ROMA – Sono le tre di notte a piazza Cairoli, rione Trastevere, quando gli agenti della squadra mobile del Commissariato Trevi intervengono in soccorso di due stranieri in difficoltà. Sono un 27enne bengalese e un egiziano, il primo con lesioni gravi al volto è stato subito portato in ospedale, il secondo ha riferito dell’aggressione ai poliziotti. Un gruppo di cinque ragazzi è passato dalle parole ai fatti, dagli insulti razziali a una vera e propria aggressione stile “branco”. Pugni, calci in faccia e sputi, poi una breve fuga prima di essere intercettati da una volante della polizia. Uno di loro, il più grande (19 anni), è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio, gli altri quattro (17 e 18 anni) sono stati denunciati a piede libero per lesioni gravissime.
È l’ennesimo caso di violenza razziale con scalpore mediatico, dopo gli episodi degli ultrà laziali di domenica scorsa. Se si considerano anche le volontà di alcuni gruppi politici di mettere in scena attraverso una manifestazione la “marcia su Roma” (il prossimo 4 novembre) del regime fascista, ciò che si presenta davanti agli occhi è un bel quadretto.
Forse i grandi flussi di migranti sono un problema sociale e forse il nostro paese non è in grado di sostenere tutti questi ingressi. Ma quello che al momento appare certo è che la vera emergenza in Italia è quella della perdita dei valori. L’inclusione dello straniero, di colui che ha cultura e religione differente, è impossibile se si continua a ragionare in questi termini, se il linguaggio della violenza, sia fisica che verbale, è l’unico che vince e riesce a risuonare.
Su questo pensiero si fonda il monito di Papa Francesco durante l’angelus di domenica mattina, a poche ore dall’episodio di sabato notte. “Non si è vicini a dio se li si maltratta”, afferma il Papa dalla terrazza su piazza San Pietro, e il riferimento è al prossimo, cioè “le persone più sole e indifese, vedove, minori e stranieri”, i quali “godono della protezione di Dio”.
Come rendere reale ed effettiva, allora, la protezione del più indifeso, in particolare dello straniero discriminato, in Italia? Oltre al ruolo dello Stato, è necessario un intervento concreto sulle basi della società: l’educazione all’accettazione di chi è diverso da noi. E in questo compito giocano un ruolo fondamentale i media, che non dovrebbero aizzare la popolazione con linguaggi emergenziali solo per vendere e aumentare l’appetibilità di una notizia, ma ricordare il loro ruolo fondamentale di “mediatori”, strumenti di metabolizzazione della notizia per il popolo che siano in grado di riferire e insegnare. L’inclusione è possibile se i primi che la accettano e la riconoscono sono coloro che trasmettono il messaggio.