L’ultimo mese del 2020 in Niger, un paese di 23 milioni di abitanti con scarsissima densità abitativa e enormi distese di deserto, è stato caratterizzato da un’ondata di elezioni, municipali e regionali il 13 dicembre e presidenziali e parlamentari il 27 dicembre. Correva ottimismo sia a livello politico interno per la bassa incidenza di attentati e attacchi da parte di gruppi terroristici (“solamente” 34 morti il giorno il prima delle elezioni del 13 dicembre, a causa di un attacco di Boko Haram nel villaggio di Toumour) sia a livello internazionale, dove si auspicavano delle elezioni per la prima volta pacifiche e senza alcuna transizione violenta.
È infatti necessario precisare due importanti fattori che incidono sulla delicata situazione del Niger. In primo luogo, il Niger è probabilmente uno dei luoghi in cui è presente la più alta concentrazione e differenziazione di gruppi terroristici. Sono attive lungo tutto il Paese organizzazioni estremiste come Boko Haram, il Movimento per l’Unicità e il Jihad nell’Africa occidentale (MUJAO), l’ISIS del Grande Sahara (ISIS-GS), ISIS dell’Africa occidentale (ISIS-WA), Jama’at al-Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM), al-Mourabitoun, Ansar al-Din e l’affiliato Fronte di Liberazione Macina. Queste approfittano dei confini lunghi e scarsamente popolati del Niger e delle regioni desertiche per trasferire combattenti e armi. Reclutano inoltre i propri membri tra le popolazioni al confine, caratterizzate da un quadro economico e governativo fragile unito all’instabilità sociale derivante dal conflitto tra pastori e contadini. Dal canto suo il governo del Niger non è stato mai in grado di contrastare efficacemente queste organizzazioni criminali, essendo contraddistinto da una corruzione endemica, da scarsità di risorse umane ed economiche per le forze di difesa e da una generale instabilità di tutti i Paesi confinanti (Burkina Faso, Libia, Mali e Ciad, su tutti. Le altre regioni del cosiddetto Sahel).
Secondariamente, il Niger non ha mai visto una transizione pacifica del potere dalla sua indipendenza dalla Francia nel 1960. In effetti, dopo ogni elezione vi sono state sempre violenze e colpi di Stato (4) che hanno intaccato la seppur debole forma di democrazia del Paese. A tutto ciò si aggiungano le difficoltà croniche di un Paese dove il tasso di povertà estrema si aggira intorno al 40%, il tasso di fertilità è tra i più alti al mondo (6/7 figli a famiglia) e la corruzione alimenta l’instabilità che comunque caratterizza l’intera regione del Sahel.
A proposito del Sahel, la regione del Niger in cui sono avvenuti gli attacchi combinati che hanno portato alla morte di almeno 100 civili è Tillabéri, conosciuta come “regione dei tre confini” poiché limitrofa a Mali e Burkina Faso e in stato di emergenza dal 2017. Anche per tale motivo è preda di numerosi attacchi terroristici. Nell’episodio del 2 gennaio, due convogli organizzati a bordo di circa un centinaio di motociclette (da inizio anno vigeva il divieto di circolazione di motoveicoli su tutta la regione) si sono recati nei vicini villaggi di Zaroumadareye e Tchoma Bangou (7 km l’uno dall’altro), uccidendo rispettivamente 30 e 70 civili, e ferendone almeno 25. Secondo alcune fonti è stata una rappresagli per l’uccisione di 2 terroristi.
L’attacco è avvenuto nel pomeriggio di sabato, in concomitanza con l’annuncio dei risultati parziali del primo turno delle presidenziali. Al momento è in testa l’ex Ministro degli Interni, Mohamed Bazoum, supportato dal Presidente dimissionario Mahamadou Issoufou e dal partito PNDS-Tarrayya (Nigerien Party for Democracy and Socialism) con il 39,33% dei voti. Qualora dovesse raggiungere il 50% + 1, non si avrebbe, per la prima volta nella storia del Niger, un secondo turno (previsto per il 20 febbraio 2020). È necessario tenere presente che il candidato all’opposizione (dove si sono presentati in 29 candidati) Mahanene Ousmane del partito MNRD-Hankouri (Nigerien Movement for Democratic Renewal) è stato proposto dal partito pochi giorni prima delle elezioni, poiché il candidato principale, Hama Amadou, è stato considerato non idoneo a partecipare alle elezioni poiché condannato a un anno per tratta di bambine dalla Nigeria. Dal canto suo, l’ex Ministro dell’Interno ha promesso, oltre alla lotta alla corruzione e alla maggiore sicurezza rispetto agli attacchi jihadisti, maggiori tutele e diritti (tra cui l’istruzione) in favore delle donne, in un Paese in cui la figura femminile è parecchio bistrattata e dove i matrimoni precoci e forzati sono una prassi. Il tutto coerentemente con le politiche del vecchio governo uscente. Cosa che non fa ben sperare, poiché negli ultimi 10 anni (i due mandati presidenziali per capirsi) sono morte centinaia di persone a causa del terrorismo e sono fuggiti più di 500.000 tra rifugiati e sfollati. Inoltre il Paese ha subito un duro colpo dalla pandemia, poiché la crescita è rallentata e il prezzo dell’uranio (principale prodotto di esportazione) è calato sensibilmente, e dai costanti cambiamenti climatici che stanno rendendo il Paese sempre più povero e invivibile.
Alla fine di questo articolo, ci si potrebbe dire tra sé e sé “va bene, è una bruttissima situazione lo riconosco, ma sono cose che succedono in continuazione e poi anche noi abbiamo i nostri problemi qui in Italia”. Pensiero legittimo sul quale è inutile polemizzare.
Tuttavia non si deve dimenticare l’importanza geopolitica del Niger per l’intera Europa e soprattutto per l’Italia. Infatti per il Niger passa la maggior parte dei migranti e richiedenti asilo che attraversano l’Africa e giungono in Europa attraverso la cosiddetta “rotta mediterranea” (molti sono respinti dall’Algeria nel “point zero”, terra di nessuno e di confine concordata tra Algeria e Niger). Dunque l’instabilità socio-politica di questo Paese, il quale oltre ad essere Paese di transito verso l’Europa è anche Paese di destinazione di numerosi rifugiati (come detto sopra sfollati da parte degli attacchi terroristici) provenienti principalmente dalla dilaniata Regione del Sahel. Breve parentesi sul Sahel. Nell’ultima settimana sono morti almeno 5 militari francesi (parte dei 5.100 uomini dell’Operazione Barkhane) nel confinante Mali, dove si è consumato questo autunno un nuovo colpo di Stato da parte dei militari estremisti.
Dunque la stabilità e il progresso del Niger, come di tutti gli altri Paesi del Sahel (e non solo), sono argomento che dovrebbe un minimo interessarci e sul quale riflettere attentamente, poiché alla lunga condizionante il nostro pensiero anche sulle politiche estere (e nazionali) italiane e europee. Inoltre, anche se in minima parte (purtroppo 100 persone dal lato sbagliato del mondo si identificano facilmente con un numero), potrebbe interessare da un punto di vista prettamente umano.