Renato Calapso in un intervento apparso su “Pagnocco” (n° 16 del genn.-aprile 2009), la benemerita rivista stampata a Messina su iniziativa e a cura del compianto Giuseppe Cavarra, si chiedeva – a dieci anni dalla scomparsa – quale fosse la “presenza” di Nino Crimi, la cui posizione defilata (anche in senso editoriale) nel campo letterario fu peraltro accompagnata dall’interesse da parte della migliore critica italiana del tempo (fra anni ’60 e ’70). Se è vero che Crimi, anche in consonanza di certi risvolti caratteriali, fu sempre all’opposizione rispetto alla cultura ufficiale del suo ambiente (incarnata da Pugliatti e Quasimodo alla Libreria dell’OSPE, quando invece Crimi, con Eugenio Vitarelli, altro eslège, frequentava il “Select” sulla via Cannizzaro), è anche vero che i suoi contatti con illustri personalità [i]extramoenia[/i] furono sempre coltivati e costanti. Questo contrasto è comunque alla base di quella che qualcuno chiamò la “leggenda di Nino Crimi” (“contrasto tra l’obiettiva rilevanza del poeta e la sua ostinata collocazione nell’ombra”).
Calapso concludeva il suo intervento con il quesito: “resterebbe da affrontare il problema della poesia di Nino Crimi”. Senza alcuna pretesa di dire qualcosa di definitivo su questo “problema”, abbiamo ritenuto perciò di recare un contributo critico in tale direzione, grazie all’occasione che ci offre la ristampa dell’intero [i]corpus [/i]poetico di Crimi, a cura della moglie Angelica Milio e con prefazione di Sergio Pent, per le edizioni GBM by GEM (Messina, 2010).
Nino Crimi (Giammoro [ME], 1929 – Messina, 1997) ha pubblicato sette sillogi poetiche, alle quali si aggiunge in questo volume un corposo mannello di [i]Inediti.[/i] Già Giuseppe Zagarrio notava che “riflessi” fosse una “parola imponente nel lessico del primo Crimi ([i]Libero-dici[/i], Il Raccoglitore, Parma, 1954). Proprio [i]Riflessi [/i]s’intitolava la prima sezione della prima raccolta, caratterizzata da un’introversione troppo solipsistica. Anche la raccolta successiva, [i]Del corpo e d’un sorriso[/i], Salv. Sciascia, CL-RM, 1955) s’inizia con una sezione intitolata [i]Riflessi[/i]. Qui il rispecchiamento del mondo è maggiore e quando la referenza è all’ambiente campestre e contadino, ci sono testi che si ammirano per freschezza, come per il riuscito epigramma di p. 86, che giova riportare per intero: “Questa volta rivarco più leggero / la soglia; /il mio peso è del corpo e d’un sorriso. /Il resto / non ha casa e rimane / un accordo col mondo / che modulo in ascolto, / senza chiasso”.
Il successivo libro, [i]Canto delle tuniche [/i](Landi, BO, 1957) è ripartito in quattro sezioni e nella prima fa registrare la sperimentazione di versi lunghi. Il prefatore Bent si chiede se Crimi fosse un poeta ermetico, mentre Mario Boselli – nella prefazione al precedente volume – parla di “memorie d’ermetismo, come analogie del fisico col metafisico, del corporeo e l’incorporeo che si scambiano a vicenda i valori loro propri”. [i]L’ombra del gelso grande[/i] (Rebellato, Padova, 1959), la raccolta seguente, è divisa in due sezioni. Anche qui, quando la referenza è al contesto contadino, ci sono testi molto belli nella loro icasticità (come [i]E’ una fiera di spose, Il crisantemo odora di bivacchi, prima del gallo è desta[/i]). Nella quinta poesia di Paesaggi è citata la località di Mortelle, sulla costa tirrenica, dove sorge un albergo e uno stabilimento balneare. Ci piace al riguardo riferire un ricordo personale, di quando – alcune volte – incontravamo Crimi che accompagnava Maria Luisa Spaziani in quell’albergo, dove lei soggiornava durante le sue permanenze a Messina. Ha detto la Spaziani, ribadendo il commosso ricordo di Crimi riportato in appendice: “Dopo il ’64 si aprì per me la lunga avventura siciliana. Ero autorizzata dall’università a stare soltanto una settimana al mese a Messina, ma fu così densa laggiù la mia vita, tra scoperte, esperienze e avventure, da farmi considerare quei ventott’anni come un’isola felice e molto feconda per la mia poesia (in [i]Montale e la Volpe[/i], Mondadori, MI, 2011, p. 94).
