Tra il 20 e il 25 agosto 2018 la Nave Diciotti è rimasta bloccata al porto di Catania con a bordo 177 persone su ordine del Ministro dell’Interno Salvini. Sono stati giorni funesti, pieni di tensioni a livello nazionale ed internazionale con le persone a bordo del natante in gravi condizioni di salute e soggette alle avverse condizioni atmosferiche. Non sono poche le assonanze con i recenti casi di navi piene di richiedenti asilo lasciate in balia del mare in condizioni critiche dal Governo italiano. Però in quel caso erano attraccate al porto, sotto la completa disponibilità e responsabilità dell’Italia. In tutti questi casi il Ministro dell’Interno non si è smentito e ha mantenuto la sua linea dura: “non faccio un passo indietro”. Ma quel 27 agosto, forse a causa del calore del momento, ha anche aggiunto una dichiarazione molto importante: “Non intendo avvalermi dell’immunità!” (citazione ricordata da Pietro Grasso, Leu, sulla prima pagina di Libero del 27 agosto).
Ed è da questa costatazione dei fatti che si vuole partire per analizzare lo stato attuale delle cose. Infatti, Salvini non è nuovo a dichiarare con roboante furore su twitter e in generale sui social network le proprie idee e le proprie intenzioni. Ogni volta con più enfasi ed ogni volta rimarcando il fatto che non è un’ipocrita, che non farebbe mai “un passo indietro” rispetto alle sue dichiarazioni, nonostante tutto ciò che possa accadergli.
Proprio con quest’ultimo concetto ha voluto rimarcare l’orgoglio delle proprie azioni, la mancanza di senso di vergogna di quello che ha fatto in quelle giornate di agosto (e in tutta la sua permanenza al Governo), a seguito della notifica di autorizzazione a procedere presentata dal Tribunale dei Ministri di Catania al Senato della Repubblica italiana. Chissà se si ricorderà ancora di quella dichiarazione fatta il 27 agosto.
È un punto fondamentale, perché il Senato dovrà votare se acconsentire alle richieste del tribunale di iniziare un processo con Salvini indagato oppure se proteggere il proprio Ministro e dichiarare l’immunità. Si badi bene che con quest’atto il Senato appoggerebbe le azioni di Salvini e che quindi riconoscerebbe una responsabilità statale dell’accaduto.
Mentre Salvini comincia a farsi i conti in tasca su chi lo voterà (“sicuro avrò i voti della Lega”) e a raccogliere il popolo del web al suo fianco (“È qualcosa che riguarda non solo la mia persona, ma anche voi”), è bene considerare quanto “questi tre giudici” (cit. Matteo Salvini) hanno scritto nella richiesta di autorizzazione a procedere. È un lungo rapporto di 50 pagine in cui si evidenziano le incongruenze presenti nelle dichiarazioni del Vice Premier con la legge da lui tanto richiamata e definita indiscutibile. In risposta all’art.52 della Costituzione (“La difesa della Patria è dovere del cittadino”) utilizzato dal ministro, il tre giudici togati Nicola La Mantia, Sandra Levanti e Paola Corda, probabilmente più edotti in giurisprudenza, ha risposto con un concetto fondamentale a base della loro richiesta di procedere: “l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme finalizzate al contrasto dell’immigrazione irregolare”. Per quanto riguarda la triste frase di Salvini, “I magistrati non possono bloccare la mia decisione politica di chiudere i porti”, il tribunale ha sottolineato che “le scelte politiche o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati di garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco dei migranti in un luogo sicuro, obblighi derivanti da convenzioni internazionali che costituiscono una precisa limitazione alla potestà legislativa dello Stato in base agli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione”. Una citazione opportuna (questa si) della Costituzione italiana. Ma in particolare i magistrati contestano al ministro di aver “abusato dei suoi poteri privando della libertà personale 177 migranti sulla Nave Diciotti” e di aver “commesso plurime violazioni di norme internazionali e nazionali”. E non sono accuse buttate lì per fare un gran polverone o mosse da meri intenti politici, come al ministro piace insinuare. Infatti, è sufficiente leggere le 50 pagine per comprendere che i giudici hanno scandagliato ogni ipotesi possibile ed ogni scriminante per il ministro, in particolare i tanto amati principi dell’interesse pubblico e della sicurezza nazionale. Però non sussiste alcun margine di applicazione degli stessi in questo caso concreto, poiché “nessuno dei soggetti ascoltati da questo tribunale ha riferito (come avvenuto invece per altri sbarchi) di informazioni sulla possibile presenza, tra i soggetti soccorsi, di “persone pericolose” per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale». Quindi, per concludere, la scelta di bloccare la Diciotti «venne adottata per una volontà meramente politica» del ministro Salvini che oltretutto blocco tutta la catena di comando, rimasta in attesa delle sue determinazioni politiche.
Il risultato finale secondo il tribunale è che “per cinque giorni, i migranti rimasero su una nave ormeggiata sotto il sole, dopo aver affrontato un estenuante viaggio», integrando il reato di sequestro di persona aggravato per il Ministro dell’Interno.
Salvini non ci sta (chissà se ha letto tutto il rapporto) e getta un po di fumo negli occhi tuonando che “Ci riprovano. Rischio dai 3 ai 15 anni di galera per avere bloccato gli sbarchi”. In una sola frase però evidenzia due gravi errori di comprensione, un po grossolani. In primo luogo, categorizza l’ordine dei giudici, senza realizzare che ad agosto fu un tribunale ordinario ad aprire l’inchiesta (terminata con una parziale richiesta di archiviazione) e che da questa sta avendo inizio il processo da parte di un’altra entità, il Tribunale dei Ministri, il quale si occupa dei reati commessi da soggetti pubblici nel corso delle loro funzioni politiche (un livello maggiore di gravità). Secondariamente, le accuse dei giudici non sono generalizzate al suo aver “bloccato gli sbarchi”, come vorrebbe far credere (e che non sarebbe neanche sbagliato far partire un processo, però politico, su questo tema), ma su un preciso caso concreto in cui lui personalmente ha realizzato un reato aggravato di sequestro di persona: il “caso Diciotti” appunto. Da ultimo ha provato anche ad esagerare e a cambiare discorso dicendo: “non sono mica uno stupratore”.
È ovvio che tutta questa opera di propaganda è tesa a discolparsi agli occhi della gente, tentando di divenire un eroe rinascimentale. Il tutto fa presagire lo spettro di una vecchia (neanche troppo) presenza della scena politica italiana, Silvio Berlusconi maestro in questo tipo di manovre politico-popolari.
Probabilmente la crisi per Salvini non si aprirà e riuscirà a sfangarla anche questa volta, utilizzando la benamata impunità come tutti i suoi predecessori politici che si sono macchiati di gravi crimini. Però una domanda già posta continua a prudere l’orecchio: Chissà se si ricorderà ancora di quella dichiarazione fatta il 27 agosto?