Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti umani, in seguito alla ricorrenza del 26 luglio, giorno del suicidio di Rita Atria (Partanna, 4 settembre 1974 – Roma, 26 luglio 1992) testimone di giustizia, intende ricordare l’alto senso civico e la grande forza morale con cui questa coraggiosa e giovane donna ha affrontato il mondo malavitoso che la circondava e l’omertà cieca di cui era succube il territorio di Partanna. Oggi la sua storia è nota ed è un esempio per tutti, in quanto Rita, una ragazza non ancora maggiorenne, nonostante fosse vissuta in un clima di disprezzo verso le istituzioni e totale sudditanza nei confronti della “famiglia”, ebbe la forza di diventare testimone di giustizia per il giudice Borsellino, consentendo molti progressi alle indagini relative ai fenomeni mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala. Lo spietato assassinio del magistrato Borsellino ha talmente provato la sua sensibilità da indurla a un gesto estremo, il suicidio, accompagnato da una sorta di testamento civico: “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita.Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi.
Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi.Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta.”
Rita con grande lucidità aveva colto gli aspetti più significativi e difficili di un’autentica lotta alla mafia. A pensarci bene tutto ciò che non rientra tra i “diritti” di un cittadino, ma è afferente a quel mondo oscuro e limaccioso dei “favori”, costituisce l’anticamera della mafia. Eppure scavalcare gli altri nella ricerca di un posto di lavoro senza qualifiche o ricevere privilegi particolari affascina ancora troppe persone. Mentalità mafiosa è pretendere quello che gli altri cercano di ottenere legalmente. Si dovrebbe riflettere su tutto questo.
A nostro avviso, occorre sensibilizzare i giovani, in quantola legalità assume una sua funzione quando si estrinseca in consapevolezza dei principi che determinano la coesistenza tra comunità d’individui sempre più ampie, articolatenonchécorrelate e implica anche l’interiorizzazione di norme compartecipate, che non rappresentano un obbligo, bensì l’anima della nostra democrazia. Per tanto è doveroso salvaguardare, fin dalla più tenera età, i cardini della legalità e dei diritti umani, in modo che possano radicarsi nella coscienza collettiva e diventare automaticamenteil viatico per una scelta di vita responsabile e dignitosa.
Riteniamo fondamentale, inoltre, promuovere quanto previsto dall’art. 1, comma 7 della legge n. 107/2015,che sottolinea tra gli obiettivi formativi prioritari alla lettera d) i seguenti aspetti:”sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva edemocratica attraverso la valorizzazione dell’educazione interculturale e alla pace, il rispetto delledifferenze e il dialogo tra le culture, il sostegno dell’assunzione di responsabilità nonché dellasolidarietà e della cura dei beni comuni e della consapevolezza dei diritti e dei doveri, potenziamentodelle conoscenze in materia giuridica ed economico-finanziaria e di educazione all’imprenditorialità”. Consideriamo ancora prioritaria l’iniziativa portata avanti dal MIUR in merito al Piano di educazione alla legalità, in vista degli obiettivi dell’Agenda 2030 e ci auguriamo che l’insegnamento del Diritto, come canale privilegiato di divulgazione dei valori della legalità, trovi ampio spazio in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Parliamo della storia di Rita e della sua voglia di cambiamento nelle scuole; accendiamo la luce dell’onestà nelle menti dei futuri cittadini.
prof. Romano Pesavento
Presidente Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani