Il 25 aprile è il giorno in cui ogni anno in Italia si celebra la Festa della Liberazione dal nazifascismo, avvenuta nel 1945. L’occupazione tedesca e fascista in Italia non terminò in un solo giorno ma si considera il 25 aprile come data simbolo, perché quel giorno del 1945 coincise con l’inizio della ritirata da parte dei soldati della Germania nazista e di quelli fascisti della repubblica di Salò dalle città di Torino e di Milano, dopo che la popolazione si era ribellata e i partigiani avevano organizzato un piano coordinato per riprendere le città.
Il 22 aprile del 1946 il governo provvisorio italiano, il primo guidato da Alcide De Gaspari, che chiuse il regno d’Italia, decise che il 25 aprile era il giorno della “festa della liberazione”, o Anniversario della Liberazione d’Italia, attraverso un decreto-legge.
Con la legge 269 del 1949 viene dichiarato il 25 aprile come festa nazionale della Liberazione D’Italia, alla stregua del primo maggio, o del Natale.
Non è solo l’Italia a ricordare la festa della fine dell’occupazione straniera durante la Seconda guerra mondiale
La guerra in Italia non finì il 25 aprile 1945, comunque: continuò ancora per qualche giorno, fino agli inizi di maggio. In altri paesi si festeggia la “liberazione” ad esempio nei Paesi Bassi e Danimarca la festeggiano il 5 maggio, in Norvegia è festa l’8 maggio, in Romania il 23 agosto. Anche in Etiopia si festeggia il 5 maggio la Festa della Liberazione, ma in quel caso per ricordare la fine dell’occupazione italiana, avvenuta nel 1941.
Ma come arriviamo al 25 aprile….
Agli inizi del 1945 migliaia di persone, per lo più partigiani, si battevano contro l’occupazione tedesca e nel settentrione nella repubblica di Salò in modo organizzato a livello militare, al sud della Pianura padana nel marzo del 1945 c’erano molti soldati occupanti, raccolti per cercare di resistere all’offensiva finale degli Alleati, che si intensificò a partire dal 9 aprile (in una zona a est di Bologna) lungo un fronte più o meno parallelo alla via Emilia. L’offensiva fu da subito un successo, oltre alla superiorità numerica i soldati tedeschi e i repubblichini, nonostante la volontà delle massine autorità tedesche e fasciste di continuare la guerra fino alla fine, serpeggiava tra i soldati un generale sentimento di sfiducia e di sensazione di sconfitta.
Il 10 aprile dello stesso anno la “direttiva n° 16”, che il Partito Comunista diffuse, chiedeva di “scatenare l’attacco definitivo”; il 16 aprile il comitato di liberazione nazionale alta Italia, in cui erano inseriti i movimenti antifascisti e di resistenza, comunicò ai “suoi” un messaggio molto simile.
I partigiani organizzarono e avviarono attacchi verso i centri urbani. Bologna, ad esempio, fu attaccata dai partigiani il 19 aprile e definitivamente liberata con l’aiuto degli alleati il 21.
Il 24 aprile 1945 gli alleati superarono il Po, e il 25 aprile i soldati tedeschi e della repubblica di Salò cominciarono a ritirarsi da Milano e da Torino. A Milano era stato proclamato, a partire dalla mattina del giorno precedente, uno sciopero generale, annunciato alla radio “Milano Libera” da Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica, allora partigiano e membro del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).
Scoppio una rivoluzione dal “basso”: infatti le fabbriche furono occupate e presidiate e la tipografia del Corriere della Sera fu usata per stampare i primi fogli che annunciavano la vittoria. La sera del 25 aprile Benito Mussolini abbandonò Milano per andare verso Como, poi sarebbe stato catturato dai partigiani e due giorni dopo ucciso era il 28 aprile.
I giornali italiani celebrarono il 25 aprile 1945 come un giorno importante nella guerra: non solo l’Unità e Il Popolo, giornali ufficiali del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana che si stampavano nelle parti d’Italia già liberate da tempo, ma anche il Corriere della Sera, che durante il ventennio fascista era stato vicino al regime. Il 26 aprile il Corriere uscì con una sorta di “numero unico” con la testata Il Nuovo Corriere: direttore dell’edizione fu Mario Borsa, un giornalista antifascista a cui il CLN affidò temporaneamente la direzione del giornale. Solo i titoli di prima pagina della Stampa del 26 aprile ignorarono completamente i combattimenti nell’Italia settentrionale: parlavano invece della “fanatica resistenza” dei soldati tedeschi in Germania, che ormai controllavano solo qualche quartiere di Berlino.
