Quella cosa che chiamiamo “web” ha un padre. Un eroe mondiale cui anche il più periferico villaggio del pianeta dovrebbe dedicare una via o una piazza. Tim Berners-Lee, un informatico londinese, intuendo le potenzialità della tecnologia esistente, ha sviluppato un formidabile progetto di ipertesto. Certo, prima c’era stata l’idea di Vannevar Bush che, nel luglio 1945, aveva parlato di Memex e ci aveva spiegato come avremmo potuto pensare, ma la tecnologia era immatura e gli umani aspettavano miracoli più semplici, come la televisione, il frigorifero, lo scaldabagno e – perché no? – le vacanze di massa.
Berners-Lee apre l’ultimo decennio dello scorso millennio dicendoci che possiamo leggere in maniera non lineare, seguire i link e i capricci, dimenticarci il peso della pagina e perderci in un flusso di coscienza (e informazioni) composto di parole, immagini, suoni e movimento. Ma non si limita a raccontarci un sogno; l’inglese ci fornisce gli strumenti per viverlo: un novello Prometeo che regala agli umani un paradigma (http), un linguaggio (html) e un’interfaccia (il browser). Da quel momento il mondo non può più essere lo stesso. Si sa, parliamo di “solipsismo”, indicando la propensione degli individui a risolvere il mondo nelle proprie percezioni. Una forma sublime di egoismo che ci rende incapaci di relativizzare la nostra posizione sul pianeta e ci costringe a coccolare e ad accudire la nostra ambizione alla centralità. Il web ha reso i confini del nostro mondo molto più vicini. Il blasfemo Berners-Lee ha rovesciato l’idea divina e ci ha spiegato che l’io è una sfera infinita, il cui centro è in nessun luogo e la cui circonferenza ovunque. Così facendo ha catalizzato una reazione a catena capace di immergere in un sogno solipsistico l’intera umanità. Il web di Berners-Lee è una meravigliosa idea borgesiana: un labirintico libro di sabbia da cui osservare l’Aleph. Un sogno di sapere universale e di condivisione incondizionata: Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni… se solo non esistessero il mercato e il commercio. Eduardo Galeano ha scritto che, se la pubblicità è l’anima del commercio, allora il commercio ha l’anima che si merita. Quell’anima, prodiga di alitosi e flatulenza, si insinua ovunque e non serve essere Henry Houdini per rilevare la sua presenza. Un mondo di egomaniaci rende la vita facile a prodotti e servizi che, sciacallando sull’invenzione del web, illudono un utente che ambisce alla propria centralità. Basta un click per mostrare l’apprezzamento per la foto di un seno, una frase che sente di intelligenza, l’indimenticabile filmato di un gatto un po’ buffo o una canzonetta sciocca che si dichiara demenziale.
Prestissimo il mondo senza confini regalatoci da Berners-Lee è diventato una sconfinata mipiacecrazia in cui tutti possono ribellarsi condividendo una foto o commentando, con arguzia e sprezzo del pericolo, il tweet di un potente. Possiamo affermare che la democrazia, in quanto dittatura della maggioranza, è una stortura statistica. La mipiacecrazia in cui siamo precipitati – satolli, ignari e soddisfatti – ha consegnato il potere nelle mani del marketing: lo strumento per amministrarlo ha ora la forma di fidelity card. Un universo costretto a vivere nell’onnipresente cagnara prodotta da una massa di individui, indisciplinati e fuori tempo, intenti a dire, tutti, la stessa cosa: “ci sono anch’io!”
In un mondo in cui le sciocchezze possono circolare senza pagare dazio, le opinioni sono un bene raro. Tutti sembrano sapere tutto ma nessuno ha avuto l’opportunità di leggere e studiare. Nel web ci sono tutte le informazioni, ma il rumore di fondo permanente ha reso irriconoscibili le fonti attendibili e autorevoli. Gli aggregatori fanno il loro mestiere: avvicinano contenuti sulla scorta di motivazioni incomprensibili e il poco grano viaggia spesso sul medesimo carro del troppo loglio.
Il 2017 è agli sgoccioli. In questi giorni sentiamo il dovere morale di darci regole di buona vita per l’anno a venire. Diciamo che sono i nostri buoni propositi. Ci piace dichiararli con fermezza per qualche ora e poi ignorarli per il resto dell’anno. Ecco il mio.
Ringrazierò Tim Berners-Lee, tutti i giorni, per avermi offerto le potenzialità inespresse di un mondo di bellezza. Userò il web in maniera qualificata. Ignorerò i sorrisi e gli ammiccamenti, le frasi argute e i memi, i filmati di gatti e le gif animate, le provocazioni e le affermazioni prive di fondamenta, il brutto e l’inutile.