Immagine: “Colapesce”, affresco di Guttuso
Alternando testi d’invenzione con quelli di riflessione saggistica nell’àmbito degli studi folclorici, Giuseppe Cavarra pubblica La [i]leggenda di Colapesce[/i] presso l’editore Intilla di Messina [1998] (un editore messinese per la più messinese delle leggende). Nella storia di Colapesce, uomo-pesce, confluiscono infatti – dice l’autore – “atteggiamenti e costumi che sono del popolo siciliano e di quello messinese in particolare”:[i] messinesità[/i] che “ha il suo fulcro nella scoperta della colonna che traballa sotto Messina” (sicché la leggenda finisce col diventare l’ipostasi di quei calamitosi fenomeni naturali che sono i reiterati terremoti della storia millenaria della città, non ultimo quello catastrofico del 1908).
Ma quella di Colapesce che “si sacrifica” per la sua gente, a reggere sott’acqua la colonna traballante, non è che una delle tante versioni di un vero e proprio mito “eroico”: suoi antecedenti sono gli stessi “miti che gli antichi collocavano nell’ampio scenario dello Stretto”. Quello che conta – aggiunge Cavarra – è la [i]dinamica cultural[/i]e che il mito esprime, né esso avrebbe avuto una così lunga tradizione se non si fosse alimentato “di vita vissuta, se non avesse [i]funzionato[/i] in termini di memoria nella collettività che vi scopre le radici della propria identità”. Si trova qui implicata quella nozione di “rielaborazione popolare” dei racconti mitici che fu già del Pitré (“in molte fiabe noi troviamo avanzi dei miti primitivi”; “il passato non è morto, il passato vive in noi e con noi”), giacché “le tradizioni popolari – come riassume il Cocchiara – sono il frutto del passato, ma vivono perché il presente, rinnovandole, la ha fatte proprie”.
Tra questi antecedenti Cavarra si limita a citare – [i]nomen omen[/i] – la figura di S. Nicola di Bari (travestimento cristiano di Posidone), i cui piccoli pani ancor oggi vengono venduti con valore apotropaico nei confronti delle tempeste marine sia nello Stretto di Messina, sia in Puglia che in Grecia. A nostro avviso la leggenda di Colapesce, ambientata proprio nella punta più estrema dell’isola (c.d.Torre Faro), lì dove la mitologia classica collocava il mostro-gorgo Cariddi a fronteggiare la compagna Scilla, presenta marcate analogie – e in questo senso offriamo lo spunto ai futuri ricercatori – con uno dei miti greci ivi localizzato: quello di un figlio di Posidone, il cacciatore Orione/Peloro, inseguitore delle Pleiadi assunto dopo la morte nell’omonima costellazione, al quale il Ciaceri riferiva persino l’immagine della lepre che corre coniata sui tetradrammi di Messene nel V sec. a.C.-
Come infatti riporta qualche versione della leggenda, Colapesce era uso attraversare lo Stretto a nuoto sott’acqua (con tipica ironia inglese il Brydon: “… il credulo [Athanasius] Kircher asserisce che camminando poteva attraversare lo Stretto sul fondo del mare”), esattamente come Orione, che però “sovrastava le onde con l’omero” (“[i]umero supereminet undas[/i]”: Virgilio, [i]En[/i]., X, 763/5). Una altra analogia (che spiega perché alcune versioni della leggenda parlano di nascita catanese di Cola,
venuto poi a Messina) è da vedere con i Titani vinti da Zeus e seppelliti sotto l’Etna, cioé Encelado e Tifeo: anch’essi sostengono le colonne della Sicilia. Così il “fuoco” che Cola vede quando si tuffa nello Stretto non è che quello dell’Etna, che “scorre” effettivamente fino ai vulcani delle Eolie e che, insieme con i terremoti, ha sempre caratterizzato le vicende dell’isola.
La struttura del libro di Cavarra si rifà volutamente alla ricerca del Pitré sull’argomento (ben 173 pagine negli[i] Studi di leggende popolari[/i] in Sicilia del 1904), e pertanto riporta sia le fonti scritte (quelle della tradizione letteraria nazionale e internazionale, a partire da Salimbene de Adam [1221-1287] e fino a un testo di Dario Bellezza, e quelle della tradizione locale da Francesco Maurolico fino, nei nostri giorni, alle messinesi Paola Fedele e Maria Costa) sia le “trascrizioni” della tradizione orale messinese assunte sul campo (22 informatori, con un’appendice di 30 interviste brevi, a tentar di “fissare” la stessa complessa e sfuggente figura dell’eroe archetipico). Ed è ovvio che, come a ogni etnoricercatore, anche per Cavarra l’impegno maggiore sia stato per i racconti assunti dal vivo e riportati sia nell’imprescindibile dialetto locale (seguìto financo nelle caratteristiche fonetiche) che nella propria versione in lingua. Peccato che non abbia potuto darci anche la mimica dei narratori, quella che, insieme con le immagini naturali, rendeva unica e “intraducibile” al Pitré la famosa narratrice Agatuzza: mimica e immagini “per le quali diventano concrete le cose astratte, corporee le sovrasensibili, vive e parlanti quelle che non ebbero mai vita o l’ebbero solo una volta”.
Sergio Spadaro
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Sergio Spadaro, saggista, scrittore e poeta di cultura umanistica e scientifica. Nato sulla costa jonica messinese, dopo la laurea è vissuto dapprima in Sicilia e dal 1968 al Nord (Piemonte). Risiede a Milano dalla fine del 1997. Collabora con interventi critici su varie riviste letterarie. Ha pubblicato: con le Edizioni del Leone (Spinea-VE) “Nel rogo” (1987), “Sotto lo stesso cielo” (1991) e “Sàvoca”; con le Edizioni Tracce (Pescara) “La Kore d’Hipponion e altri poemetti” (1994); con Galli Thierry Stampa (Milano) “Onda mediterranea” (2000); con Ismeca Editrice – Bologna (2010) “Piccolo cabotaggio” Selezione di saggi e recensioni letterarie (1978-2008); con le edizioni ACR dell’Associazione Christian Hess ha pubblicato il saggio “Espressionismo Siciliano” (2011); con Ismeca Editrice (Bologna 2014) “Lontananze e risacche” Saggi e recensioni letterarie (2005-2013) e in appendice introduzione e versione de “Il Cimitero marino” di Paul Valery, con un disegno di Michele Spadaro pittore lirico scomparso nel dicembre 2011.