La forza e il grido di battaglia delle donne afghane, iraniane e statunitensi. Incontro
di Francesca Maccaglia
ROMA
Una delle battaglie principali della società contemporanea è quella sui diritti delle donne e l’uguaglianza di genere. Trovare soluzioni efficaci alla discriminazione contro le donne e alla violenza di genere, non solo sul piano delle leggi, ma soprattutto su quello della cultura e dell’educazione, è diventata una delle questioni più urgenti del nostro tempo. Le donne e le ragazze rappresentano più della metà della popolazione mondiale e subiscono le conseguenze delle crisi umanitarie e dei conflitti, dell’estremismo violento, dell’insicurezza alimentare e della mancanza di cure sanitarie. Nei contesti di conflitto e di fragilità, queste disuguaglianze sono ulteriormente inasprite.
Martedì scorso presso il Villino di Lola Mora Vega de Hernandez, una splendida residenza nota per il suo importante valore artistico e storico, si è tenuta la presentazione del libro di Liliana Faccioli Pintozzi, “Figlie di Eva. La battaglia delle Donne per la Vita e la Libertà in Iran, Afghanistan e Stati Uniti”, un evento a cura di Emanuele Muto e Karol Soprano.
Al tavolo, insieme all’autrice nel ruolo di moderatore, Roberto Sciarrone, addetto stampa di UnitelmaSapienza, e Antonello F. Biagini, Rettore emerito dell’Università La Sapienza di Roma, già docente di Storia dell’Europa Orientale e relatore delle Tesi di Laurea e di Dottorato dell’autrice.
Poco prima di entrare in sala ho incontrato il prof. Biagini e l’autrice alla quale ho rivolto le seguenti domande. Per l’introduzione e la pr
Se ci sono delle similitudini, ci sono anche delle differenze. Quali sono le specificità, le grandi differenze che questi territori coltivano dentro se stessi? Cosa distingue queste culture in cui anche la femminilità è declinata in modo diverso?
Servirebbe un trattato di dieci ore ed io non sono un’esperta delle varie culture; posso dire quello che ho visto, quello che mi hanno raccontato. Ho vissuto tanti anni negli Stati Uniti, sono andata in Afghanistan e ho studiato per scrivere questo libro, perché comunque bisogna sempre studiare prima di scrivere. L’Afghanistan è una sorta di ground zero dei diritti delle donne, è un luogo dove una certa visione della religione islamica si unisce al codice Pashtunwali, che è il codice dell’etnia Pashtun, il quale ha delle solidissime basi, ma vede la donna ancora in un certo modo e poi c’è in più la visione talebana. E’ un luogo, come dice, Zarifa Ghafari, – una delle protagoniste del mio libro, una delle prime donne sindache in Afghanistan quando ancora c’era la presenza occidentale, che ora è rifugiata in Germania – è un luogo dove essere donna è un crimine. L’Iran è un paese dalla cultura incredibile, con un movimento femminista tra i più antichi della storia, dove le imposizioni del regime degli Ayatollah sono arrivate in cima a una società che invece vedeva le donne estremamente attive e dove tuttora le donne studiano, lavorano, quindi non c’è quella componente del sociale così arretrata, c’è una componente di Islam politico molto forte, c’è il regime degli Ayatollah, che ha scelto di fare del velo e delle leggi che accompagnano l’imposizione del velo, una sorta di pietra angolare del suo regime stesso. Gli Stati Uniti sono quello che siamo noi, una società laica, una società dove i diritti sono battaglie quotidiane, dove però stiamo vivendo un arretramento, o così lo vedono le donne americane, che per quel diritto, i diritti riproduttivi nella fattispecie, stanno combattendo, però raccontano un mondo molto più ampio. Non ci sono paragoni, come dicevamo prima, però c’è un filo rosso.
Quanta forza c’è nelle donne? La capacità di fare gruppo delle donne reagendo in questi Paesi alle sopraffazioni, alle violenze. Quali sono i casi più importanti ed emblematici di questo percorso?
Devo dire che tutte le donne che ho intervistato mi hanno impressionata. Da Suraya Pakzad, ora anche lei rifugiata in Germania, è una delle tante fondatrici delle scuole sotterranee a Kabul durante il primo regime dei talebani, donne che hanno rischiato la vita per insegnare a fare due più due alle proprie figlie e ai propri figli, perché il diritto all’istruzione è alla base per poter vivere, per essere delle persone. La stessa Zarifa Ghafari ha subito vari attentati alla sua vita. Masih Alinejad è una giornalista, adesso è rifugiata a New York, una ex giornalista politica, usa i social, viene da una famiglia molto conservatrice ma combatte per quello che lei ritiene essere naturale. Siamo uguali, dobbiamo avere gli stessi diritti. Sono tante le donne che hanno fatto questo libro.
Vorrei soffermarmi su tre capitoli del suo libro in particolare. L’Iran, o del diritto di scegliere; l’Afghanistan, o del diritto di esistere; e, gli Stati Uniti, o del dovere di resistere. Approfondiamo questa differenza.
L’Afghanistan o del diritto di esistere, perché in questo Paese essere donna è un crimine e quindi si afferma il diritto all’esistenza, un diritto primario. Il diritto di camminare da soli, di lavorare, di studiare, di imparare le basi. Il diritto di scegliere per l’Iran, perché chi protesta in Iran non è contro il velo, vuole poter scegliere, vuole dire lo metto o non lo metto. Ciò a cui una donna iraniana è contraria è il fatto che, ad esempio, la sua testimonianza valga meno di quella di un uomo in tribunale, di non avere gli stessi diritti ereditari, lo stesso diritto in caso di divorzio, non poter fare alcuni lavori, eccetera. Quindi il diritto di scegliere come vivere la propria vita. Il dovere di resistere, perché gli Stati Uniti stanno vivendo dal mio punto di vista e da quello che raccontano le donne che ho intervistato, una sorta di involuzione sui diritti delle donne e una mancata espressione di alcuni di questi diritti e quindi è un dovere, perché gli Stati Uniti sono una grande potenza mondiale, sono un Paese di riferimento per molti altri paesi, tra cui anche il nostro, e quindi è un dovere.
Noi possiamo avere fiducia nella capacità di autodeterminazione femminile? Possiamo essere ottimisti che la forza femminile non verrà sconfitta, ma anzi è in piena crescita in questi Paesi di grandi difficoltà?
Sono due domande diverse. Per quanto riguarda l’autodeterminazione femminile, le donne faranno sciocchezze come le fanno gli uomini, sono uguali, non vedo differenza. Tutti gli uomini fanno cose sagge? No. Tutte le donne fanno cose sagge? No. E’ semplicemente la richiesta di avere gli stessi identici diritti. Non dovrebbe neanche essere una richiesta, dovrebbe essere naturale, normale. La fiducia nelle loro capacità? L’Iran ci sta insegnando molto, l’Afghanistan ha tanta strada da fare, i cambiamenti sociali richiedono tempo, però richiedono anche attenzione, ed è quello che cerchiamo di garantire.
Diversi sociologi tra i quali, in particolare, il franco-iraniano Khosrokhavar, sostiene che ormai c’è una differenza troppo grande tra la società iraniana e il regime politico degli Ayatollah. Ha riscontrato anche lei questa differenza?
Assolutamente sì, ma è quella che vediamo anche tutti i giorni a Teheran, è l’ultima ondata di un giro di vite, è il riconoscimento di questo fatto: la società è differente! Una donna che ha una sessantina d’anni mi ha detto: “noi durante la Rivoluzione abbiamo sbagliato, non abbiamo lottato, abbiamo accettato quello che ci veniva imposto, però noi nelle nostre cucine abbiamo cresciuto questa generazione di rivoluzionari”. La società iraniana è una società estremamente colta, aperta, curiosa, sicura di sé, quindi non ha paura. Il regime forse non la rappresenta più in questo momento.
Il libro, edito da Paesi edizioni, è disponibile sia nelle librerie sia on line anche in e-book, si può comprare e leggere e spero sia in grado di dare il suo piccolo contributo a un dibattito che secondo me è estremamente attuale.