L’Aquila. Presentato a Casa Onna il libro di Mons. Orlando Antonini

Una magnifica serata di storia e cultura per “San Pietro a Onna. Architettura e vicende costruttive”

L’AQUILA – E’ stato presentato ieri sera, con una magnifica cornice di pubblico attento e partecipe che ha riempito come un uovo Casa Onna, l’ultima fatica di Mons. Orlando Antonini, “San Pietro a Onna. Architettura e vicende costruttive”, edito da Creazione, L’Aquila. Alla presentazione del volume, nell’ambito delle"" iniziative della 724^ Perdonanza Celestiniana, per un problema sopravvenuto non ha potuto partecipare il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, presente però l’assessore alla Cultura Sabrina Di Cosimo che ha portato il saluto della Municipalità.

 

Dopo l’introduzione di Giustino Parisse, coordinatore dei lavori, e il saluto della presidente di “Onna onlus” Margherita Nardecchia Marzolo, ha preso il via la presentazione con l’intervento di don Bruno Tarantino,  direttore dell’ufficio tecnico diocesano per la ricostruzione. Sono quindi seguite, sui complessi lavori di restauro della Chiesa di San Pietro Apostolo di Onna, finanziati con 3,5 milioni di euro dal governo tedesco, le corpose e avvincenti relazioni – un autentico convegno storico-scientifico – dell’architetto della Soprintendenza Mibact Corrado Marsili, dell’archeologo Piero Gilento e della storica dell’arte Biancamaria Colasacco, ciascuno riferendo rispettivamente sulla ricostruzione, sull’indagine archeologica e sul restauro degli arredi dell’antico tempio, simbolo identitario della comunità di Onna, martoriata dal terremoto del 6 aprile 2009.

 

Infine, l’intervento di Marco Pezzopane, presidente della Cooperativa “Creazione” che ha curato la pubblicazione del volume. Il libro è un ulteriore significativo tassello della straordinaria opera di conoscenza, valorizzazione e  promozione delle nostre meraviglie architettoniche che Mons. Antonini da anni va conducendo sul patrimonio d’arte dell’Aquila e del Contado, vero e proprio cespite per lo sviluppo turistico ed economico del territorio aquilano, insieme alla produzione culturale della città capoluogo d’Abruzzo e alle cospicue valenze ambientali. Dopo gli interventi di presentazione del volume, cui sarebbe lungo riferire in dettaglio, l’intervento dell’Autore che credo sia utile riportare per le ulteriori interessanti annotazioni – cortesemente Mons. Antonini ci ha dato il testo integrale –  anche per il forte messaggio con il quale lo conclude. 

 

“Compito primario dell’Autore in questi casi è di ringraziare. Ringraziare anzitutto voi, signore e signori, autorità istituzionali, civili, militari ed ecclesiastiche, onnesi, amici, estimatori e appassionati d’arte che siete venuti così numerosi alla presentazione di questa mia ‘ultima’ fatica, presentazione che il Comitato della Perdonanza 2018 ha cortesemente inserito nel Programma delle iniziative. E poi ringraziare ex todo corde, non mancando di ricordare il governo tedesco che ha sponsorizzato la ricostruzione, gli illustri relatori e oratori dell’evento: l’assessore Sabrina Di Cosimo delegata dal Sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi, la presidente di Onna Onlus Margherita Nardecchia Marzolo, il direttore dell’Ufficio Tecnico diocesano per la Ricostruzione Don Bruno Tarantino, l’arch. Corrado Marsili del Mibact e la dott.ssa Biancamaria Colasacco che hanno egregiamente diretto il recupero del monumento, il dr. Piero Gilento che con la dott.ssa Roberta Leuzzi ha eseguito lo scavo archeologico diretto dalla dott.ssa Rosanna Tuteri, Giustino Parisse che ha accettato volentieri di fungere da moderatore, e poi Carlo Cassano per la quasi totalità delle immagini, vecchie e nuove, che ha molto gentilmente messo a disposizione, e il capo del Protocollo dell’Arcidiocesi dr. Gabriele De Cata che ha coordinato l’aspetto protocollare con Creazione editore. Grazie altresì alla Fondazione Cassa di Risparmio, alla BCC di Roma e alla Vibrocementi del Gruppo Rainaldi che hanno sponsorizzato parzialmente la pubblicazione. Un plauso a Creazione editore, che mi ha soddisfatto pienamente, compresa la cura qualitativa delle immagini.

