Beh, al giorno d’oggi non ci vuole davvero la Sibilla ellespontica per rivelarci che siamo spiati puranco quando andiamo al cesso. Le statistiche dicono che il 63% degli individui, sebbene non sia igienicamente corretto, quando va a fare i propri bisogni si porta dietro lo smartphone; uno strumento sempre più diffuso e indispensabile, che però ci spia, ci registra, ci filma, ci condiziona la vita e ci rende ammalati di astinenza di connessione web.
È ormai difficile immaginare un mondo senza «telefonino», ma l’uso eccessivo dello stesso può provocare in certi casi serie conseguenze, quali, per esempio, la diminuzione della capacità di concentrazione, problemi neurologici e posturali, nonché l’insorgere della nomofobia, che si traduce nell’ansia di rimanere senza l’aggeggio diabolico, del quale si teme di non poterne fare a meno.
Inoltre, una recente indagine ha concluso che oltre il 16% delle persone legge le notifiche telefoniche interrompendo le fasi del sonno, nonostante sia noto che l’uso dello smartphone nelle ore notturne è dannoso per la salute psicofisica: non solo aumenta i problemi del sonno, ma influisce pure sulla psiche.
Tuttavia, tra tutti i mali menzionati reputiamo che il peggiore sia l’invasione della sfera della nostra vita privata, ovvero la pratica illecita di ottenere attraverso sistemi elettronici notizie riservate e personali.
A tal proposito, poco tempo addietro, un noto centro tedesco di controspionaggio cibernetico ha scoperto dei virus sui telefoni di origine cinese, che permettono di ascoltare le chiamate, le conversazioni, nonché tracciare gli utenti e quant’altro. Il rapporto, precisano altri ricercatori, non dovrebbe allarmarci più di tanto perché riguarderebbe esclusivamente il mercato cinese. Boh! beato chi ci crede… ma noi chiaramente non ci crediamo, tenuto soprattutto conto del mercato globale e ‘liquido’ in cui viviamo!
Ora, ad essere sinceri, non è sullo smartphone che vorremmo incentrare la nostra disamina odierna; esso è solo uno dei molteplici ritrovati tecnologici attraverso cui i comuni cittadini hanno perso la loro privacy (il diritto alla protezione dei dati personali) e i governi la protezione delle informazioni sensibili e relative alla sicurezza del Paese che rappresentano. Mattatore attuale a questo riguardo è il Dragone, che una ne fa e cento ne pensa! Acciderba, come se non bastasse l’invasione di Huawey, Zte, Lenovo, Xiaomi, OPPO, OnePlus e Realme con le telecamere, i computer, i telefonini e le varie tecnologie di sicurezza biometrica connesse, ci mancavano solo, sparsi nei cieli, i palloni aerostatici. Aeromobili, questi ultimi, destinati a raccogliere, secondo Pechino, dati meteorologici e scientifici; intercettazione e raccolta di intelligence, secondo Washington.
E c’è dell’altro. Non soddisfatti dall’esito di detti palloni, rivelatisi piuttosto pittoreschi e non facilmente camuffabili, i piani spaziali cinesi prevedono di monitorare la «meteorologia» ancor più dall’alto e da più fuori di mano: entro il 2030 avverrà il primo sbarco di astronauti sulla Luna ed entro il 2050 la prima stazione operativa di «ricerca» permanente.
L’occhio del Dragone
Il salto sulla Luna è la roadmap di Pechino per la conquista dello spazio e dell’«informazione». Infatti, dal momento che cominciano a fare cilecca sia la rete degli 007 tradizionali sia gli accordi della Belt and Road (le nuove vie della seta), il buon Xi Jinping avrà pensato che gli occidentali sono troppo permalosi per i suoi gusti e che sarebbe meglio continuare a tener d’occhio i cambiamenti climatici e qualcos’altro più da remoto: dal satellite naturale della Terra… dalla Luna.
E guarda un po’, per fortuita coincidenza e senza alcuna allusione specifica, sulla Terra si è già scoperto il gioco di spie che fomenta la guerra fredda USA-Cina. Non che non ne fossimo a conoscenza, ma una serie di recenti episodi, che sta mettendo in serio imbarazzo la spy-road di Pechino, ha trasformato la nostra sommaria conoscenza in fondata o in ragionevole convinzione, che dir si voglia, sulla circostanza che le spie vivono tranquillamente attorno a noi nella quotidianità, oltre che nei film e nelle spy story.
A questo riguardo l´Università di Erlangen-Norimberga ha sospeso i ricercatori finanziati dal governo cinese nel timore che lo stesso potesse utilizzare le ricerche di costoro per scopi di spionaggio scientifico e industriale. La Svezia e altri Paesi europei sono in allerta «gialla» sulle attività di determinate aziende cinesi, apparentemente innocue, ma che potrebbero svolgere azioni di influenza e ingerenza nei confronti degli Stati euro-atlantici.
Nel Regno Unito, tra altri casi, due uomini sono stati arrestati di recente con l’accusa di spionaggio al servizio della Cina e uno di loro lavorava come ricercatore alla Camera dei Comuni del parlamento britannico; l´intelligence occidentale ha scoperto 102 «stazioni cinesi di polizia» illegali e situate in 53 Stati nel mondo (solo in Italia ve ne sono ben undici); e, in prosieguo di tempo, le istituzioni statunitensi di sicurezza hanno lanciato l’allarme a riguardo di un nuovo e insidioso fenomeno di spionaggio realizzato da soggetti cinesi o asiatici, denominati Gatecrashers (intrusi, imbucati) a causa del loro sistema operativo, i quali, nelle vesti di falsi turisti, vanno in caccia di informazioni riservate e segrete. Costoro, agli ordini di Pechino, agirebbero al fine di ottenere informazioni privilegiate e nel contempo sperimenterebbero il grado dei sistemi di sicurezza in determinate zone, protette dal segreto militare o industriale, penetrandovi sotto forma di turisti spaesati e sprovveduti, come se non sapessero dove condursi.
