CARA Mineo: ha avuto inizio lo smantellamento del primo centro di accoglienza per richiedenti asilo d’Italia

Consiglio d’Europa su chiusura CARA Castelnuovo “mina gli sforzi significativi già fatti per la loro integrazione”

Catania – Ieri 7 febbraio ha avuto inizio la chiusura del CARA di Mineo, il primo in Italia per numeri di richiedenti asilo accolti. I primi 50 (rectius 44, poiché in sei non sono partiti) sono stati dislocati tra alcuni CAS siciliani. Ne saranno trasferiti ancora altri 50 ogni 10 giorni, nel pieno stile di un trasloco. Il ministro Salvini ha dichiarato che entro fine anno sarà smantellata l’intera struttura. Qualche anno fa aveva detto che sarebbe dovuta essere una chiusura immediata. Oltre i corsi e ricorsi storici, rileva in questa situazione la gestione delle operazioni di reinsediamento dei richiedenti asilo sul territorio italiano. Infatti, a differenza di Castelnuovo di Porto (chiusura iniziata il mese scorso) il CARA di Mineo non è mai stato un esempio di accoglienza e integrazione. Piuttosto il contrario a causa dell’altissimo numero di accolti (fino a 3000 persone), senza zone adibiti all’accoglienza dei più vulnerabili (donne sole con figli, minori, famiglie) lontano dai centri abitati e in una struttura simile a una prigione con tanto di forze di armate. Quindi la sua chiusura era ed è auspicabile. Ciò che lo differenzia da Castelnuovo di Porto è, usando le parole della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic, sono “gli ammirevoli sforzi fatti negli anni passati dai servizi sociali per l’integrazione e riabilitazione dei rifugiati” effettuati in provincia di Roma. Ciò che li accomuna, e qui la critica della Mijatovic è feroce, sono l’impedimento al “diritto di accesso all’accoglienza e ai servizi essenziali, come salute e educazione, per i residenti che hanno un permesso di soggiorno per motivi umanitari o per richiesta asilo”. Preoccupano inoltre l’organismo di Strasburgo le “sconcertanti informazioni che indicano che un certo numero di loro sarebbero a rischio di restare senza un alloggio”. Questo è anche quel che è accaduto a quelle sei persone (e alle altre 15 di riserva) che si sono rifiutate ieri di partire col primo pullman da Mineo, senza una dichiarata destinazione finale e con il rischio di finire sperduti chissà dove. Ora riceveranno una revoca delle misure di accoglienza e dovranno arrangiarsi a trovare una sistemazione. E soprattutto rigorosamente in nero, perché infatti la nuova legge (Decreto Salvini) ne impedisce l’iscrizione anagrafica: quindi negato accesso a prestazioni sanitarie ordinarie, scuole e lavoro in regola. La manna dal cielo (o meglio dal Governo) per le organizzazioni criminali in poche parole, in un decreto che millantava di portare “sicurezza” e di essere contro le organizzazioni criminali e mafiose. In chiusura la Commissaria (in questa lettera inviata al Premier Conte il 31 gennaio di cui solo oggi si è conosciuto il contenuto) ha sottolineato “gli sforzi lodevoli del Paese”, ma ha tuttavia richiamato l’Italia e il suo Governo “a garantire che i diritti umani delle persone soccorse in mare non siano mai messi a rischio a causa degli attuali disaccordi tra gli Stati membri”. Parole che ormai risultano tristemente anacronistiche.

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