Messina – Sabirfest, la manifestazione annuale che dal 2014, nello spirito del sabir, la lingua franca che si parlava fino all’Ottocento nei porti e sulle imbarcazioni del Mediterraneo, pone al centro dell’attenzione questo mare, i paesi e i popoli che lo circondano e lo abitano, come spazio di crescita culturale e di partecipazione sociale determinante per prefigurare nuove forme di cittadinanza contro vecchie e nuove ingiustizie, vecchie e nuove preclusioni.
Nel programma di questa edizione 2017, denso di appuntamenti con scrittori, registi, giornalisti e artisti di diverse nazionalità, per letture, incontri, laboratori, cinema, teatro e musica che coinvolgono un pubblico di tutte le età, mi ha piacevolmente sorpresa leggere della presentazione del libro di Aldo Terrusi, Brenga ime shqiptare (It. Il mio magone albanese) prevista a Messina, domenica 8 ottobre ore 18 al transetto del Monte di Pietà, con Saverio La Ruina, Mauro Geraci, Ageta Hilaj e naturalmente l’autore. Seguirà alle ore 21:30 sulla scalinata della storica e suggestiva location, lo spettacolo teatrale ITALIANESI tratto dal libro, di e con Saverio La Ruina, produzione Scena Verticale in collaborazione con Rete Latitudini, Festival Teatro Bastardo e Teatro Clan Off.
Brenga ime shqiptare racconta il viaggio reale dell’autore insieme con lo zio Giacomo in Albania nel novembre 1993, a quarantaquattro anni dal forzoso rientro in Italia di tutta la famiglia, tranne il padre Giuseppe, rinchiuso nel famigerato carcere di Burrel dal Regime instaurato da Enver Hoxha, dopo il processo-farsa del 1945 sull’accusa di aver danneggiato durante la II Guerra Mondiale gli interessi del popolo albanese, essendo lui direttore della Banca d’Italia a Valona. È un percorso alla ricerca della propria storia, con l’intento ultimo di creare le condizioni più favorevoli per riportare in Italia le spoglie del genitore morto nel 1952 durante la detenzione, e chiudere con il passato doloroso della famiglia Terrusi in Albania.
Questa battaglia personale di Aldo Terrusi, che ha già ottenuto dalle istituzioni albanesi il riconoscimento di innocenza di Giuseppe e che oggi prosegue con una petizione lanciata on line, mi ha coinvolta completamente ed emotivamente, sin da quando Aldo mi chiese di aiutarlo a pubblicare quello che era ancora un manoscritto privo di interesse per l’editoria. Decidemmo allora di renderlo attrattivo con mie riflessioni a fronte, le più varie, ispirate dalle vicissitudini dei Terrusi. Arrivammo, così a BESA, una Casa editrice salentina da sempre attenta al travaglio dei Balcani, al crogiolo multietnico del Mediterraneo, al mondo ispanico, dall'Europa alle Americhe. L’editore, riconobbe nel racconto di Terrusi l’importanza di alcuni fatti della Storia albanese ancora misconosciuti e ci propose di pubblicare separatamente il diario di viaggio Ritorno al Paese delle aquile (Besa ed. 2011) e il mio Quando comincia il canto (Besa Negroamaro 2012), un romanzo-mosaico dove il pretesto dell’io narrante è proprio la recensione da fare allo scartafaccio di Ritorno al Paese delle aquile, la cui lettura riempie l’attesa al capezzale del proprio padre e, come si legge nella IV di copertina, “innesca una serie concatenata di pensieri e riflessioni sui temi della vita e della morte, sulla paternità, sul presente segnato da immigrazioni ed emigrazioni da osservare anche alla luce di quelle storiche, sulla condizione della donna occidentale e, naturalmente, sull’Albania con tutti i suoi travagli novecenteschi”.
Il libro di Terrusi è stato poi tradotto in albanese, suscitando interesse anche in un’Albania che stava recuperando velocemente spazi di democrazia e la memoria storica. Attraverso i ricordi della famiglia Terrusi, le testimonianze, le fotografie dell’epoca e i documenti originali del processo subito da Giuseppe Terrusi si possono ripercorrere le drammatiche vicende della pagina di storia più cupa del Paese delle Aquile.