«Come te movi, te fulmino!»
È il titolo del film (1958) diretto da Mario Mattoli e tratto dalla commedia musicale “Un paio d’ali” di Garinei e Giovannini, che ben si adatta, come monito, al futuro comune mortale, al cittadino globale, spiato dalla moderna tecnologia selvaggia e inquinante.
Essendo chiaramente assodato che ormai siamo «osservati» fin nella nostra intimità, le male lingue cinguettano che poco manca al momento in cui si correrà il rischio di essere sanzionati per rumori molesti attraverso l’occhio elettronico hi–tech del Grande Fratello, di stile orwelliano. Ciò potrebbe avvenire p.e. nel caso in cui si emetta tra le mura domestiche un rutto che superi un certo numero di decibel.
A puro titolo di cronaca, l’americana Kimberly Winter ha stabilito un nuovo record mondiale femminile per il rutto più rumoroso, registrando un livello di decibel di 107,3. Povera lei, non potrà più allenarsi né gareggiare: corre infatti voce che, a causa del sofisticato sistema di futura sorveglianza di massa, entro il 2026 saranno permessi solo ruttini insonori, dotati di silenziatore a norma di legge, per la salvaguardia dell’inquinamento acustico, ovvero in ossequio al principio dell’assenza di rumore per il benessere dell’ambiente.
Ahinoi, come ci siamo ridotti! È finita un’epoca; una nuova appare all’orizzonte. Vivremo in una società intelligente o, come sembra più probabile, in una cretineria di massa?
Il sicomoro di Gerico
Riassumendo, diremmo che la globalizzazione ha raggiunto i suoi limiti storici: dialetticamente, l’economia mondiale ormai è concentrata solo nelle mani degli USA, della Cina e dell’India; l’avvento selvaggio delle tecnologie emergenti ha provocato la spersonalizzazione dell’individuo; e la massificazione, repressiva e non foriera di metacompetenze indispensabili alla pratica educativa e pedagogica, si presenta sempre più nociva e regressiva. Corriamo di conseguenza il rischio di rimanere intrappolati per la vita (quella che ancora ci resterà) in una spirale digitale senza fine.
La verità, dunque, è che siamo messi molto male e non ci vuol nulla per arrivare al punto di non ritorno. Urge cercare una via d’uscita prima che sia troppo tardi. Certo, non possiamo aspettarci prodigi come ad esempio sperare di vedere i fautori del cyber spionaggio internazionale e della globalizzazione selvaggia, miracolati da Gesù, salire come Zaccheo sul sicomoro di Gerico; troppa grazia! Ciò nonostante, possiamo ancora cercare un immediato rimedio e agire con misure riparatorie: qualcosa invero si muove e, se non soffriamo di pareidolia, potremmo aver visto giusto.
L’India e il Mediterraneo
La Cina non solo invade il pianeta con inutili cianfrusaglie; non solo fa di tutto per detenere il monopolio mondiale dell’elettronica; non solo investe nelle migliori aziende occidentali per acquisire il complesso di conoscenze ed esperienze tecniche, ma oltre a ciò ci ‘sorveglierebbe’ con tutti i mezzi immaginabili e no, per mantenere la supremazia economica sull’Occidente e sul pianeta. Ordunque, liberarci dal ‘controllo’ digitale, dalla tecnologia «pervasiva», dalla dipendenza economica cinese e dai casi di «faute mercatoria» nell’asimmetrico mondo di oggi, creando un nuovo partenariato economico internazionale, che possa sopperire a tutte le necessità che la moderna geoeconomia richiede, può essere una valida via d’uscita.
Ed ecco che nel recente G20, è stato prospettato, in contrapposizione allo strapotere della Cina, un grandioso piano infrastrutturale di crescita economica e cooperazione tra l’Europa, il Medio Oriente e l’India. Questo progetto è definito India-Middle East-Europe Economic Corridor; l’acronimo internazionale è Imec. In altre parole si tratta di una strategia alternativa, ovvero della realizzazione di un’«autostrada» in senso inverso alla Belt and Road Initiative (Bri) e da taluni già definita «la via del cotone» con Nuova Delhi al capolinea Est. E perciò avremmo un nuovo percorso economico con altri compagni di viaggio quali Arabia Saudita, India e Unione Europea. Tutti Paesi, questi menzionati, legati al rispetto delle regole di mercato e che ragionevolmente non dovrebbero avere la necessità di spionarsi a vicenda.
In cauda venenum
Ordunque, sarà questa la buona strada che ci consentirà di risolvere i nostri problemi? Beh, probabilmente sì, ma a prescindere dalla risposta, sorge una questione pregiudiziale: riusciremo a liberarci completamente e in tempi brevi dal dominio dell’economia digitale del Dragone? Sinceramente sarà dura, ma, non avendo altre vie d’uscita, non ci rimane che perseverare nell’anzidetto tentativo in corso! Non a caso un vecchio adagio recita: «Vincit qui patitur», ossia vince chi persevera.
E così sia!
Giuseppe Arnò
Direttore La Gazzetta italo brasiliana – http://rivistalagazzettaonline.info