La fata Morgana dello stretto di Messina conduce Re Artù nel giardino incantato dell’Etna

La "Fata Morgana", che in lingua bretone significa "fata delle acque", è la fata di Scin, figura mitologica celtica, e possedeva, tra l'altro, il dono dei giochi d'aria

Dublino –

La settimana scorsa abbiamo presentato la storia delle due consorelle domenicane, uccise dai soldati di Cromwell, ai tempi delle Leggi Penali in Irlanda, i cui ritratti figurano – o almeno uno di loro – alle pendici dell’Etna, nel S. Domenico Palace di Taormina.

L’Etna e’ stata tanto ammirata da scrittori irlandesi e oggi vogliamo presentare la storia del piu’ prestigioso personaggio druidico, che e’ stato ospitato in una delle sue grotte.

Tra Solicchiata e la Valle dell’Alcantara, nel comune di CASTIGLIONE DI SICILIA si possono ammirare tanti castelli e varie regie, incastonati in un paesaggio mozzafiato. Patria – un centro di cultura vinicola, dove echeggia il carpe diem di Ovidio e una connaturata gioia di vivere – e Il Picciolo – un campo da golf tra i più originali del mondo -, sono come due gemme, cadute tra i dirupi e gli anfratti della lava, che brillano in mezzo a vigneti ricchi d’uva, che avrebbero fatto invidia anche a Bacco.

Fu in questo paesaggio naturale, che un antico Re, secondo la leggenda, prese la sua dimora.

Serenità, gioia di vivere, relax della mente e del corpo, allietati da un calice dal contenuto color rubino, dal gusto morbido e avvolgente, sono le componenti di questo ambiente fatato, dove “antiche creature trasformano  l’aria in profumo”, mentre il “magico fuoco dell’Etna si accende in un canto”.

Il “rosso” dell’Etna non solo ritempra le forze e invigorisce il cuore, ma anche risuscita chi sta morendo e in qualche modo lo rende immortale. E proprio quello che è successo a Re Artù, la figura più eminente del mondo druidico, che, ferito mortalmente in battaglia dal nipote Mordred, sarebbe stato condotto dalla fata Morgana, sua sorella e abitante dello Stretto di Messina, in un giardino incantato, all’interno del vulcano dell’Etna, per ritornare un giorno a redimere il suo popolo.

""La "Fata Morgana", che in lingua bretone significa  "fata delle acque", è la fata di Scin, figura mitologica celtica, e possedeva, tra l’altro, il dono dei giochi d’aria. A lei viene attribuito il raro fenomeno ottico-""meteorologico per cui la costa siciliana sullo Stretto appare non solo ravvicinata ma anche riflessa al centro dello stesso mare a chi la guarda dalla Calabria.

Sarebbe stata la stessa Morgana che alla guida di una nave d’argento dalle vele dorate, salpata dall’isola di Man, la mitica Avalon, attraversando l’Atlantico e il Meditennaeno, avrebbe portato il grande Artù, ferito a morte, fino alle falde dell’Etna. Qui, in un castello dove nessun uomo può morire – ed Arturo non morì – il Re guarì, ritemprato dalla forza arcana ed eterna che emana dalle viscere del vulcano e che trova una forma visibile nel rosso della sua lava e in quello vellutato dei suoi vini, capaci di stornare anche la forza di un ciclope o di far rinascere a vita nuova. E fu proprio qui che, secondo la tradizione (riportata da Arturo Graf – Artù nell’Etna, Roma, 1980 -, il quale si rifà ad autori come Gervasio da Tilbury e Cesario di Heisterbach), il grande Artù apparve "in una campagna assai spaziosa e gioconda e piena d’ogni delizia, in un palazzo di mirabil fattura", al palafreniere del vescovo di Catania, che cercava il focoso cavallo del suo padrone.

Gervasio da Tilbury, approdato in Sicilia nel 1189, fu probabilmente il primo  a soffermarsi su questa leggenda di Re Artù alle falde dell’Etna.

"Saputa il re Artù la ragione del suo venire, subito fece menare  e restituire al garzone il cavallo, perchè lo tornasse al vescovo, e narrò come, ferito anticamente in una battaglia da lui combattuta contro il nipote Mordred e Childerico, duce dei Sassoni, quivi stesse già da gran tempo, rincrudendosi tutti gli anni le sue ferite. E, secondochè dagli indigeni mi fu detto, mandò al vescovo suoi donativi, veduti da molti e ammirati per la novità favolosa del fatto", come racconta Gervasio da Tilbury.

