Giuseppe Grassonelli e Carmelo Sardo: Malerba, Storia di un uomo nuovo. Premio Sciascia 2014

Sardo cita le parole dell'ex killer "non so se la felicità può esserci dentro la legalità, ma so che di sicuro non può esserci alcuna felicità al di fuori di essa”

Immagini:
Copertina di "Malerba"
Giuseppe Grassonelli
il giornalista – scrittore Carmelo Sardo durante la presentazione di Malerba alla libreria "Tra le Righe" di Roma

La libreria [i]fra le righe[/i] a [b]Roma [/b] ha ospitato, qualche giorno fa, [b]Carmelo Sardo[/b], scrittore e giornalista di Canale 5, per presentare il suo ultimo libro, [b]Malerba[/b]. Edito da Mondadori e vincitore del [b]Premio Sciascia 2014,[/b] “Malerba” è stato scritto a 4 mani con il [b]boss “stiddaro” Giuseppe Grassonelli[/b], pluriergastolano in carcere da 22 anni.

Malerba non è che il soprannome datogli dai suoi compaesani fin da piccolo e in quel soprannome c’è il suo destino. Il racconto autobiografico della vita di Giuseppe Grassonelli è una storia forte, spietata – ma anche ricca di umanità, “come tutte le storie che partono dal male e che finiscono nel bene”, come dice lo stesso scrittore Carmelo Sardo.

A 16 anni Giuseppe era un ragazzino fin troppo sveglio, il delinquentello che con gli amici si divertiva a rubare le vespe e a fare qualche mascalzonata che poi veniva puntualmente punita con le botte di suo padre, ma dopo qualche anno un grave delitto di mafia lo porta a diventare quello che è stato: il 21 settembre del 1986 la sua famiglia, seduta a un tavolo di un bar al centro del paese, viene sterminata, insieme ad altre persone innocenti, da un commando di sicari: erano colpevoli di non essere scesi a patti con Cosa Nostra.

E’ la prima strage di mafia di Porto Empedocle.
Suo nonno Giuseppe, suo zio Gigi, un suo cugino, al quale era legatissimo, vengono massacrati. Lui stesso ferito e braccato, scampa all’agguato per miracolo, nascondendosi dietro al pneumatico di una macchina, ma riconosce la voce dei killer.

Ha vent’anni Grassonelli, non comprende i motivi della strage, non sa nulla di mafia, ma sa che deve fuggire, nascondersi. Il dolore per la perdita dell’amatissimo nonno e dei suoi cari alimenta la sete di rivalsa, e da quel momento non pensa ad altro: organizza scientemente la sua vendetta, intesse alleanze con altre famiglie che nascono spontaneamente per la necessità di opporsi a Cosa Nostra. Si procura armi, uccide decine di persone: i killer e i boss ai vertici di Cosa Nostra che avevano decretato lo sterminio della sua famiglia. E’ la dura legge dell’occhio per occhio, dente per dente.

Racconta Carmelo Sardo che Grassonelli dopo ogni strage, per sapere se l’agguato fosse andato a buon fine, se la vittima fosse stata ferita o uccisa, se lui fosse stato o meno riconosciuto e soprattutto per conoscere le strategie di ricerca della polizia, aspettava il servizio su una rete privata regionale del giovane cronista Carmelo Sardo , che dal luogo del delitto inconsapevolmente forniva notizie e indicazioni al killer.
Grassonelli lo chiamava il suo “agente segreto”, gli ha confessato vent’anni dopo durante il loro primo incontro presso il carcere di Carinola a Caserta.

Ci si chiede come mai Giuseppe Grassonelli non si sia rivolto allo Stato: Sardo spiega che per capirlo bisogna calarsi in quei tempi, anni in cui lo Stato- sono parole di Grassonelli- parlava alla mafia “ammiccando” ad essa: per poter istruire il maxi processo Falcone e Borsellino furono costretti a rifugiarsi in un’isola super protetta in un’aula bunker – Grassonelli, nell’ingenuità dei suoi vent’anni, era convinto che lo Stato e la Mafia fossero la stessa cosa, non poteva consegnarsi alle istituzioni, riteneva che lo Stato non fosse in grado di proteggerlo.

Grassonelli diventa dunque un criminale perché non aveva alternative, non conosceva altre vie d’uscita, “coinvolto per sopravvivere, mafioso per combattere contro la mafia”: Non si pentirà mai perché non ha nulla da dare allo stato, né nomi, in quanto sono ben noti i nomi dei boss di Cosa Nostra, né obiettivi e piani futuri, perché non li conosce. Egli è il mandante di sé stesso.

Il romanzo, è un continuo intrecciarsi tra i ricordi e le voci del passato e lo squallore del presente in carcere (il corsivo nelle pagine di Malerba sta a sottolineare che sono i pensieri di Grassonelli di oggi), nella sua cella “singola” di 8 metri dove da semianalfabeta qual’era, ha studiato, ha scritto il suo romanzo e si è laureato con 110 e lode in Lettere Moderne all’ Orientale di Napoli.

In carcere lo “stiddaro”ha avuto la possibilità di cambiare e di diventare diverso, un detenuto modello. La sua condanna, la sua “pena di morte” si chiama “articolo 4 bis”- ovvero l’ergastolo ostativo- applicato solo a chi si macchia di omicidi commessi nell’ambito di una guerra di mafia .

“Chi è condannato a questa pena,” spiega Carmelo Sardo, “non può mai uscire dal carcere, né passare le feste in casa o in famiglia, né chiedere mai neanche un permesso di un’ora. Non c’è alcuna alternativa al carcere”.

La storia di Grassonelli nella sua crudezza fa riflettere, e apre la strada a molti interrogativi: ma è davvero giusta questa pena? E’ legittimo non lasciare mai che uno spiraglio di luce, di “fiducia” interrompa la morte bianca e la dolorosa consapevolezza del “fine pena mai”,anche per chi si dimostra cambiato, rieducato e riabilitato dal carcere?
Oggi Grassonelli ha capito: sa di aver sbagliato, sta pagando per questo ed è giusto che sia così: Il suo è stato un percorso di riscatto, di ritorno a quello che non è stato e che sarebbe potuto essere. “Oggi è un uomo diametralmente opposto al criminale di un tempo” .

Sardo racconta che l’ex killer stiddaro di Porto Empedocle, raccomanda ai suoi figli, oggi grandi, di rivolgersi sempre alla legalità, perché – e cita le sue parole[i][b]” non so se la felicità può esserci dentro la legalità, ma so che di sicuro non può esserci alcuna felicità al di fuori di essa”.[/b][/i]

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