Immagini: Leonard Choen -La copertina dell’album “Suzanne”
Era una torrida estate romana del 1997, ed io mi stavo accingendo a partire per la settima e, finora, ultima volta, per la Dalmazia, per un periodo tardo-estivo e pre-autunnale di tre settimane. Destinazione, l'isola di Korcula (Curzola), raggiungibile in traghetto da Spalato e dove non ero ancora mai stato. Una parte per me certamente importante se non addirittura decisiva per la buona riuscita del viaggio era la scelta a priori della sua colonna sonora, e il percorso di ricerca dei cd musicali che mi parlassero di più in quel momento mi porto' a casa di uno dei miei fratelli, dove trovai fra gli altri un cd antologico di Leonard Cohen, celebre cantautore canadese, scomparso recentemente all'età di 82 anni.
Va detto che non scoprivo Cohen soltanto allora, ma che la mia conoscenza di alcune tra le sue più belle canzoni datava già gli anni del liceo, quando raffinavo il mio inglese imparando a cantare dai vinili dell'epoca Dance Me To The End Of Love, First We Take Manhattan o I'm Your Man.
Ma quel cd antologico che trovai a casa di mio fratello, al contrario dei vinili della vecchia collezione di casa, in più oltre le migliori canzoni di Cohen, aveva anche dei pensieri del cantautore messi a commento di ciascun pezzo. E fu lì, attratto dal suo commento, che scoprii per la prima volta quello che forse era, è e sarà sempre per me il capolavoro assoluto di questo grande poeta ed artista: Suzanne!
Cohen, come diceva lui stesso nel commento, si era ritrovato una volta, tempo dopo averla composta, su di un battello sul Mar Nero, e d'improvviso ad un certo punto decise di uscire e di raggiungere il ponte della imbarcazione per godersi il paesaggio. E fu proprio lì, raccontava lui, che da un punto sul ponte poté udire un gruppo di turisti che in quel momento con voce e chitarra stavano intonando proprio la sua "Suzanne", senza potere sapere nulla della compresenza dell'autore stesso, insieme con loro, sullo stesso battello. Che sorpresa che dovette essere quella per lui, e anche che grande soddisfazione.
Così, i più grandi successi di Cohen, prestatimi da mio fratello, rientrarono nella raccolta musicale che mi avrebbe poi accompagnato per tutta la vacanza sull'isola di Curzola. E fu lì che, ascoltata e riascoltata, la bellissima canzone Suzanne cominciò a farsi apprezzare e a parlarmi, con un originale linguaggio per immagini, di molti argomenti che non avevo, all'epoca, mai sentito trattare in quel modo. Fu così che dall'isola di Curzola, un po' come Marco Polo che avuti lì i suoi natali, si sarebbe poi un giorno avventurato lungo i percorsi della via della seta fino in Cina, mi avventurai anche io all'ascolto iniziatico di Suzanne, sempre più diretto verso la sua comprensione e verso il lasciarmi nutrire dal suo the' e dalle sue arance, "comingall the way from China"…
Suzanne è forse la canzone di Leonard Cohen dai più abissali e vertiginosi polarismi, che coesistono e duettano tra loro, riflettendo evidentemente la poliedricità degli interessi culturali e spirituali del poeta, ma forse anche messi per iscritto con lo scopo in qualche modo di contrapporli dialetticamente e di superarli, alla ricerca di un equilibrio interiore di fondo, un valore fisso e costante per noi tutto da scoprire e sperimentare.
Se lo scienziato Fritjof Capra ha scritto "Il Tao della fisica", Leonard Cohen con questa canzone potrebbe a ben dire potere avere scritto il Tao della canzone d'autore.
Fra Oriente ed Occidente, amore e mancanza di amore, salute spirituale e follia divina, povertà di mezzi e ricchezza interiore, elemento corporeo ed incorporeo, visibile ed invisibile, si alternano i versi di questa illuminata ed illuminante canzone; un po' allo stesso tempo anche a metà strada tra buddhismo e cristianesimo, tra la teologia evangelica del Regno che salva soprattutto e innanzitutto chi ne è affamato e assetato, come un naufrago posto di fronte alla necessità di trovare un porto di approdo, teologia impregnata non poco del pensiero neoplatonico con le due Idee cardine della metafisica, quella dell'Uno e quella del Bene, e la via di mezzo del Buddha, ma anche volendo del "medenagan" (nulla di troppo) del tempio apollineo di Delfi.
"Apollo" e "Dioniso" vivono entrambi tra le righe di questa poesia, per il sole che sparge i propri raggi di miele su tutto il creato, valorizzandolo al di là delle apparenze e conferendogli significato, e per la dimenticanza di se', quasi indifferente verso se stessa, negli abiti come nel modo di comportarsi, che Suzanne, folle di Dio, dimostra di possedere, come un San Francesco redivivo in chiave contemporanea, come un derviscio danzante, o come un Baul del Bengala.
Il fiume, che scaturisce da alte e spesso sconosciute sorgenti montane, per discendere poi a valle prima di sfociare nelle acque del mare, e' stato spesso foriero, nella letteratura fiction così come non-fiction e biografica, di opportunità di meditazione e di "illuminazioni". È infatti su di una barca lungo un fiume che Govinda e Siddharta, nell'immortale capolavoro di Hermann Hesse, si riincontrano, nell'ultimo capitolo del libro, circostanza nella quale Govinda ha modo di accorgersi, stupendosi di quanta strada avesse fatto quel suo vecchio amico e di come saggio fosse diventato, della maschera del volto sorridente di Siddharta, "esattamente il costante, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l'aveva visto centinaia di volte con venerazione. Così, questo Govinda lo sapeva, così sorridono i Perfetti".
