Il 28 giugno 2018, presso la Fondazione “Corrente” di Milano, c’è stata la presentazione del volume Le molteplici anime di Giuseppe Consoli (Nexo, MI, 2018), con interventi critici di Flaminio Gualdoni e Lorella Giudici. Il volume è corredato dai testi dello stesso Gualdoni, di Maria Angela Previtera e di Cocchi Corsini.
Gualdoni si sofferma sul percorso, definito “atipico” di Consoli, perché – com’è noto – rimase sempre in media res, nel senso che le sue ricerche di pittura e scultura dovettero sempre accordarsi con le esigenze di funzionario delle Soprintendenze di Belle Arti e con gli studi di storico dell’arte che via via pubblicò. Ma il non legarsi esclusivamente alle gallerie e al mercato dell’arte rientrava nel suo carattere indipendente e libero da condizionamenti commerciali.
Consoli fu notato da Enzo Maganuco già al tempo in cui frequentava il Liceo Spedalieri di Catania e fu dapprima in contatto col restauratore Giovanni Nicolosi e col pittore Sebastiano Milluzzo. Ma, richiamato al servizio militare, fu inviato sull’isola di Rodi e qui – dopo l’8 settembre 1943 – catturato dai tedeschi e inviato in vari campi di internamento in Germania. Dove peraltro conobbe persone divenute poi famose (Paolo Grassi, Giovannino Guareschi, Aldo Carpi e Alessandro Natta). Fu però Saro Mirabella che lo sollecitò a inviare due opere alla V Quadriennale di Roma, nel 1948, mentre veniva assunto alle Belle Arti e inviato a Chieti.
Gualdoni ritiene che l’opera di svolta, per Consoli, fu Il ratto delle Sabine del 1949, che risente dei “cromosomi” attinti dalla fascinazione che sempre ebbe verso Picasso. Ma è con La strage di Portella della Ginestra del 1951, presentata al premio Suzzara, che si ha “il vero suo approdo all’arte d’ambizione alta”, come verrà riconosciuto dalla “critica maggiore”, nella quale il critico vede richiami alle “stragi degli innocenti” della pittura antica. Tornato a Catania dipinge, nel 1954, una serie di “ozi” marini per il Dancing Villa Cardi di Porto Ulisse (CT), ma è con la sua prima ampia mostra al Circolo Artistico di Catania, prefata da Giovanni Carandente ed elogiata da Leonardo Sciascia (il primo a parlare della sua “ironia”), che si ha la sua consacrazione. Nel 1956 tiene una mostra alla Galleria Apollinaire di Guido Le Noci, a Milano, che gli servirà per vendere un gruppo di tempere al gallerista Alfredo Bonino di Buenos Aires. Nel 1957 passa alla Soprintendenza di Genova e due anni dopo a quella di Milano: “Tra GE e MI Consoli saggia un antropomorfismo ridotto alla propria ruvida, primitiva, potente ostensione strutturale, e ravviva il penchant scultoreo che aveva già brevemente saggiato” (p. 15). Oltre alle sculture in ferro, sperimenta nuovi materiali, come il fertene tubolare e, nel 1963, espone le nuove opere alla Galleria “L’Indice” di Emilio Maria Tumminelli, a Milano. Nel 1966 prevalgono gli interessi storico-artistici e pubblica I “Giuochi” Borromeo e il Pisanello (Ed. del Milione), mentre nelle pitture “torna prepotente la cronaca […] tradotta in modi che passano da un linearismo eccitato a veri e propri discrepanti sovratoni espressionistici” (p. 15).
Nel 1973 tiene una personale alla Galleria Pater di Milano: “E’ questa la sua stagione più alta, per la libertà dai modelli e per tensione emotiva, per souplesse ironica, come sempre esente da implicazioni altisonanti” (p. 16). Tiene altre mostre, sempre sporadicamente. L’ultima fu quella alla Libreria dell’Angolo di Milano, nel 2000, in un “clima visivo sospeso e nuovamente turgido di mutazioni, protogenesi, trasformazioni di cui dar conto con libertà fantasticante” (p. 17).
