Fra uomini e donne appena toccati dagli eventi storici del ‘900 in uno scorrere lento degli avvenimenti, tra schemi sociali e pregiudizi, una donna, Gelsomina, tra tenerezza e soprusi riesce con la forza dell’amore a riscattare se stessa e una verità artefatta, in un mondo ad esclusivo appannaggio degli uomini. “La doglia muta”, il nuovo romanzo di Peppe Zambito (Carlo Saladino editore, pagg. 184, €13.00) racconta una Sicilia che non ama cambiare, che si abbandona tra le braccia dei suoi mali, con la necessità di un padrone da combattere e a cui al contempo affidarsi, dove il semplice desiderio sembra appagare l’ambizione di modificare il corso delle cose. Il prossimo 6 aprile il libro sarà “ospite” nell’aula magna del Liceo Caetani di Roma, in cui l’autore converserà con Cosimo Guarino e Giuseppe Argirò.
La prima presentazione ufficiale del romanzo è stata realizzata a Milano. Com'è stato accolto dalla città meneghina?
Una bellissima accoglienza, un pubblico attento, curioso, è stato facile entrare in relazione. Una ulteriore conferma di come la Sicilia sia ancora oggi una terra che affascina. Milano è stata una tappa voluta. Ero curioso di sperimentare la mia scrittura in una regione geograficamente e culturalmente diversa dalla mia. Il risultato è stato davvero sorprendente. I personaggi presenti nel libro prendevano corpo e man mano emergevano affinità interessanti con altre storie, altre vite. In un confronto che non aveva confini e tempo, ma che poneva al centro l’umanità al di là di ogni radice e dialetto.
La gestazione del libro è stata lineare a livello di scrittura?
Il libro ha vissuto diverse fasi, sia dal punto di vista della struttura che della scrittura, frutto di mie incertezze e riflessioni. Un lavoro accompagnato dalla preoccupazione di raccontare una Sicilia già vista: nelle fiction, nelle cronache, nei tanti volumi che ne parlano. Col tempo ho maturato la consapevolezza che “La doglia muta” non è soltanto la storia narrata, ma piuttosto è un punto di vista, quello dei protagonisti. È la loro visione delle cose. Tanti sguardi diversi che si incrociano e che raccontano in modo differente la stessa situazione.
La fonte d'ispirazione può prescindere dalla Sicilia ed essere universale?
“La doglia muta” racconta di uomini e donne che vivono la loro quotidianità in una dimensione paesana, mentre altrove la storia scrive pagine importanti: la nascita della mafia; la prima e la seconda guerra mondiale; la nascita della Repubblica. Avvenimenti che sembrano sfiorare la loro esistenza ma che in realtà incidono profondamente sulla loro vita. Un’umanità che non aspira all’eroismo, che desidera abbandonarsi al corso delle cose, in una rassegnazione rassicurante, ma che è capace di improvvise scelte di coscienza con spinte inaspettate. La Sicilia riesce a rappresentare tutto questo con naturalezza, quasi con vanità. Ma il malessere di vivere e la perenne ricerca di noi stessi credo che non abbia confini.
A Milano la presentazione è stata accompagnata da performance musicali. Qual era il significato di tale abbinamento?
Ho sposato l’idea dell’Associazione “Le Compagnie malviste” di utilizzare il libro come mezzo per parlare di tutte le facce della Sicilia. In questo senso il gruppo di Tano Imparato ha dato un grande contributo favorendo una bellissima atmosfera con i suoni della tradizione che hanno agevolato a comprendere meglio una terra e la sua storia. Tutto ciò accompagnato dall’odore del timo e dal sapore delle arance. Una mescolanza dei sensi davvero riuscita.
Secondo lei, in quali settori la sua regione è andata avanti e in quali invece sembra aver fatto passi indietro?
A dire il vero sono stufo di questo dibattito sulla Sicilia. Comincio a pensare che ciò che può apparire come negativo in realtà sia una scelta. Sì, la scelta di non fare. Di lasciare che gli eventi facciano per te, che le cose cambino da sole, col tempo. Questo è un atteggiamento che libera da responsabilità e lascia il passo a questo senso di abbandono che non è casuale ma quasi gestito. In un contesto di bellezza straordinaria, una ricchezza che fortunatamente comincia, in alcuni casi, ad essere percepita come possibilità culturale e di sviluppo. Basta con le rivoluzioni annunciate. Basta con il proliferare di associazioni, fondazioni, movimenti, centri antimafia! L’antimafia non può essere una scelta, ma la naturale prassi in uno stato civile e democratico. La pratica quotidiana dell’onestà. Forse è il tempo di cambiare il nostro linguaggio per una visione positiva della realtà siciliana, fuori dagli stereotipi. Purtroppo ancora oggi, a giudicare da alcune serie TV di successo, è ancora la rappresentazione di una certa Sicilia che piace e affascina. Bisognerebbe cambiare la sceneggiatura e provare a raccontare la sua bellezza senza se e senza ma.