Del volume che segue, [i]Un volo migratorio, [/i]Tip. Editrice Romana, RM, 1969), Pier Paolo Pasolini ebbe a dire che ha come tematica “il volo, come attesa e illusione di libertà”. Prevale il paesaggismo ed è da condividere il giudizio del prefatore, secondo il quale c’è “un bisogno quasi antropologico di appartenenza geografica a una natura fiutata nei suoi risvegli stagionali, nelle pause e nei silenzi, ma con una discrezione che non è mai descrizione, solo fiato sul collo delle sensazioni”. Ma anche se la brevità epigrammatica di molti testi si avvicina all’epigrammismo di Bartolo Cattafi, non riteniamo che fra i due ci siano quelle “assonanze” a cui allude il prefatore. E’ giusta però la sua conclusione, che “la grandezza delle parole di Crimi sta tutta in quel che suggeriscono, più che in ciò che esprimono apertamente”.
Il titolo della sesta raccolta, [i]Falce naturale[/i] (D’Anna, ME-FI, 1974), allude alla forma del porto di Messina (già chiamata con etimo siculo [i]Zànklon[/i], falce, dai primi ecisti greci – cumano/calcidesi – dell’VIII sec. a, C.). Lo dice apertamente Crimi, nel secondo bel testo della raccolta: “Il mio porto è falce naturale / fortezza / una fantasia costante/ una lama di fine e di certezza/ una conca che affiora / è brivido di notte / una spiaggia di lastre / di ombre e di riscontri / montanti discendenti”. E l’ultimo verso allude alle caratteristiche correnti dello Stretto che nell’antichità diedero origine al mito di Cariddi. Di questo libro già Giuseppe Zagarrio aveva lodato lo “strenuo rigore intellettuale e morale”.
[i]Nei pensieri mobili[/i] (Pendragon, BO, 1995, con prefazione di Roberto Roversi), la settima raccolta, si caratterizza per una più spinta sperimentazione. A volte ci sono passaggi di vera e propria invettiva, come notava Giovanni Giudici ([i]L’unità[/i], 1995). Il ritorno del Crimi migliore c’è nelle [i]Poesie inedite[/i]. Oltre ai referti di viaggi all’estero c’è anche la denuncia della cementificazione di Milano. Ma è come sempre la referenza al paesaggio siciliano dello Stretto che dà testi mirabili. Vale per tutti [i]L’ora dell’aquilone[/i]: “Rompe il grecale, smorza / l’infuocato turgore di montagna; / si respira, si vola / verso il mare aperto; / s’infemmina lo Stretto, / apre le gambe ai Turchi / s’inonda, si rinfresca. / L’onda monta la schiuma dell’onda. / Ebbri, solerti / liberiamo le incatramate vele / sgomitando l’ansia, la guida, / l’incognita. / Il filo ammatassato srotola i pensieri / nel cielo del mondo”
Infine dei vari giudizi critici riportati in appendice, ci piace ricordare l’appassionato saggio che a Nino Crimi volle dedicare il suo concittadino e amico Vanni Ronsisvalle: “Crimi fu certamente visceralmente, carnalmente, soffertamente, gioiosamente poeta. E tanto basta”. (in [i]Crimi, La mappa del poeta [/i]Cesati, FI, 2000).
[i] SERGIO SPADARO[/i]
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[b]Sergio Spadaro,[/b] saggista, scrittore e poeta di cultura umanistica e scientifica. Nato sulla costa jonica messinese, dopo la laurea è vissuto dapprima in Sicilia e dal 1968 al Nord (Piemonte). Risiede a Milano dalla fine del 1997. Collabora con interventi critici su varie riviste letterarie. Ha pubblicato: con le Edizioni del Leone (Spinea-VE) “Nel rogo” (1987), “Sotto lo stesso cielo” (1991) e “Sàvoca”; con le Edizioni Tracce (Pescara) “La Kore d’Hipponion e altri poemetti” (1994); con Galli Thierry Stampa (Milano) “Onda mediterranea” (2000); con Ismeca Editrice – Bologna (2010) “Piccolo cabotaggio” Selezione di saggi e recensioni letterarie (1978-2008); con le edizioni ACR dell’Associazione Christian Hess ha pubblicato il saggio “Espressionismo Siciliano” (2011); con Ismeca Editrice (Bologna 2014) “Lontananze e risacche” Saggi e recensioni letterarie (2005-2013) e in appendice introduzione e versione de “Il Cimitero marino” di Paul Valery, con un disegno di Michele Spadaro pittore lirico scomparso nel dicembre 2011.