“Una terra ferita che ha ancora bisogno di riposte concrete, non solo di promesse ma di fatti“. Don Ciotti, il parroco che ha fatto della lotta alle mille mafie che attanagliano l’Italia, alla corruzione e al “caporalato criminale” la sua ragione di vita, è tornato all’Aquila, la città ferita dal sisma di magnitudo 6.3 che nel 2009 ha messo in ginocchio un intero territorio, lasciando dietro di sè 309 morti, 1.600 feriti e 65mila sfollati. Numeri che a distanza di quasi 10 anni, sembrano lontanissimi. Oggi che all’Aquila si respira il vento nuovo della rinascita (città bellissima, quinto centro storico d’Italia, la città che da un punto di vista sismico è forse la più sicura del Paese grazie alle tecniche di ricostruzione e di restauro adottate) gli anni dell’emergenza e del dolore restano ancora indelebili nella memoria di chi li ha vissuti. Don Ciotti torna sempre volentieri nel capoluogo che è diventato modello di buone prassi nella ricostruzione, pur tra luci e ombre e nonostante tanti problemi, lungaggini burocratiche e soprattutto una politica talvolta sorda.
Questa volta il parroco nemico delle mafie ha accettato di partecipare al “V Congresso della Camera del lavoro territoriale dell’Aquila” e dal palco dell’auditorium stracolmo della Cgil ha lasciato il suo messaggio di monito a “fare da pungolo positivo nei confronti delle istituzioni”. “Tante cose sono state fatte – ha detto Ciotti – ma si vede, si tocca, si ascolta che, però, c’è ancora tanto da fare e c’è il rischio che con il tempo qualcuno si dimentichi di queste ferite, dei disagi, delle sofferenze e si passi a pensare ad altro e che, come accade spesso in questo Paese, si vada verso la normalizzazione del disagio. Un rischio da scongiurare e da combattere con una cittadinanza attiva. Per il presidente di “Libera” all’Aquila come anche nel Centro Italia colpito dai terremoti che si sono susseguiti dal 2010, “invece c’è bisogno di continuità, di presenza, di leggi adeguate che devono tradursi nella concretezza della realtà. C’è l’impressione che ci sia troppa superficialità: questo è un Paese che si emoziona, ma poi rischia di perdersi con il tempo”. E il pensiero va anche alle decine di borghi del centro Italia che esattamente due anni fa (il 30 ottobre del 2016) alle 7,41 sono stati distrutti dalla scossa di terremoto più forte che sia avvenuta in Italia dal 1980: Norcia, Castelluccio di Norcia, Castelsantangelo sul Nera, Visso, Muccia e tantissimi altri. Chi non li conosce per storia e arte? Paesi che rischiano la “dimenticanza” e dove, due anni dopo, la ricostruzione è ancora all’anno zero mentre, per uno scherzo del destino, proprio domani è la ricorrenza di un’altra tragedia dovuta a errori umani: quella del sisma di San Giuliano di Puglia, dove un’intera generazione è stata spazzata via dal crollo di una scuola. Morirono 27 bambini e una maestra. Anche pensando a loro, Don Ciotti ha detto che “il più bel monumento alla memoria delle vittime e del dolore sono le case. Il vero monumento è dare dignità a queste terre che hanno sofferto e ai loro abitanti. La memoria dev’essere un dovere che si traduce ogni giorno in responsabilità e in impegno, altrimenti diventa retorica della memoria. Noi dobbiamo ricordare chi non c’è più, ma dobbiamo essere molto vicino ai familiari delle persone scomparse, perché quel dolore e quelle ferite non si cancelleranno mai”. Di qui l’esortazione a essere “cittadini corresponsabili, alzare la voce quando gli altri scelgono in prudente silenzio: questa è la memoria viva”. Interrompere l’emorragia della memoria è, poi, l’obiettivo di “Libera” contro le mafie, che “non sparano più ma ci sono ancora, dal Nord al Sud d’Italia”.