Ne Le forme della scultura Maria Angela Previtera fa l’analisi di questo versante dell’attività artistica di Consoli. A cominciare dell’opera in ferro saldato Danzatrice delle azalee del 1959, che verrà collocata nel parco di villa Carlotta sul Lago di Como nel 1967, come dono della coreografa Tina Belletti, in cui “la forma scattante della ballerina è resa attraverso il sovrapporsi di piani sagomati e spigolosi che reagiscono al vibrare della luce” (p. 22). In Liguria Consoli aveva realizzato il monumentale Suonatore di clarino, del 1957, che verrà collocato sulla vetta dell’isolotto di Bergeggi a Savona. Mentre a GE, oltre a partecipare a mostre collettive, aveva frequentato Emilio Scanavino e Lucio Fontana, già incontrato peraltro ad Albissola (anche Consoli si era dedicato alla scultura in terracotta e in ceramica). In generale, Consoli partecipa al dibattito di quegli anni sulla scultura, che sempre più dava adito a sperimentazioni in direzione astratta e informale. A proposito della serie dedicata ai Ciclopi, aveva infatti osservato Jean Sovall, nel 1963, che Consoli “piega la tecnica […] a ritmi nei quali si perde ogni rievocazione della realtà, trasfigurata nella fantasia dell’immagine e nell’esaltazione quasi artigianale delle possibilità della materia” (p. 23).
La sua originalità in questo campo veniva sottolineata da Emilio Tumminelli, nel catalogo per la Galleria “L’Indice” di Milano del 1963, al punto che Remo Brindisi acquisì un monumentale Ciclope per la propria collezione. In conclusione, tutto il lavoro di Consoli “scaturisce dal possesso di un ricco repertorio intellettuale, letterario e infine formale, estremamente vario, ma soprattutto aperto a ogni sollecitazione” (p. 23).
Cocchi Corsini, ne Le molteplici anime di Giuseppe Consoli, traccia il suo percorso sia artistico che biografico. Nato a Mascalucia (CT), è “dotato fin da bambino di un’istintiva attitudine al disegno” (p. 25). Tornato dalla prigionia nell’agosto 1945, dà avvio alla sua attività di pittore (si ricorda l’intenso Ritratto di Livia, la sua fidanzata e poi moglie, del 1946, mentre per il Santuario della Madonna della Consolazione del suo paese natale dipinge l’Estasi di Sant’Antonio). Fra il 1949 e il 1951 (Strage di Portella) sono importanti le opere: Il fumatore, Pesciari Etnei, Il ratto delle Sabine e Falò, mentre la china Bracciante siciliano (che beve dal “bùmmulo”) viene premiata a Suzzara.
Nell’aprile del 1953 resta “folgorato” da Antonello da Messina, nella memorabile mostra di quella città, al quale dedicherà poi molti studi. L’anno successivo realizza i già citati pannelli per il Dancing Villa Cardi e terrà a Catania la sua prima rassegna antologica (al Circolo Artistico, già citata).E, dopo la mostra alla Galleria Apollinaire di Milano del 1956, intensifica i suoi rapporti con gli artisti e i critici più in vista. Nel 1957, trasferito a GE, si dedica alla scultura in ferro saldato, realizzando anche quel Suonatore di clarino che verrà collocato sull’isolotto di Bergeggi. A Milano dal 1959 in avanti, espone in molte collettive e, a Brescia, tiene una personale delle sue sculture in ferro, cui seguirà quella del 1963 alla Galleria “L’Indice”. Peraltro è questo un momento difficile, di cui sono testimonianza le opere ispirate dalla cronaca violenta.
Dal 1966 intensifica i suoi studi di storico dell’arte e, oltre ai già citati “Giuochi” Borromeo si dedica ad Antonello e al Trionfo della morte del Museo Abatellis di Palermo. Riprende le esposizioni pittoriche nel 1973, alla Galleria Pater di Milano, e poi, nel 1974, lascerà il lavoro alla Soprintendenza. L’anno successivo espone alla Galleria Missoni-Arte e intanto prosegue gli studi antonelliani. Pubblicherà nel 1980 il catalogo del Museo Regionale di Messina (Calderini, BO), nel 1966 La bufala del Summonte (Ed. Quasar, RM) e nel 2001 Antonello fuori dai luoghi comuni (Bocca, MI), dove ricapitolerà i suoi studi e avanzerà l’ipotesi che a dipingere il Trionfo della morte palermitano sia stato il digionese Guillaume Spicre, nel 1462, con la collaborazione del giovane Antonello.
L’ultima mostra di Consoli (1919-2010), nel 2000, è quella tenuta alla Libreria dell’Angolo, nella quale il suo immaginario si estrinseca in libere forme fantastiche, alla ricerca del freudiano “perturbante”, che ci trasporta dalla dimensione della realtà a quella del sogno.
GIUSEPPE CONSOLI. Le molteplici anime, a cura di Flaminio Gualdoni, M.A.Previtera e Cocchi Corsini, Flexo, Milano, 2018, s.i.p.-