Una possibile risposta alla solitudine di oggi

Nato tra Olanda e Danimarca negli anni ’70, inizialmente il modello di co-housing era pensato soprattutto per venire incontro alle esigenze delle giovani famiglie: prevedeva infatti un’abitazione ad uso privato gestita dal singolo nucleo familiare e una serie di attività (lavori di casa, educazione dei figli) condivise. Esportato in Germania, Svezia e poi anche in Canada e negli Stati Uniti, questo modello ha subito un’evoluzione con l’invecchiamento dei suoi promotori originari, che si sono resi conto con il trascorrere degli anni di poterlo riproporre anche in versione “senior”, creando piccole comunità di persone anziane con situazioni personali simili. Il co-housing è una nuova formula abitativa, in cui ogni nucleo familiare ha un proprio alloggio individuale e spazi comuni con i vicini (lavanderia, palestra, cucine, sale svago), fino a circa 20-40 appartamenti coinvolti. La nuova organizzazione residenziale punta a recuperare i valori di solidarietà e collaborazione reciproca tra persone che vivono a pochi metri di distanza le une dalle altre. In più, condividendo spazi e servizi in maniera collettiva, si ottengono notevoli risparmi dal punto di vista sia economico che ambientale. Chi invecchiando teme di trasformarsi in “un peso per i figli” si troverà in una realtà profondamente diversa: il co-housing prevede infatti una rete sociale in cui l’invecchiamento è attivo, in cui è possibile divertirsi insieme e attivare progetti comuni, trascorrendo il proprio tempo in compagnia con la possibilità di “invecchiare tra amici”. Il co-housing non è però concepito solo per le esigenze degli anziani, ma per creare comunità di vicini di casa di tutte le età, che vivono in condivisione, armonia e soprattutto amicizia. Il modello rifugge infatti apertamente strutture gerarchiche tra inquilini: sono tutti di pari livello, hanno origini e storie personali completamente diverse gli uni dagli altri e si uniscono tra loro senza principi ideologici alle spalle. E anche l’Italia si sta muovendo in tal senso.

Già nel 2016 il Comune di Trento approva una “sperimentazione e promozione di coabitazioni solidali, o co-housing”, addicendo come motivazione che il “Trentino è un incontro di innovazione e tradizione e punta sulla cooperazione e cura del territorio”. In seguito, anche Bologna si mette alla prova in questa nuova avventura con un progetto rivolto ai giovani di età compresa tra i 18 e 35 anni con il nome di “Mi impegno e Prendo casa”, per favorire l’indipendenza dei ragazzi dal nucleo familiare di origine. In Sicilia l’associazione femminile Acisif lancia il progetto “Ampliacasa” rivolto in particolar modo alle giovani donne in difficoltà. Sembra che in una società con una forte spinta all’individualismo il terzo settore insieme ad uno stato attento crei risorse e speranze per il miglioramento del bene comune.

Stampa Articolo Stampa Articolo