrazione. Viene infatti rafforzato il dispositivo normativo anticorruzione con l’aumento delle pene per i principali reati contro la pubblica amministrazione: peculato (da 4 a 10 anni e 6 mesi), corruzione propria (da 6 a 10 anni) e impropria (da uno a 6 anni), induzione indebita (da 6 a 10 anni e 6 mesi). Quanto alla corruzione in atti giudiziari (da 6 a 12 anni nell’ipotesi base), che è il reato per il quale è indagato Silvio Berlusconi nel processo Ruby-ter, la pena può salire fino a 20 nei casi più gravi. Restano invece invariate le sanzioni della concussione, che viene però estesa anche all’incaricato di pubblico servizio. La legge prevede sconti per i pentiti. Chi collabora potrà infatti godere di uno sconto di pena da un terzo a due terzi. L’attenuante per ravvedimento operoso è riconosciuta a chi si adopera efficacemente per evitare conseguenze ulteriori del delitto, per assicurare le prove e individuare i colpevoli o per il sequestro delle somme trasferite.
A subire un sostanzioso inasprimento è anche il quadro sanzionatorio del 416 bis: da 10 a 15 anni (oggi è dai 7 ai 12) la pena per chi partecipa a un’associazione mafiosa, da 12 a 18 anni (anziché 9-14) per chi la organizza o dirige. Se poi l’associazione mafiosa è armata, si può arrivare per i promotori anche fino a 26 anni di carcere. C’è poi la parte sul falso in bilancio, con le false comunicazioni sociali che tornano ad essere un delitto punito con il carcere. Se la società è quotata, chi commette il falso in bilancio rischia la reclusione da 3 a 8 anni; se non quotata, da uno a 5 anni. Si procede sempre d’ufficio, a meno che non si tratti di piccole società non soggetto al fallimento, per le quali vale una sanzione ridotta (da 6 mesi a 3 anni). Sanzione ridotta anche nel caso di fatti di lieve entità, mentre è prevista la non punibilità per gli illeciti di particolare tenuità.
L’uso di intercettazioni è possibile solo nel falso in bilancio di società quotate. Quanto alla responsabilità amministrativa degli enti, raddoppiano le sanzioni pecuniarie (fino a 600 quote nel caso di società in borsa e a 400 per le non quotate).
Il testo prevede poi la restituzione del maltolto. Nei reati più gravi contro la P.a., infatti, non si potrà più patteggiare se prima non si è integralmente restituito il prezzo o il profitto del reato. In caso di condanna, il colpevole è comunque sempre obbligato a pagare l’equivalente del profitto o quanto illecitamente percepito. La riparazione pecuniaria nei confronti dell’amministrazione lesa è condizione per accedere alla sospensione condizionale della pena. Giro di vite anche sulle pene accessorie, con licenziamento dei corrotti più facile. Per licenziare un dipendente pubblico corrotto basterà ora la condanna a 2 anni di carcere, mentre il divieto di contrattare con la P.a. potrà arrivare fino a 5 anni.
Aumenta il peso dell’Autorità nazionale anticorruzione, che dovrà essere informata dai pm ogni qualvolta si proceda per reati contro la P.a. All’Anac, inoltre, è attribuito il controllo sui contratti extra codice degli appalti (perché segretati per esempio o che esigono misure di sicurezza). Specifici obblighi informativi verso l’Anac sono infine posti a carico delle stazioni appaltanti.