n via della libertà a Palermo c’è una targa e ricorda l’uccisione di Piersanti Mattarella, presidente della regione Sicilia. Aveva 44 anni, era salito in auto e stava per andare con la famiglia alla Messa: era il giorno dell’Epifania. Ma a quella Messa non parteciperà mai. Un commando lo uccide con una raffica di proiettili davanti agli occhi della moglie e dei figli. Lo soccorre, inutilmente, il fratello Sergio, attuale Capo dello Stato. E’ la stagione delle morti eccellenti, dei martiri civili. In quegli anni, nelle vie di Palermo, saranno molte le targhe in ricordo delle persone uccise dalla mafia siciliana: Boris Giuliano, Michele Reina, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sono gli stessi in anni in cui Cosa Nostra si fa sempre più violenta e arrogante.
L’azione politica in Sicilia
L’intento di Piersanti Mattarella è semplice: innovare. Ma in una terra come la Sicilia voler riformare lo status quo può trasformarsi in una pericolosa provocazione per chi in quel “si è sempre fatto così” trova terreno fertile per piccoli o grandi potentati malavitosi. Mattarella, da Presidente di Regione, accentua la collegialità dell’azione della giunta, razionalizza le competenze degli assessorati, fissa criteri più severi per la nomina dei dirigenti pubblici. Contrasta la disoccupazione, riduce gli indici di edificabilità dei terreni agricoli, sposta alcuni oneri in capo ai costruttori e non più agli enti pubblici e cambia la legge sugli appalti, favorendo trasparenza e imparzialità. Commissiona inchieste e aumenta i controlli. Si schiera pubblicamente contro la mafia e la commistione di Cosa Nostra con la politica. Nel 1980, a Palermo, queste novità e prese di posizione non sono ben viste da tutti.
L’azione politica nazionale
La Sicilia è sempre stata un laboratorio politico di importanza nazionale e lo è anche in quegli anni: Piersanti lavora infatti ad un’apertura a sinistra del governo regionale, in linea con il suo maestro Aldo Moro: un governo a guida democristiana con il sostegno del Pci che nascerà proprio pochi giorni dopo il drammatico rapimento del segretario della Dc. A tale proposito Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, ricorda come il giorno del rapimento di Moro, Piersanti Mattarella gli confidò: “Non si poteva colpire più in alto; si è mirato al cuore del nostro sistema democratico. E’ finita anche per me. E’ finita anche per noi”.
L’eredità
A noi piace pensare che l’eredità lasciata da Piersanti Mattarella, oltre al forte ricordo della sua azione politica, sia suo fratello Sergio, oggi presidente della Repubblica e che all’epoca è “solo” un giovane professore di diritto. In quel 6 gennaio, però, tutto cambia e Sergio, di sei anni più giovane, prende il testimone dal fratello Piersanti: lì, in strada, con il fratello morente tra le braccia, nel dolore, ma non nella rassegnazione. Ieri il Capo dello Stato si è recato al cimitero di Castellammare del Golfo (Trapani) per ricordare il fratello. Oggi, per ricordare la figura di Piersanti, l’Assemblea regionale siciliana terrà alle 11.30 una seduta solenne a Sala d’Ercole alla presenza del Presidente Mattarella.
L’intervista
Dell’omicidio di Piersanti Mattarella, di come sono cambiate nel tempo le organizzazioni criminali e mafiose, In Terris ne ha parlato con il giornalista Giovanni Grasso, consigliere per la stampa e la comunicazione del Presidente della Repubblica e direttore dell’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica.
Lei
è autore del libro “Piersanti Mattarella. Da solo contro la Mafia”.
Dopo 40 anni, l’omicidio del presidente della Regione Sicilia, è ancora
una ferita aperta?
