di Francesco Mazzarella
Nel dibattito politico italiano e internazionale, l’idea di unire i cattolici in un’unica forza politica riemerge periodicamente come una suggestione nostalgica, una sorta di rimedio alle crisi della rappresentanza e ai mutamenti della società. Si tratta di un’operazione che, per quanto comprensibile sotto certi aspetti, rischia di rivelarsi inefficace e persino dannosa, soprattutto in un’epoca di forte polarizzazione.
L’unità politica dei cattolici non solo è un obiettivo irrealizzabile, ma è anche una strategia miope rispetto alle reali sfide della contemporaneità. Oggi, piuttosto che cercare di costruire un partito confessionale o una coalizione strettamente identitaria, il vero compito del pensiero politico cattolico dovrebbe essere quello di promuovere alleanze più ampie e trasversali, capaci di incidere sui problemi reali e di favorire il bene comune.
L’idea di una “casa comune” dei cattolici in politica ha radici profonde nella storia italiana. La Democrazia Cristiana fu per decenni il riferimento principale del voto cattolico, unendo diverse sensibilità sotto la stessa sigla. Tuttavia, quel modello era reso possibile da un contesto molto specifico: il mondo bipolare della Guerra Fredda, la forte influenza del Vaticano, il ruolo centrale della Chiesa nelle dinamiche sociali del Paese.
Oggi quel contesto non esiste più. La società è cambiata profondamente: la secolarizzazione ha ridotto il peso della Chiesa nelle scelte politiche dei cittadini, e gli stessi cattolici si trovano divisi su molteplici questioni, dalla bioetica all’accoglienza dei migranti, dalla giustizia sociale alla laicità dello Stato. Pensare di riunire tutto questo sotto un’unica bandiera politica è una forzatura irrealistica.
Inoltre, la pluralità di sensibilità esistenti all’interno del mondo cattolico rende impossibile definire un’agenda politica coerente e condivisa. Esistono cattolici progressisti e cattolici conservatori, cattolici favorevoli a un maggiore intervento dello Stato nell’economia e cattolici liberisti, cattolici attenti alle questioni ambientali e cattolici più concentrati sulle tematiche etiche. Forzare una sintesi unitaria significa sacrificare una parte di queste visioni, rendendo l’intero progetto inefficace o incoerente.
Un altro problema cruciale è che un partito o un movimento politico dichiaratamente cattolico rischia di rimanere marginale nello scenario politico attuale. La storia recente dimostra come le formazioni esplicitamente ispirate al cattolicesimo abbiano avuto scarso successo. Dai vari tentativi di rifondare una “nuova DC” fino a esperienze come l’UdC o il Popolo della Famiglia, il risultato è stato sempre lo stesso: percentuali elettorali modeste e un’influenza limitata sulle scelte di governo.
Questo accade perché l’elettorato cattolico non è un blocco monolitico: molti cattolici votano secondo criteri che vanno oltre l’appartenenza religiosa, scegliendo i partiti in base a valori più ampi come la giustizia sociale, il lavoro, la lotta alle diseguaglianze, la sicurezza o la difesa dell’identità culturale. Un partito che si presenti come esclusivamente cattolico finirebbe per rivolgersi a una nicchia, senza riuscire a incidere sulle dinamiche politiche generali.
Anzi, in un contesto di polarizzazione come quello attuale, un partito cattolico rischierebbe di diventare un elemento divisivo, invece che un fattore di coesione. Potrebbe venire strumentalizzato da una parte dello spettro politico contro l’altra, perdendo di vista l’obiettivo di lavorare per il bene comune.
Se unire i cattolici in un’unica forza politica è una strategia fallimentare, la strada più efficace è quella delle alleanze ampie e trasversali, basate su valori condivisi piuttosto che su un’identità religiosa specifica.
I cattolici impegnati in politica dovrebbero cercare interlocutori anche al di fuori del loro ambito tradizionale, costruendo ponti con chiunque condivida battaglie di giustizia sociale, di tutela della dignità della persona, di promozione della pace e della solidarietà. Questo significa, ad esempio, lavorare insieme a chi si occupa di diritti dei lavoratori, di ambiente, di lotta alla povertà, di riforma della giustizia, indipendentemente dalla loro fede religiosa.
In un’epoca di frammentazione e conflitti ideologici, l’unico modo per avere un impatto reale è superare i confini rigidi delle appartenenze e costruire percorsi comuni. Questo non significa annacquare i principi, ma declinarli in un contesto più ampio, cercando il dialogo e il compromesso su questioni concrete.
La dottrina sociale della Chiesa stessa offre un modello per questo approccio: non chiede di costruire partiti confessionali, ma di promuovere il bene comune attraverso l’impegno nelle istituzioni e nella società. Il pensiero di Papa Francesco, con la sua insistenza sul dialogo e sulla costruzione di ponti, va proprio in questa direzione.
L’idea di un partito unico dei cattolici può sembrare allettante per alcuni, ma è un’illusione che non tiene conto della complessità della società attuale. In un mondo sempre più polarizzato, la politica non ha bisogno di nuove chiusure identitarie, ma di spazi di dialogo e di collaborazione.
Il vero ruolo dei cattolici in politica oggi non è quello di rinchiudersi in un recinto separato, ma di contribuire alla costruzione di alleanze più larghe, capaci di affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Questa non è solo una scelta strategica, ma anche una scelta morale: significa mettere al centro il bene comune, piuttosto che gli interessi di una parte.
Il futuro della politica cattolica non sta nell’unità forzata, ma nella capacità di essere lievito nella società, influenzando le decisioni pubbliche attraverso il dialogo e l’apertura, piuttosto che attraverso la chiusura in un’identità autoreferenziale.