La precedente opera di narrativa di Luigi De Rosa si basava su fatti (e invenzioni) di storia romana, avente il suo centro nel personaggio di Plinio il Giovane, nipote del “Vecchio”morto con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.- Adesso pubblica invece un romanzo che ha il suo centro nella umbra Narni, Il pittore di Narni (Solfanelli, Chieti, 2018), ma occorre aggiungere che con l’Umbria De Rosa ha sempre avuto un rapporto speciale e che, anche in questo romanzo, non si dimentica di fornirci notizie di storia romana (desunte – come ci dice in nota – dal Gregorovius e dalla Storia della Cambridge University).
Come ci dice sempre in nota, “Narni, il suo ambiente, la natura che la circonda, l’acqua delle sue sorgenti” sono i protagonisti della narrazione, anche se attraverso “l’artificio dei personaggi per tessere un intreccio credibile tra le sue mura”. E l’intreccio avviene col personaggio di un pittore locale, che si sceglie una modella africana del Benin (essendo separato da una vendicativa moglie, titolare di una galleria), perché “il nudo era per lui la descrizione spietata del corpo femminile e, per conseguenza, della verità naturale, perché quest’ultima se è onesta è nuda” (p. 11). Sarà poi raggiunto da un altro pittore, argentino, e già suo collega al tempo degli studi in accademia.
Ed è pertanto ovvio che, via via che la vicenda scorre, ci imbattiamo in considerazioni concernenti la pittura o la storia e il paesaggio di Narni. Sotto il primo versante, possiamo riscontrare: “I miei clienti cercano composizioni che oltrepassano il figurativo e il narrativo. Qualcuno si accontenta di contemplazioni allusive, ma i più esigenti pretendono metafore solari”(p. 73). Meno generica e più attinente al tipo di pittura che sarà praticata con la modella africana è questa considerazione:”Nelle epoche più felici e libere dell’arte, pittura e scultura espressero la poesia dei sensi. […] Imprigionare nei colori realtà e non realtà significa essere geniali” (p. 74). Ma poi si ha anche: ”Tutta l’arte era simbolismo. Non esisteva quadro al mondo che non comunicasse qualcosa, fosse pure il nullismo” (p. 86). Ci sarà anche un personaggio che conclude con l’affermazione che “l’atto della creazione artistica stava nel proporre l’idea perfetta della natura sublimata nella bellezza femminile” (p. 90).
Anche la storia della pittura gode del suo tributo, quando l’autore richiama il pittore olandese seicentesco Fabritius (è noto il suo Cardellino), o lo spagnolo Zurbaràn (che ha rappresentato cerimonie funebri) o il preraffaellita John Millais (del quale è famoso il dipinto con la morte di Ofelia galleggiante nel fiume).
Quanto a Narni, s’inizia già con il paragone che si risvegliava dal torpore invernale “come una tartaruga in cerca di una foglia di lattuga fresca” (p. 93). Vi sono poi citate le torri più imponenti: la Civica, la Campanaria, dei Marzi e del Capitano, oltre alla rocca di Albornoz. E’ nominato persino un suo illustre “concittadino”: l’imperatore Cocceio Nerva “che aveva sospeso la persecuzione dei cristiani ordinata da Domiziano” (p, 95). Né va dimenticato il santo patrono Giovenale, vescovo del quarto secolo, “i cui resti erano nella cattedrale” (p. 96). Anche l’estemporanea di pittura – che vedrà come partecipanti il pittore italiano e quello argentino – si svolgerà alle Gole del fiume Nera (il nome indoeuropeo del borgo umbro significherebbe “terra del fiume”). Ma tutto culminerà poi
nell’annuale festa dei Terzieri, una rappresentazione in costume della vita cittadina durante il medioevo (che viene organizzata anche presso altre località dell’Umbria), con la ricostruzione delle botteghe artigiane e dei lavori domestici tipici. E, ovviamente, anche il palio sarà citato, il cui bando (palio currendo) risale addirittura al 1371. Né mancherà il richiamo latino alle sorgenti del borgo, attraverso le “Camène”, che erano le divinità delle acque (p. 111), o quello dei versi del poeta Claudio Claudiano, che descrivono la vallata del Nera (p. 19).
Sullo stile di De Rosa, c’è da rilevare che abbastanza frequentemente ricorrono espressioni metaforizzanti, come si desume da questi esempi: “le azioni rischiose mi pompano adrenalina” (p. 38); le rondini stallavano sotto i ballatoi e le smerlature” (p. 49); “la cameriera cabotava con il vassoio” (p. 44); l’ispirazione “era volatile come l’allodola, in certi momenti bisognava attrarla con lo specchietto, stando nascosti” (p. 99); “Filippa si ritirò come un cuccbiaio dalla minestra” (p. 140).
Caratterizzante è anche il lessico, che a volte denuncia la frequentazione del dizionario italiano: lepisma (insetto della carta), ipocoristica (vezzeggiativa). Più usualmente le ricorrenze lessicali sono solo “particolari”: profumo mandorlato, rate alimentizie (che si aggiungono all’assegno divorzile), episcopio (nel senso di proiettore e non di sede vescovile), diamantino (sostantivato), estraeva dal nucleo dell’anima l’originalità.
E si può concludere la nostra disamina con la criptocitazione di una celebre frase di Gertrude Stein: “Non sempre una rosa è una rosa. Dipende dalla disposizione d’animo” (p. 131).
LUIGI DE ROSA, Il pittore di Narni, Solfanelli, Chieti, 2018,€ 12,00.
(Nella foto Luigi De Rosa)