Qualche piccolo aiuto ai tantissimi soggetti politici che nascono come funghi da un trentennio in qua e che, me lo si consenta, parlano e scrivono senza conoscenza e competenza in una confusione di parole lanciate sui social e sui media a sproposito. Qualche esempio della bagarre trentennale: tutti si dicono riformisti e altrettanti si autoqualificano come liberali, altri allo stesso tempo si dicono conservatori e riformisti ed in questa indicibile follia alla fine siamo crollati da quinta potenza mondiale al niente di oggi.
Prendiamo un argomento alla volta e quest’oggi partiamo un po’ della “Sanità”.
La legge 833/78 istituì il Servizio Sanitario Nazionale con un grande principio fondamentale oggi quasi totalmente scomparso: “La salute è un diritto dei cittadini e la si tutela non in base al reddito ma in base al bisogno”. Principio emanato dai veri ed unici riformisti dell’epoca.
Poi sono arrivati i “sedicenti riformisti” dell’ultimo trentennio che hanno, a mano a mano, distrutto quanto di ottimo era stato fatto fino al 1993 e che aveva posto la sanità italiana al top mondiale come modello. Con loro è iniziata la brutta gara alla distruzione con provvedimenti sbagliati e controproducenti. Valga per tutti l’assurdo obbligo dei folli test di ingresso per medicina che ci ha portato ad avere un deficit di medici abissale, le retribuzioni bassissime, posti di lavoro insicuri, trasformazione della sanità territoriale in “aziende” sconvolgendo il vincolo solidaristico della cura e tagliando posti letto a migliaia in tutte le regioni per cercare di salvaguardare i bilanci la qual cosa ovviamente non ha per niente funzionato.
Ma di un provvedimento in particolare vorrei parlarvi quest’oggi: l’intramoenia dove l’ispiratrice ed autrice, Rosy Bindi, pasdaran della moralità pubblica, la pubblicizzò con questo slogan: “Nasce per abbattere le liste d’attesa”.
La Bindi che, al grido della sanità pubblica contro la privata, ne rivendicò la maternità da ministro della Sanità in carica affermò che “l’intramoenia era il modo per affrontare le liste d’attesa e spostare la soddisfazione del paziente dalle cliniche private alle strutture pubbliche, regolamentando il professionista, le tariffe, le entrate fiscali ed ovviamente le liste d’attesa, tant’è vero che si prevedeva che nessun professionista avrebbe potuto sviluppare volumi di attività intramoenia se non si faceva carico di abbattere le liste di attesa.” In realtà tutta l’attività libero-professionale effettuata all’interno delle strutture pubbliche (Alpi) da parte dei medici dipendenti si è semplicemente trasformato di fatto in un compenso aggiuntivo alle basse retribuzioni dei medici del Ssn italiano.
La crociata verbale dell’ex ministro contro la Sanità privata e convenzionata non ha prodotto altro che il sostanziale decadimento qualitativo e quantitativo della pubblica e le liste d’attesa sono diventate voragini che sfuggono a qualsiasi logica e controllo. Purtroppo in realtà il ricorso all’Alpi di fronte all’allungamento delle liste di attesa, in special modo dopo la fase pandemica del Covid, si è rivelato una modalità per aggirare tale ostacolo e rappresenta, all’interno di un servizio sanitario pubblico, un’evidente contraddizione e un elemento di disuguaglianza.
Se all’intramoenia vi aggiungiamo la tragedia gestionale e funzionale dei Pronto Soccorso il quadro diventa tragico. Come se non bastasse le Regioni sono quasi tutte sprofondate in debiti enormi, per cui a scarse e pessime cure si aggiungono voragini nei conti pubblici. A tale riguardo ne prendiamo a campione uno solo il Lazio che, chiusa l’esperienza di Zingaretti, ha lasciato un debito della sanità pari a 22 miliardi e 300 milioni di euro (dato fornito dal neo governatore laziale Rocca).