Era il 5 ottobre quando entrava in vigore il Decreto Sicurezza, il fiore all’occhiello della campagna politica della Lega e del Ministro dell’interno Salvini. Un decreto, promulgato il 1 dicembre nella legge 132/2018, con molte aspirazioni e promesse che hanno fatto gola agli italiani. Una risoluzione sistematica dei problemi economici, lavorativi e sociali, appunto di sicurezza, del Paese, a discapito di una ristretta cerchia di ultimi relegati al ruolo di capro espiatorio. È bene analizzare quanto gli slogan decantati durante le politiche 2018 e promossi durante quest’ultima campagna politica per le Europee 2019 siano divenuti realtà, in particolare alla luce del recente record di incassi, rectius di consensi, ottenuto dalla Lega. Infatti, a parte la materia immigrazione, il programma politico del Carroccio non è mai esploso ed è “probabilmente” l’unico miele che ha attirato e continua ad attirare alle urne gli italiani.
Dopo 8 mesi, dunque, possono cominciare a tirarsi un po’ le somme e costatare quanto questo Decreto Sicurezza abbia influito sulla nostra sicurezza, sulla vita di cittadini e stranieri e sulle nostre “tasche”.
La protezione umanitaria. Il nemico numero uno della campagna di Salvini. Una lotta senza quartiere contro un tipo di protezione “blanda” (2 anni rinnovabile se sussistono le condizioni di rilascio) e residuale (si veda la sent. 4455/2018 della Corte di Cassazione) oltre alle altre forme di protezione internazionale. Quindi un tipo di protezione utilizzata da Commissioni Territoriali e magistrati per venire incontro agli obblighi principalmente Costituzionali del paese e per dare completa attuazione all’art.10 co. 3 della Costituzione stessa. Salvini ha sempre tacciato questa forma di protezione come una sacca in cui finivano tutti criminali e richiedenti che non avevano bisogno di protezione ma che venivano a rubare lavoro e soldi dalle tasche degli italiani mangiando a sbafo nei centri di accoglienza pagati dagli italiani.
Una sequela di erroneità, dovute a un’immensa fame di conquistare la vetta del Paese e una comoda poltrona. Erroneità che hanno però colpito allo stomaco gli elettori, geni informatici quando si tratta di trovare interessi personali su internet e celebrolesi nel ricercare un minimo di fonte di informazione. Ma qualche assist lo ha dato lo stesso Ministro dell’Interno. In particolare, ci si riferisce al numero di stranieri richiedenti asilo in Italia. Prima delle politiche del 2018 erano indiscussamente più di 500.000 solo gli irregolari. A gennaio 2019, erano sempre stati dal 2015 solo 90.000. Vi sono purtoppo notizie che passano in secondo piano e attira di più un selfie in divisa che i numeri girati e rigirati come dei calzini (un po come la questione della Festa della Repubblica rivalutata da “carta igienica per pulirsi il c..o” nel 2009 a un grande festa per tutti gli italiani domenica scorsa, sempre attraverso gli amati social Twitter e Facebook).
Tornando alla protezione umanitaria, sarebbe quindi utile sapere quali fattispecie copriva la stessa. Tra le altre si ricordano le violazioni sistematiche dei diritti umani che non assurgono a persecuzione ma provocano stigma e violenza, il diritto all’unità familiare sancito dall’art.8 CEDU e l’integrazione culturale e lavorativa. Quest’ultima è stata una delle più dispregiate, sebbene l’unica forma di protezione (comprese quella del rifugiato e quella europea) che garantisce il pagamento delle tasse da parte dello straniero (lavora con regolare contratto – altrimenti niente protezione – quindi paga i contributi). Inoltre, uno dei pochi modi per regolarizzarsi in un paese che non permette l’ingresso per motivi di lavoro a quasi tutti i paesi non europei. Dall’oggi al domani quindi si è avuto un forte calo dell’occupazione dei titolari di questo status (al quale ovviamente non è corrisposto un aumento degli occupati italiani poiché soprattutto lavori osteggiati dagli stessi) e la loro contestuale irregolarità sul territorio e impossibilità di pagarsi un affitto. Quindi più gente per le strade e in mano alla criminalità, unica a guadagnarci da questa situazione di insicurezza.
Poi si potrebbe parlare dei casi di madri con figli che si trovano improvvisamente irregolari e senza possibilità di mantenere unita la famiglia. Un caso interessante ed esemplificativo è quello di F.J., madre di 3 bambini, alla quale è stato negato il rinnovo della protezione umanitaria ricevuta diversi anni fa e che non può rientrare nel permesso di soggiorno per motivi di lavoro del marito perché lo stesso non percepisce un reddito sufficiente a far rientrare tutta la famiglia nella sua forma di permesso. L’effetto è quello di una famiglia che verrà spaccata e non potrà più vivere insieme legalmente. Con tutti i diritti che ne conseguono per i figli legati all’istruzione e alla salute, poiché inclusi nel destino della madre per legge.
Ma oltre queste storie magari buoniste e strappalacrime, l’abrogazione della protezione umanitaria ha aiutato l’Italia a risparmiare in soldi pubblici e criminalità?
I numeri parlano abbastanza chiaro anche questa volta. Sempre il nostro beneamato Ministro diceva in campagna elettorale che l’Italia spendeva 5 miliardi per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione umanitaria (si i famosi 35 euro a testa). Ora, tralasciando il fatto che quei soldi erano forniti dall’Europa e che quindi non usciva un euro dalle tasche dell’Italia se non proveniente dal bilancio europeo, mai fu fatto errore più grande. Infatti non tutti sanno che un richiedente asilo una volta ottenuto il permesso umanitario deve uscire dall’accoglienza entro un mese. Invece chi presenta ricorso contro un rigetto della sua richiesta di protezione può permanere nel centro di accoglienza per tutto il tempo del procedimento giurisdizionale. Qual è il risultato? Quel 25% di persone che prima venivano riconosciute titolari di un permesso umanitario e che uscivano dall’accoglienza, oggi rimangono nei centri di accoglienza in attesa che termini il loro ricorso in primo e secondo grado. Ciò significa anni, soprattutto se si considera che i ricorsi presentati da inizio anno sono appunto il 25% in più e hanno intasato i tribunali italiani. Gli stessi stanno riconoscendo inoltre proprio la protezione umanitaria, denominata “casi speciali” ma il contenuto e lo stesso.
Quindi tirando le somme: maggior numero di ricorsi (ognuno può costare migliaia di euro considerando anche il patrocinio per gli avvocati), maggior tempo in accoglienza (i ricorsi durano dai 2 ai 4 anni a causa dell’intasamento dei tribunali, meno tasse pagate, meno diritti per gli ultimi e sempre più manovalanza e soldi nelle casse delle organizzazioni criminali. Sembra insomma tutto il contrario di tutto, ma chissà se tutta questa insicurezza non sia l’unica linfa vitale del partito Lega e il fondamento del futuro Decreto Sicurezza Bis..