E come dimenticare, allo stesso tempo, l'incredibile e per molti versi anche misteriosa esperienza che fece Ignazio di Loyola, come racconta lui stesso nella sua autobiografia, un giorno assolato seduto presso il fiume Cardoner: scrive Ignazio di avere ricevuto quel giorno, e in un così breve arco di tempo, così tante illuminazioni e rivelazioni nello Spirito come mai gli era capitato fino a quel momento né più gli sarebbe ricapitato. C'è chi ipotizza, tra gli studiosi, che queste rivelazioni abbiano riguardato essenzialmente una visione unitaria del Tutto, la natura di Dio, dell'uomo e la vita nel cosmo, come se attraverso una intuizione analogica tra il naturale e il soprannaturale, egli avesse colto per la prima volta di fronte a quel fiume il comune destino delle creature secondo il progetto di vita di Dio Creatore, provenienti tutte dalla stessa sorgente di vita, e destinate a riversarsi un giorno nello stesso immenso e sconfinato alveo del grande mare dell'Essere, di Dio, Alfa e Omega, principio e fine di ogni cosa.
Così la Suzanne di Cohen, personaggio a metà strada tra il reale e l'immaginario, dal suo posto accanto al fiume irradia la sua divinamente folle visione dell'amore e del rapporto con gli altri: di fronte a Lei tutte le apparenti contraddizioni umane spariscono, puoi vederla vestita di stracci e tuttavia avere una alta opinione del suo carattere e della sua nobiltà d'animo, puoi essere un uomo con un passato tormentato, dal cuore duro, non sapere cosa sia l'amore di Dio, l'amore incondizionato, e tuttavia sentirti rispondere che la tua povertà d'amore che senti e dici di avere non è che un miraggio nel deserto, dietro al quale si cela la misteriosa ma immutabile verità che nonostante tutto tu non soltanto hai sempre avuto amore, ma sei sempre "stato Amore"…
Questa disponibilità praticamente totale, e forse per questo anche angelicata, poetica ed ideale, abbraccia il visitatore immaginario (Cohen e forse noi con lui) in modo così diretto e disarmante, da fargli desiderare di lasciare tutto, di buttarsi dietro alle spalle la propria (in questo caso per davvero) povera e misera vita, e mettersi in cammino, in viaggio con la "Signora del Porto", baciata dal sole, e da questo stesso sole accecata nello spirito in modo tale da non distinguere neanche più tra fiori e spazzatura, tra bene e male. Lei è ormai al di sopra di questi attaccamenti, di questi condizionamenti del mondo esterno nei riguardi del cuore dell'uomo. Nel mezzo si cela la verità, immutabile come il Brahman Hindu o come lo YHWH nella letteratura profetica della Bibbia, costante come il sorriso del Siddharta di Hesse, ed è proprio lì, in mezzo, che lei guarda e che lei "vede", mostrando attraverso il proprio sguardo semplicemente la verità che sta nascosta al di là dell'illusorio mondo della Maya e di Mara, delle sembianze esterne e delle apparenze. Lungo il fiume, davanti alle barche che arrivano, passano e si allontanano, Suzanne ha trovato una volta per tutte il suo centro di gravità permanente, il suo desiderabile equilibrio interiore, privo di attaccamenti e pieno di amore. Amore che grazie alla consapevolezza della Verità lei finalmente davvero possiede in abbondanza al punto da essere capace, oltre che di esserlo, anche di manifestarlo, offrendo the' ed arance, dando se' stessa in cibo per tutti.
Ed è proprio per questo, conclude le proprie strofe per ben tre volte la canzone, che esiste una ragionevolezza per il sentimento di fiducia, verso Gesù, verso "Suzanne", verso la vita, perché l'amore vivo e vero non è schiavo della mondanità, ma considera perfetto tutto ciò che gli passa accanto, e toccandolo sempre e soltanto con il proprio cuore, con la potenza dello Spirito, con la propria mente…
Siamo amore anche quando non lo sappiamo, anche quando dubitiamo disperatamente della nostra capacità di amare, anche quando non lo riusciamo a manifestare. Questo amore vive, nascosto, e dimora dentro i nostri cuori, e non a tutti è dato di poterne essere coscienti, di poterlo "vedere".
Marinaio di Dio, navigatore per le acque mosse ed agitate del mare dell'esistenza, Gesù questo lo sapeva bene, e proprio per questo motivo annunciò la buona notizia del Regno soprattutto e innanzitutto ai più bisognosi, ai deboli ed oppressi, che sapeva che lo avrebbero compreso. Lo hanno compreso perfettamente Gesù e, grazie alla perspicacia intuitiva del grande Cohen, anche la Suzanne della canzone.
Ci sia adesso data, ora che hai fatto ritorno al principio primo della vita, dall'Olimpo dei poeti nel quale ti trovi, e grazie alle Muse che ti ispirarono sulla terra e che ora puoi finalmente contemplare con gratitudine in vista di chissà quali nuove scoperte ed avventure conoscitive e musicali, almeno un po' di questa luce intuitiva che tu hai posseduto per capire, riascoltandole, sempre più e sempre meglio le tue poesie, i sentimenti migliori dell'uomo, il suo potenziale di grandezza e di nobiltà nell'amore umano così come in quello universale, e grazie a te e a tutto questo stupendo lascito artistico diventare persone sempre più ispirate, sempre più prossime alla verità della Vita, sempre più aperte di mente e di cuore, sempre più capaci di amare. Grazie, Leonard!
La celebre canzone ''Suzanne'' è in inglese, l’ho tradotta in italiano per i nostri lettori che potranno meglio apprezzarne il significato leggendola nelle immagini sopra pubblicate.