Ayrton Senna: il campione che correva con Dio nel cuore

La storia di un uomo che ha trasformato la velocità in fede, trovando nel divino la forza per affrontare le curve più difficili della vita.

di Francesco Mazzarella

Ayrton Senna non era solo un pilota straordinario, era un uomo profondamente legato a qualcosa di più grande: la fede in Dio. La sua vita, la sua carriera e la sua eredità sono intrecciate con il filo invisibile della spiritualità, un elemento che lo ha guidato attraverso le curve più difficili della vita e delle piste, donandogli un’aura che lo distingue da qualsiasi altro campione. Parlare di Senna significa entrare in contatto con un uomo che non si limitava a correre per vincere, ma che viveva per lasciare un segno, per connettersi con il divino attraverso ogni istante del suo viaggio.

Senna era il simbolo della perfezione tecnica e della passione pura. Ma per lui, quel talento non era solo il frutto del lavoro o della determinazione; era un dono. “Io credo in Dio. Per me Dio è la mia guida, il mio ispiratore”, diceva spesso nelle interviste. Parlava della velocità con cui affrontava le curve come di qualcosa che andava oltre le sue capacità umane, come se le sue mani fossero mosse da una forza superiore. Non era arroganza, ma gratitudine e consapevolezza di essere uno strumento nelle mani di qualcosa di più grande.

Fin da giovane, Senna aveva un rapporto speciale con la fede. Nato in una famiglia benestante a San Paolo, Ayrton crebbe in un ambiente dove i valori cristiani erano centrali. Tuttavia, non si trattava di una religiosità superficiale o legata a convenzioni sociali. Per lui, la fede era una dimensione intima, un dialogo quotidiano con Dio.

La Formula 1, con la sua velocità estrema e i pericoli costanti, era per Senna un terreno dove la spiritualità diventava tangibile. Ogni gara, ogni curva poteva essere l’ultima, ma lui non aveva paura. Anzi, la sua fede lo rendeva ancora più determinato. “Quando sono in macchina, sento che Dio è con me”, affermava. Per Senna, il volante era un altare, il circuito una cattedrale.

Durante il Gran Premio di Monaco del 1988, Ayrton fece qualcosa di leggendario. Stava girando in modo così straordinario da sembrare imbattibile. Più tardi, raccontò che in quei momenti si sentiva come se fosse entrato in una dimensione diversa, come se fosse al di sopra del limite umano. Disse: “Non ero più in controllo totale. Avevo una sensazione molto speciale. È stato come se avessi una guida divina.”

Ma Ayrton non era immune ai dubbi e alle paure. Ogni volta che un collega perdeva la vita, la realtà della Formula 1 si faceva più pesante. Per lui, però, anche il rischio faceva parte del disegno divino. Non era fatalista, ma accettava con profonda umiltà che tutto fosse nelle mani di Dio.

La preghiera era una costante nella vita di Senna. Prima di ogni gara, si ritagliava un momento per pregare, cercando la forza e la pace interiore. Per lui, vincere o perdere non era una questione solo di risultati, ma di come affrontava ogni sfida. Era consapevole che la sua carriera poteva finire in qualsiasi momento, ma questo non lo spaventava. Al contrario, gli dava il coraggio di spingersi sempre oltre, sapendo che stava facendo ciò per cui era stato chiamato.

La preghiera era anche un rifugio nei momenti difficili. Nel 1992, durante una stagione complicata, Senna trovò conforto leggendo la Bibbia. Disse: “Ci sono stati momenti in cui mi sono seduto da solo a riflettere, a leggere, e ho trovato la forza di andare avanti.”

Il 1° maggio 1994, Ayrton Senna affrontò il Gran Premio di San Marino con un peso enorme nel cuore. Durante le qualifiche del giorno precedente, aveva assistito all’incidente mortale di Roland Ratzenberger, un evento che lo aveva scosso profondamente. Nei suoi occhi si leggeva la paura, ma anche la determinazione di continuare a correre. Prima della gara, Ayrton trascorse del tempo con la Bibbia. Una delle ultime cose che scrisse nel suo diario fu: “Il Signore è il mio pastore, nulla mi manca.”

La gara iniziò, ma quella sarebbe stata la sua ultima corsa. Al settimo giro, Ayrton ebbe un incidente fatale. L’impatto fu devastante, non solo per il mondo dello sport, ma per chiunque avesse visto in lui un simbolo di umanità e speranza. Tuttavia, anche in quel tragico momento, la sua fede lasciò un segno. Nella sua macchina venne trovato un piccolo vessillo con il messaggio: “Dio è grande.”

La morte di Ayrton Senna lasciò un vuoto enorme, ma la sua eredità spirituale continua a ispirare milioni di persone in tutto il mondo. Non era solo un campione di velocità, ma un campione di umiltà, fede e compassione. Dopo la sua morte, la famiglia fondò l’Instituto Ayrton Senna, un’organizzazione che aiuta i bambini brasiliani a costruire un futuro migliore. Questo fu il modo di Senna di restituire al mondo ciò che aveva ricevuto.

Ayrton Senna credeva che il suo talento fosse un dono e che fosse suo compito usarlo per fare del bene. La sua vita ci insegna che non importa quanto si possa essere grandi, c’è sempre qualcosa di più grande che ci guida. La sua fede in Dio non era solo una parte di lui, ma il cuore pulsante del suo essere.

Ayrton Senna non è più con noi da oltre trent’anni, ma la sua storia rimane viva. Ogni volta che un bambino sogna di diventare un campione, ogni volta che qualcuno affronta le difficoltà con fede e determinazione, Ayrton vive. La sua fede in Dio non era solo una questione personale, ma un messaggio universale: credere in qualcosa di più grande, trovare forza nella spiritualità e non arrendersi mai.

Senna non era solo un pilota, era un uomo che ci ha mostrato come vivere con passione, fede e amore. E in questo, rimarrà per sempre un campione non solo delle piste, ma anche dei cuori.

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