Re Artù, quindi, sarebbe vissuto e avrebbe acquistato una nuova vita nelle meravigliose ""valli dell’Etna. “Fino a qualche decennio addietro – scrive Placido Petino – tanti contadini della Pedara, un paesino alle falde dell’Etna, raccontavano che nella zona più brulla ed alta, a monte del paese, nei pomeriggi estivi più caldi, si era intravista l’ombra di un cavaliere antico, stanco, forse ferito, curvo, certamente gravato dal peso di oscuri pensieri. Ogni tanto urlava. “Mordred, scellerato Mordred”. Almeno queste parole sembravano avessero capito. Alcuni contadini cercarono di avvicinarsi, ma l’ombra fuggì come ""una lepre. Si nascose dentro una grotta buia ed estremamente profonda. I contadini non ebbero l’animo di entrare, ma giurarono di avere sentito ancora un filo di voce venire fuori sussurrante dalla grotta. “Mordred, scellerato Mordred”. Mordred era il nipote di Artù, figlio di suo fratello. Era lo scellerato che lo aveva ferito a morte nell’isola di Avalon”.

L’Etna con le sue stupende vallate e i suoi paesaggi incantati, che fanno da regia a Re Artù e alla sua corte, è quasi certamente una leggenda bretone, trasferita in Sicilia dai normanni, affascinati e sedotti dalla magia di questa maestosa montagna e forse, perché no, dai suoi vini, che secoli prima avevano chiuso gli occhi del Ciclope Polifemo per riportare alla vita Ulisse e i suoi compagni.

           

Di Re Artù rimangono in Sicilia vari ricordi. La sua spada “Excalibur”, che una volta estratta dalla roccia lo aveva fatto incoronare re,  viene  orgogliosamente ritratta nel nome di vari ristoranti raffinati, come quello di Viale Don Bosco in Gangi o altri di Taormina e Roccalumera. Durante il suo soggiorno in Sicilia, questa, per un certo tempo, sarebbe stata custodita in un’altra grande roccia sulle altezze dell’Etna. Nel 1191, Riccardo Cuor di Leone riuscì a recuperarla, consegnandola a Tancredi, Re di Sicilia, nel corso di grandi festeggiamenti nella città di Catania. “Sul finire di quel secolo, la splendida nave della bella Morgana tornò a veleggiare silenziosamente a ritroso verso l’Isola di Man. Per ricambiare il prezioso omaggio fatto, da Riccardo Cuor di Leone alla città di Catania, la nave della fata Morgana recava un dono altrettanto prezioso, il simbolo della Trinacria”, la “Triskele”, da più secoli immagine della Sicilia, per l’isola di Man.

 

La leggenda di Re Artù probabilmente ne determinò altre simili. L’Imperatore Federico II, “per metà angelo e per metà demonio”, essendo campione della cristianità ma nemico del Papa, il giorno della sua morte nel 1250 venne inghiottito dal fuoco dell’Etna. Un monaco francescano vide, mentre l’Imperatore moriva, 5.000 cavalieri in armatura rossa, inghiottiti dal mare, che si ingorgò dinanzi a loro. Uno di essi disse al monaco: “Questo fu Kaiser Federico inghiottito con i suoi uomini dentro l’Etna!” Ma i suoi amici, secondo un’altra tradizione, affermarono che il grande Imperatore cristiano dormiva all’interno del vulcano dell’Etna, confortato da vini color rubino, dal gusto morbido e avvolgente, nell’attesa del giorno del ritorno, una volta riacquistate tutte le sue facolta’ mentali, per salvare la cristianità dal massacro dei saraceni.

Il folklore irlandese intrattenne una simile leggenda sul Conte Desmond, che dormiva misticamente con il suo esercito in una grotta nascosta di Lough Gur, nella Contea di Limerick, nell’attesa di riapparire nel momento di grande bisogno.

Secondo lo studioso Dáithí Ó hÓgáin, queste leggende che si svolgono dentro l’Etna sono una riflessione di genuina tradizione celtica.

Ai nostri giorni L’Etna continua ad ammaliare con il suo fascino segreto conquistando artisti contemporanei come Carmel Mooney e Frances Boland, solo per nominarne due.

E’ questo un vincolo d’oro che accomuna il mondo druidico-celtico in genere con la Sicilia, isola eminentemente leggendaria, tramite la valle della Pedara o quella della Solicchiata che si estende fino all’Alcaltara, immortalate nell’antichità dalla presenza leggendaria di Re Artù e ai nostri giorni balzate all’attenzione internazionale per i miracolosi “rossi dell’Etna”, di cui l’azienda Patria è una feconda e vincente produttrice.

 

 

 

PS. Le storie siciliane di Artú nel Leggendario dell’Etna sono state visitate anche dallo scrittore Santo Cali’, che afferma:

“I popoli nordici fantasticarono che Artú, la sorella Morgana e il suo seguito vivessero la loro seconda vita dentro le caverne dell’Etna, in un giardino paradisiaco, molto vicino alla raffigurazione dei Campi Elisi della mitologia classica. Su questa seconda vita di Artú si diffusero in Sicilia delle storie, raccolte da Gervaso Da Tilbury, che visse alla Corte di Guglielmo I; a queste storie accenna Arturo Graf nel suo famoso studio che tratta di Miti e leggende del Medioevo.

 

 

Enzo.farinella@gmail.com

Stampa Articolo Stampa Articolo