Catania, 29 aprile 2020 – Con la conferenza stampa del 28 aprile, il Presidente del Consiglio Conte ha tracciato la tabella di marcia per l’avvio della fase 2, all’insegna della gradualità e del costante monitoraggio sulla curva epidemica.
Se è indubbio che ogni scelta sia stata frutto di confronto tra gli attori istituzionali e che il Governo abbia un margine d’apprezzamento ineliminabile, appare poco giustificabile, se non arbitraria, la volontà di mantenere sospese le celebrazioni religiose, ad eccezione dei funerali.
La nota rilasciata a stretto giro dalla Conferenza Episcopale Italiana CEI , letta congiuntamente con i fiduciosi appelli lanciati dal cardinale Bassetti e di altri prelati fino a pochi giorni fa, getta non poche ombre non solo sulla decisione in sé, ma soprattutto sul metodo di progettare il post-epidemia.
Infatti, dopo le prime concessioni per la presenza di alcuni fedeli laici alle celebrazioni pasquali per il ministero del lettore e dell’accolito, nonché per la trasmissione in streaming, il ritorno progressivo alla normalità della vita ecclesiale sembrava questione di giorni.
Non solo, lo stesso Presidente Conte aveva rassicurato sulle interlocuzioni fitte tra CEI ed Esecutivo per garantire il ripristino dell’esercizio della libertà di culto e, contestualmente, la tutela della salute pubblica (ad esempio, moltiplicando le celebrazioni e riducendo il numero di fedeli presenti, oppure prevedendo l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e altre forme di distanziamento, oppure ancora dando l’opportunità di soddisfare il precetto festivo con la partecipazione alle messe feriali).
Spontaneamente, ciascuno potrebbe chiedersi, e anche in ambito cattolico vi sono voci in tal senso, il perché della ferma posizione dei vescovi italiani.
Per quale motivo ritornare alle celebrazioni liturgiche in presenza quando i mezzi di comunicazione sociale offrono un’esperienza comparabile?
A quale scopo mobilitare il comitato tecnico-scientifico per trovare soluzioni alla partecipazione fisica dei fedeli ai riti?
Un primo motivo, abbastanza chiaro, riguarda la scala di valori che sono scolpiti nella società e, giuridicamente, nella Costituzione: se è doveroso riprendere le attività produttive, a maggior ragione lo Stato deve tutelare l’esercizio della libertà religiosa.
Non è un caso che i costituenti, nella numerazione degli articoli, abbiano posto la libertà religiosa (art. 19 Cost.) prima della libertà di iniziativa economica (art. 41).
Anzi, a un più attento esame, risulta che il perno attorno cui ruota la disciplina del fenomeno religioso è il dialogo tra Stato e confessione religiosa.
Attraverso il riferimento ai Patti Lateranensi (art. 7) e alle intese coi culti acattolici (art. 8) e, soprattutto, con la previsione dell’eguale libertà delle confessioni religiose davanti alla legge, la nostra legge fondamentale ha impegnato l’azione pubblica a una tutela attiva della religione nelle forme in cui si manifesta.
Un’azione, improntata a quella “sana laicità” di cui è stato maestro Benedetto XVI, che si occupa, e preoccupa, di custodire la libertà religiosa come strumento per la piena realizzazione dell’uomo.
Un secondo motivo, sintetizzato nella nota poco fa rilasciata dai vescovi di Sicilia, pone l’attenzione sulla necessità di offrire quel pane spirituale che, insieme al (e, per i credenti, ancor più del) pane materiale, sostenta la vita dell’uomo.
Una messa in streaming, se accresce lo zelo e la devozione, non colma il desiderio di Dio nascosto nel cuore di ciascuno, anzi, serve proprio a mantenerlo vivo nell’attesa.
Come una fotografia non sostituisce l’incontro, così il culto “telematico” non basta.
È pur vero che, lungo i secoli, la Chiesa cattolica ha insegnato che Dio non è vincolato ai suoi sacramenti, potendo Egli trasmettere la Grazia in altre forme, a Lui solo conosciute, ma ciò non implica un’interscambiabilità tra vie sacramentali e non sacramentali.
È vero che stiamo vivendo la comunione spirituale e la contrizione perfetta, in una dimensione privata del rapporto con il Signore, ma, come ha recentemente affermato Papa Francesco, l’autentica relazione si realizza nella condivisione “fisica” e comunitaria del Pane eucaristico con i fratelli.
Terzo e ultimo motivo: se il problema della sospensione delle celebrazioni fosse stato assolutamente non risolubile, allo stato della scienza e della tecnica – come lo è stato nel periodo di quarantena, per il quale non c’è stata alcuna protesta, bensì massima collaborazione – anche altre attività, che presentano rischi equivalenti, sarebbero state mantenute sospese.
Forse, una certa pigrizia o disattenzione culturale all’indissolubile legame tra dimensione del culto e dimensione della carità hanno motivato la reiterazione del provvedimento draconiano oltre il limite della ragionevolezza.
La tempestiva presa d’atto del Presidente Conte e la giustificazione del comitato tecnico-scientifico sembrano avvalorare questa tesi: si spera in una resipiscenza, che dimostri la serietà delle intenzioni e il giusto riconoscimento del ruolo essenziale svolto dalle confessioni religiose nel ricostruire l’umano.