In Sicilia, invece, le vicende storiche andarono in modo nettamente diverso. Diverse pure le parti in causa. E non solo nel 1945, ma anche prima.
Vediamo di semplificare un po’: alle prime luci dell’alba del 10 luglio 1943, due fra le più grandi flotte militari dell’epoca, la Britannica e la Statunitense, erano approdate sulle coste siciliane, nell’ambito dell’operazione “ Husky”. E vi sbarcarono due armate, rispettivamente comandate dai generali Montegomery e Patton. Era stato, quello, il più grande sbarco del Ventesimo Secolo. Vi fu qualche reparto dell’Esercito italiano che tentò di contrastare l’invasione. A sua volta, l’Esercito tedesco fece del suo meglio per ostacolare l’avanzata dei “Liberatori”. Vi furono vittime civili uccise dagli Alleati in entrata e vittime civili uccise per rappresaglia dai soldati tedeschi in ritirata. L’invasione della Sicilia non fu affatto una passeggiata. Fu un’impresa ardua con migliaia di morti e di feriti. E con migliaia di prigionieri. L’occupazione della Sicilia si compì in trentotto giorni complessivamente. Ed esattamente dal 10 luglio al 17 agosto 1943. Data, questa, nella quale l’ultimo soldato dell’esercito tedesco aveva già lasciato la Sicilia. Dobbiamo ricordare, non senza emozione, che, fino a pochi giorni prima dello “sbarco” delle Truppe Alleate (Anglo-Americane), quasi tutte le città, i paesi, i centri abitati della Sicilia erano letteralmente massacrati dai bombardamenti a tappeto delle flotte aeree dei “Liberatori”, che avevano seminato morte e distruzione ovunque, anche per agevolare il loro sbarco, programmato da tempo. I danni di quei bombardamenti sono, purtroppo, in gran parte visibili ancora oggi. Di cui poco si parla forse cercando di silenziare i morti, per non oscurare l’immagine complessiva dei Liberatori-Vincitori della Seconda Guerra Mondiale.
In realtà ancor prima dello sbarco, il popolo siciliano aveva già iniziato a progettare e sperare in un riscatto ed una rinascita, Andrea Finocchiaro Aprile fu colui che scrisse documenti politici per far sì che all’AMGOT (Allied Military Government Occupied Territory), arrivassero richieste adeguate ai bisogni dei siciliani.
Dopo l’armistizio di Cassibile, il separatismo siciliano, che era emerso in modo chiaro, fu osteggiato con persecuzioni e violenza. Ricordiamo la strage di via maqueda con i 22 morti, avvenuta il 19 ottobre 1944, nel 1945 il comitato per la dipendenza della Sicilia aveva inviato alla conferenza di San Francisco un memoriale chiedendo a gran forza il diritto di indipendenza della Sicilia, attraverso un referendum popolare. Nel frattempo nei boschi di Cesarò e Bronte un primo embrione di un esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia (evis), inizia a crearsi con al comando Mario Turri, che in realtà era uno pseudonimo del Prof. Canepa docente dell’università di Catania.
Alla data del 25 aprile 1945, il popolo siciliano, perseguitato ed oppresso, continuava a battersi fra mille difficoltà, ma in modo determinato, per ottenere che in Sicilia si applicassero i principi conclamati dalla società delle nazioni agli inizi della guerra contro Hitler ed i suoi alleati, e che coincidevano perfettamente con alcune importanti rivendicazioni, tipiche del Sicilianismo forte e puro, come l’autodeterminazione, l’indipendenza, la libertà, la riaffermazione della propria identità nazionale, ovviamente diritti “scomodi” e largamente negati e non solo dal governo fascista… che proprio in quegli anni venivano soffocati ricorrendo spesso alla violenza, e successivamente ignorati anche dai governi dell’Italia “liberata”. È utile ricordare che qualche mese dopo il 25 aprile, esattamente il 17 giugno, a Radazzo nell’eccidio morirono Canepa, Rosano proprio i fautori dell’evis. Oggi, nel 2020, alcune cose non le ricordiamo, o forse a volte preferiamo ricordare quelle che i vincitori hanno scritto, perché la storia, sappiamo, che la scrive chi vince, ma credo fermamente che i diritti, le esigenze di verità, giustizia, progresso, democrazia diventino sempre più una Cultura, affinché gli orrori e gli errori accaduti nel passato non ricapitino mai più. Buon 25 aprile.