Il Rapporto Amnesty International 2014-2015 documenta la situazione devastante per coloro che cercavano di difendere i diritti umani e per quanti si sono trovati intrappolati nella sofferenza delle zone di guerra.
I governi a parole sostengono l’importanza di proteggere i civili, ma i fatti sono altri:
nell’anno della ricorrenza del 20° anniversario del genocidio ruandese, i politici hanno ripetutamente calpestato le regole che proteggono i civili o hanno abbassato lo sguardo di fronte alle fatali violazioni di queste regole da parte di altri;
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è intervenuto ad affrontare la crisi siriana negli anni precedenti, quando ancora sarebbe stato possibile salvare innumerevoli vite umane. Tale fallimento è proseguito anche nel 2014. Negli ultimi quattro anni, sono morte 200.000 persone, la stragrande maggioranza civili, principalmente in attacchi compiuti dalle forze governative.
La crisi in Siria è intrecciata con quella del vicino Iraq. Il gruppo armato che si autodefinisce Stato islamico (Islamic State – Is, noto in precedenza come (Isis), che in Siria si è reso responsabile di crimini di guerra, nel nord dell’Iraq ha compiuto rapimenti, uccisioni sommarie assimilabili a esecuzione e una pulizia etnica di proporzioni enormi.
L’assalto condotto a luglio su Gaza dalle forze israeliane è costato la vita a 2000 palestinesi. E ancora una volta, la stragrande maggioranza di questi, almeno 1500, erano civili.
In Nigeria, il conflitto in corso nel nord del paese tra le forze governative e il gruppo armato Boko haram è finito sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo a causa del rapimento, di 276 studentesse nella città di Chibok, uno degli innumerevoli crimini commessi dal gruppo.
Nella Repubblica Centrafricana, oltre 5000 persone sono morte a causa della violenza settaria, nonostante la presenza sul campo dei contingenti internazionali. Tortura, stupri e uccisioni di massa hanno a stento raggiunto le prime pagine dei giornali a livello mondiale. Ancora una volta, la maggior parte delle vittime erano civili.
E in Sud Sudan, lo stato più recente del mondo, decine di migliaia di civili sono stati uccisi e due milioni sono fuggiti dalle loro case, nel contesto del conflitto armato tra le forze governative e quelle dell’opposizione. Entrambe le parti hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Questo succinto elenco, ripreso dall’ultimo rapporto di Amnesty International, fa capire come sia essenziale affrontare la questione delle violazioni contro i civili, oltre che assicurarne alla giustizia i responsabili. A tal proposito Amnesty International ha accolto con favore la proposta, attualmente appoggiata da circa 40 governi, di dotare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di un codice di condotta che preveda l’astensione volontaria dal ricorso al veto in situazioni di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, per non bloccare l’azione del Consiglio di sicurezza.
I fallimenti tuttavia non hanno riguardato soltanto l’incapacità d’impedire le atrocità di massa. È stata anche negata l’assistenza diretta ai milioni di persone in fuga dalla violenza che inghiottiva villaggi e città.
Quei governi che denunciavano i fallimenti degli altri, si sono poi dimostrati essi stessi riluttanti a farsi avanti e fornire gli aiuti essenziali di cui avevano bisogno i rifugiati, sia in termini di aiuti economici, sia di opportunità di re-insediamento. Nel frattempo, un numero enorme di rifugiati e migranti continua a perdere la vita nel Mar Mediterraneo, nel disperato tentativo di raggiungere le coste europee. La mancanza di supporto da parte di alcuni stati membri dell’UE nelle operazioni di ricerca e soccorso ha contribuito allo sconvolgente tributo in termini di vite umane.
Anche l’Italia entra nel mirino del rapporto Amnesty International 2014-2015 dove viene evidenziata la situazione dei rifugiati e migranti, oltre 170.000, che cercano disperatamente di raggiungere l’Italia dall’Africa del Nord su imbarcazioni inadatte alla navigazione e che per questo motivo perdono la vita o vengono salvati in mare dalle autorità italiane. La decisione del governo, giunta a fine ottobre, di mettere fine all’Operazione Mare Nostrum (Omn) di salvataggio in mare, ha sollevato timori che il bilancio dei morti potesse significativamente aumentare. Le autorità non hanno garantito adeguate condizioni di accoglienza all’elevato numero di rifugiati e migranti giunti via mare. La discriminazione contro i rom è continuata e migliaia di loro sono rimasti segregati nei campi. L’Italia non ha, infine, introdotto il reato di tortura nella legislazione nazionale né ha creato un’istituzione nazionale indipendente per i diritti umani.
Le organizzazioni per i diritti umani sono talvolta accusate di essere troppo ambiziose nei loro sogni di dar vita ad un cambiamento, ma bisogna constatare che i traguardi straordinari sono possibili e sono stati raggiunti con fatica e determinazione. Il 24 dicembre, è entrato in vigore il Trattato internazionale sul commercio di armi, dopo che tre mesi prima era stata superata la soglia delle 50 ratifiche, dove Amnesty International, tra gli altri, si è impegnata a favore del trattato per 20 anni; nel 2014 ricorrevano anche i 30 anni dall’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, un’altra convenzione per la quale Amnesty International si è battuta per molti anni e una delle motivazioni per le quali le fu conferito il premio Nobel per la pace nel 1977.
Tutt’oggi, purtroppo, la tortura è ancora dilagante in molte parti del mondo, motivo per cui Amnesty International, proprio quest’anno, ha lanciato la sua campagna globale “Stop alla tortura”.
La violazione dei diritti umani è uno dei motivi principali per i quali oggi viviamo in un mondo tanto pericoloso. Non esiste la sicurezza senza il rispetto dei diritti umani. Abbiamo ripetutamente visto però che, anche nei momenti più bui per i diritti umani, ed in special modo in tempi come questi, è possibile dar vita al cambiamento.