“La ferita è ancora aperta, certamente. Lo è innanzitutto per i
familiari, che hanno dovuto fare a meno di una presenza centrale nella
loro esistenza. Lo è per i siciliani, che hanno perso uno dei loro
migliori uomini politici e con lui la speranza di un radicale
cambiamento della politica regionale. Lo è per tutti gli italiani:
Piersanti Mattarella era un leader di caratura nazionale, che avrebbe
potuto contribuire grandemente al rinnovamento del suo partito, la Dc, e
di tutto il Paese”.
Quel
6 gennaio del 1980 il Giornale di Sicilia usciva con un’intervista
proprio a Piersanti Mattarella che affermava come “nella società a
diversi livelli, nella classe dirigente e non solo politica, ma pure
economica e finanziaria, si affermano comportamenti individuali e
collettivi che favoriscono la mafia”. E’ ancora così?
“La mafia, rispetto al 1980, ha cambiato pelle e, con essa, interessi,
strategie, modalità di azione. Oggi è un fenomeno transnazionale, che si
occupa principalmente di traffico di droga, di esseri umani, di armi,
di rifiuti tossici. E che prima di sparare, preferisce comprare. La
mafia contro cui combatteva Mattarella era legata principalmente al
controllo del territorio e alla spartizione degli appalti pubblici in
Sicilia. Per questo tenere sotto controllo la Regione Siciliana, che
riversava sul territorio fiumi di denaro pubblico, era così importante
per la mafia dell’epoca”.
Perché Piersanti Mattarella era una persona così “scomoda” per la Mafia tanto da far ordinare il suo omicidio?
“Mattarella praticava l’antimafia dei fatti e non quella delle parole.
La sua azione amministrativa stava incidendo profondamente nella
macchina regionale, rendendo efficienti i meccanismi di funzionamento
amministrativi, introducendo regole, controlli e criteri di massima
trasparenza. Stava tagliando l’erba sotto i piedi della mafia, che trova
terreno fertile proprio nelle inefficienze, nei ritardi, nelle
procedure farraginose, nella discrezionalità delle scelte, nella
mancanza di controlli. E’ chiaro che questo suo modo di operare
confliggeva con gli interessi mafiosi. Ma credo che dietro il suo
omicidio ci sia qualcosa di più, da individuare anche nella sua
decisione di dar vita, in Sicilia, a un governo sostenuto dal Partito
Comunista, in tempi ancora dominati dalla guerra fredda. Credo, insomma,
che un filo comune leghi la morte di Piersanti a quella del suo maestro
Aldo Moro”.
Nel
1995 per il suo omicidio vengono condannati all’ergastolo i boss di
Cosa Nostra. L’ex presidente del Senato e leader di Liberi e Uguali,
Pietro Grasso, alcuni anni fa, esprimendosi sulla vicenda, disse che le
carte processuali avevano fotografato solo la parte superficiale della
storia. Si riuscirà mai a fare luce sull’intera vicenda?
“Come è noto, sono stati condannati gli esponenti della cosiddetta
cupola mafiosa come mandanti dell’omicidio, ma nulla ancora sappiamo
sull’identità del killer che sparò al presidente della Regione Sicilia e
del suo complice. Falcone aveva ipotizzato che a sparare, per conto
della mafia, fossero due terroristi di estrema destra, appartenente ai
Nar, che furono incriminati. Successivamente, dopo la morte di Falcone,
arrivarono le dichiarazioni di pentiti di mafia, come Buscetta e
Mannoia, che esclusero la partecipazione di killer esterni alla mafia,
ma senza fornire alcuna indicazione su chi, allora, avesse sparato.
Sommessamente mi permetto di osservare che la credibilità di un pentito
andrebbe misurata anche dalla sua capacità di rivelare elementi
concreti, utili al disvelamento della verità nelle aule dei tribunali.
Buscetta e Mannoia hanno raccontato notizie, elementi, informazioni
molto concrete sulla mafia, sul suo organigramma, su molti omicidi
compiuti, ma sul delitto Mattarella sono rimasti molto, troppo vaghi”. (di MANUELA PETRINI da www.interris.it)