C’era una volta uno stagno abitato da rane che facevano quel che volevano. Un giorno chiesero a Zeus un sovrano che insegnasse loro a vivere e rispettare regole e disciplina. Zeus gettò nello stagno un travicello di legno che cadde in acqua con un gran tonfo. Le rane, spaventate, si rintanarono nel fango. Poi, vedendo che il travicello galleggiava immobile, cominciarono a toccarlo, poi a saltarci sopra: il travicello non si muoveva e non diceva una parola e le rane tornarono alla vita sregolata di prima, ignorando il re. Dopo poco tornarono da Zeus a chiedere un nuovo re perché quello che avevano era una nullità: volevano un sovrano che facesse rispettare le regole. Zeus gettò nello stagno un serpente, che cominciò a divorare tutte le rane che trovava. Per la paura, le rane smisero di gracidare e cominciarono a vivere nascoste nel fango finché le superstiti tornarono sull’Olimpo, supplicando Zeus di riprendersi il serpente. Ma lui disse: “Vi avevo mandato un buon re e voi l’avete rifiutato. Adesso, tenetevi quello malvagio”. Questa, necessariamente ridotta, è la favola originale.
La saggezza di Esopo che raccontò questa storia durante la tirannia di Pisistrato ad Atene nel sesto secolo Avanti Cristo, prima di Socrate, ben potrebbe essere riadattata all’attuale stagno della politica italiana. Nessuno se la prenda se saranno usati gli animali per rileggere i nostri giorni: semplicemente si riprende la tradizione di Esopo, Fedro e Lafontaine.
C’era una volta un’enorme jungla piena di animali e, tra alberi, radure, laghi e savane, si trovava anche uno stagno, governato da rospi e bisce. Una parte del popolo delle rane, stanca di vedere che solo alcuni rospi e alcune bisce comandavano scegliendosi le zone ed i cibi migliori, decise di sostituirle promettendo che le rane, una volta al potere, avrebbero goduto dei posti e dei cibi migliori e che li avrebbero avuti gratis, senza doversi impegnare. Rospi e bisce sarebbero stati mandati via e le rane, rigorosamente da sole, senza aiuto alcuno, avrebbero goduto della grazia che offriva Zeus.
Ma purtroppo le rane che si erano messe alla guida del gruppo non erano state lungimiranti perché non avevano la capacità di gestire neppure le parti più piccole e periferiche dello stagno Inoltre, una volta riuscite ad essere abbastanza per far sentire la loro voce, per mantenere le promesse fatte dovettero chiedere aiuto prima ai rospi, e dopo aver litigato con questi, alle bisce.
Forse fu colpa di un rospo o di una biscia, ma quando Zeus si rese conto che il governo delle rane era un fallimento e metteva in pericolo l’esistenza dello stagno, decise di mandare una serpe per rimettere a posto le cose.
Ben lungi dal voler considerare Mario Draghi una serpe, tutt’altro, questa storia dovrebbe far meditare e ricordarci come la saggezza dell’antica Grecia, specialmente di Atene culla della democrazia, ha un senso ancora oggi e dovrebbe essere conosciuta da chi vorrebbe cambiare le cose. Draghi, se proprio volessimo insistere in paragoni del mondo animale, deve essere considerato un saggio leone cui si chiede di sedersi al centro della radura e ascoltare tutti gli altri abitanti dell’intera jungla, non solo dello stagno, prima di prendere decisioni che potrebbero essere impopolari per alcuni, ma necessarie per tutti. Anche una jungla ha bisogno di regole per andare avanti senza che gli animali si uccidano tra loro o che qualche catastrofe distrugga l’intero habitat in cui le varie specie devono svilupparsi e convivere. Limitare il governo di un intero ecosistema ad una sua piccola parte è non solo un limite mentale e di prospettiva, ma anche un ostacolo per ogni decisione. Specialmente oggi che abbiamo la prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, di come uno starnuto o la mancanza di una risorsa in uno dei piccoli ecosistemi dell’intero habitat può avere effetti anche devastanti ad ogni livello. E per tornare all’antica Grecia ricordiamo le parole di Socrate, anche queste di estrema attualità, quando si definì non greco o ateniese, ma cittadino del mondo. Perché oggi le soluzioni non si trovano più in uno stagno.