Tra il 1943 e il 1945 lontano dagli occhi e sotto quella che sembrava apparentemente una normale stazione centinai di deportati, uomini, donne e bambini, venivano caricati a forza su vagoni merci. Strappati dalla loro vita e privati della loro identità, erano trasportati nei campi di concentramento, sterminio, raccolta e smistamento.
Il memoriale della Shoah di Milano sorge in un’area della Stazione Centrale a cui si aveva accesso diretto da via Ferrante Aporti, situata al di sotto dei binari ferroviari ordinari e originariamente adibita al carico e scarico dei vagoni postali. Per raggiungerlo basta costeggiare piazza Luigi di Savoia al di fuori della stazione, raggiungendo la porta di via Ferrante Aporti.
La sua posizione nascosta, al di sotto del manto stradale, permetteva all’esercito di eseguire nella maniera più discreta e nascosta possibile le partenze.
Una volta pieno, il vagone veniva sollevato silenziosamente con un montavagone tra i binari 18 e 19, appartenenti alla “vera” stazione dei tempi, dove veniva agganciato al carro locomotore per poi partire verso i campi di destinazione.
In ciascuno dei vagoni appartenenti ai ventitré treni che partirono dal binario, vennero caricate e stipate con forza, usando calci, pugni e bastonate, dalle 50 alle 80 persone. Privi di finestre, cibo e acqua uomini, donne e bambini erano trattati come degli animali (se non peggio). Durante i 7 giorni di viaggio erano costretti a procurarsi bagni e letti di fortuna, cercando di creare con unghie e mani delle fessure per poter respirare.
Partire era considerata una condanna a morte non annunciata. Famiglie vennero separate, storie d’amore spezzate, donne incinte costrette a dare alla luce i propri figli in condizioni disumane; questa era la realtà dell’epoca.
All’ingresso del memoriale è presente una grande scritta, simbolo del silenzio del genere umano e una delle principali cause del patimento di questa povera gente: INDIFFERENZA. Termine di cui purtroppo alcune persone sono ancora schiave. Alcuni cittadini milanesi alla mia domanda “sa dove si trova il memoriale?” mi hanno confidato di non conoscerne neanche l’esistenza, sebbene ormai sia un simbolo della Shoah.
Il cuore della struttura sono i 4 carri merci situati al centro dell’edificio, il cui senso di oppressione causato dalla loro piccolezza non lascia spazio neanche a un respiro. I miei parenti di Veroli, Rizzi Virginia nipote, nonno Michele coniugato con Spicchino Regina deportato il 5 aprile del 1944, così recita una delle tante lettere affisse sul legno del vagone. I parenti di coloro la cui vita venne strappata cercarono e cercano in tutti i modi di non cancellarne il ricordo, salvandone la memoria.
La parte più suggestiva del memoriale è il Muro dei Nomi. Una lunga parete su cui vengono proiettati i nomi di tutti i deportati che lasciarono la propria vita su quei vagoni e in quella spettrale stazione. Tra questi sono evidenziati quelli delle persone che riuscirono a fare ritorno dai campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Purtroppo, sono solo 27 quelli ad illuminarsi [dati forniti dalla Fondazione CDEC, Centro di Documentazione Ebraica, Milano].
Questo il luogo dove ebbe tristemente inizio l’orrore della Shoah a Milano in cui, per anni, molte furono le persone costrette a partire e pochissime quelle a tornare. Tra i superstiti ricordiamo Liliana Segre, che il 19 gennaio del 2018 venne nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Mattarella.
Il binario 21 è percepito come debito doveroso verso chi non è più tornato dai viaggi verso lo sterminio, ma un luogo vivo per chi avrà domani la responsabilità di migliorare la società e i rapporti umani [Yad Vashem, Ente nazionale per la Memoria della Shoah].
Oggi è diventato un museo della memoria, una testimonianza di una delle pagine più buie del Novecento e del suo degrado, di cui la Shoah ne è il massimo esempio. Il suo compito è proprio questo: sconfiggere l’indifferenza e l’ignoranza, impedendo che atrocità simili si ripetano.