 

Come potete vedere, si tratta di una pubblicazione breve, dalla prosa asciutta e piuttosto tecnica, senza digressioni letterarie. La sua brevità è dovuta sostanzialmente al fatto che il mio contributo era in origine destinato ad un volume a più Autori, dunque doveva essere un testo essenziale per esigenze di spazio. Ad ogni modo nel testo c’è tutto quello che a mio sommesso giudizio si possa dire sull’edificio di culto onnese e sulla sua vicenda costruttiva, almeno stando ai dati monumentali e documentali oggi a disposizione. Il tema mi ha interessato molto. Già nel 2001 e nel 2010 pubblicavo una scheda storico-architettonica sul San Pietro. In essa parlavo dei resti scultorei di XII secolo ricomposti erraticamente sulla fronte due-trecentesca della chiesa, e consideravo altresì, dal tipo di pianta planimetrica, che l’edificio sacro era invece di successiva fondazione cistercense, del XIII secolo. Ne dedussi che quei resti romanici provenivano da una Sancta Maria de Unda, quella citata in una nota bolla papale del 1178, che doveva essere esistita in un sito vicino a quello odierno del San Pietro Apostolo.   

 

Ecco invece la grande sorpresa riservataci dall’accurato restauro del monumento e dal diligente scavo archeologico condotto. Da un lato, infatti, oltre ai due affreschi medioevali riscoperti sulla controfacciata a destra e a sinistra entrando, si riscoprivano anche, sulla fiancata Nord della chiesa, due feritoie cistercensi ma anche una scultura a treccia di tipica arte longobardo-franca di IX-X secolo, e all’interno, ad un metro e 10 sotto la quota del pavimento odierno, la fondazione di un’abside semicircolare, sottostante esattamente all’attuale abside quadra cistercense, s""egno inequivocabile della preesistenza, sotto l’attuale, di una costruzione sacra romanica del XII secolo. La conclusione era consequenziale: l’attuale San Pietro e l’antica Sancta Maria de Unda del 1178 non sono due chiese distinte ma coincidono; i Cistercensi nel ‘200 intervennero solo a ristrutturarla alzandola di quota, inserendovi finestre più grandi, cambiando la pianta dell’abside da circolare a rettangolare e re-intitolandola a San Pietro. Nel frattempo, infatti, i fedeli di Monticchio e di Onna assieme si erano inurbati all’Aquila e vi avevano trasferito il titolo comune di S. Maria, sicché la chiesa di Monticchio s’intitolò a S. Nicola e l’ex Santa Maria che era a Onna si reintitolò a S. Pietro.

 

E la presenza della scultura longobardo-franca del IX-X secolo riscoperta sulla fiancata Nord? Nella pubblicazione che stiamo presentando leggerete che essa può provenire da una Santa Maria ancora più antica, di cui credo di aver ritrovato traccia in un passo del Chronicon Farfense, che come sapete è stato composto dal monaco Gregorio di Catino prima del 1130 ma riporta informazioni sui possedimenti che la famosa grande abbazia di Farfa aveva nel nostro territorio fin dal sec. VIII-IX. Non vi si fa il nome di Onna, che si formò più tardi, ma i caratteri topografici ed economici che si danno della località portano proprio all’odierno sito di Onna. Quindi, sulla base dell’esistenza di un toponimo onnese del 1397, relativo ad una località detta Basilica oggi scomparsa dalla toponomastica, ho supposto che quella Santa Maria di prima dell’anno Mille poteva sorgere appunto nella località Basilica, diversa quindi dal sito della Santa Maria del 1178 poi San Pietro. Ciò naturalmente interpretando il termine basilica come un toponimo ecclesiastico. Se invece non si riferisse ad una chiesa ma ad un edificio civile – in tal caso forse ad una scomparsa basilica civile romana? – si presenta l’interessante possibilità che altresì la Santa Maria longobardo-franca di prima del Mille insistesse sullo stesso identico sito della Santa Maria 1178, insomma sullo stesso identico sito attuale di San Pietro Apostolo. Così i reperti romani e romanici presenti sulla facciata della chiesa, come pure la scultura a treccia alto-medioevale in discorso, sarebbero insertati lì dove sono non perché prelevati da costruzioni diverse dall’attuale parrocchiale ma semplicemente perché si trovavano già in loco, come elementi residui di chiese succedutesi sullo stesso identico luogo.

 

La chiesa di Onna è dunque antecedente di molto alla fondazione stessa del paese e si denuncia come una di quelle chiese dette pievi o plebane che nei secoli prima del Mille si costruivano ai gangli dei percorsi stradali di una popolazione che come è noto non viveva concentrata in borghi ma diffusa sul territorio in piccoli nuclei e case coloniche isolate. Solo nel sec. XI-XII le popolazioni, per ragioni di sicurezza e conformemente ad una organizzazione economica e sociale modificata, si strutturò in borghi – quel che si chiama incastellamento. Santa Maria, come tante altre pievi in Italia e fuori d’Italia, risulta pertanto essere stata la calamita urbanistica, il polo attrattivo, il nucleo di partenza e ganglio generatore della strutturazione abitativa di Onna, coagulando attorno a sé la popolazione. Il fenomeno si è ripetuto negli ultimissimi secoli nei territori cosiddetti di Missione, in Africa ad esempio. Villaggi e cittadine, nonché città vere e proprie, si son formate appunto attorno al nucleo missionario composto dai consueti fondamentali poli: la chiesa, la casa dei Padri e gli uffici, il dispensario e la scuola, poli che, per necessario corollario, generavano anche il mercato, così assurgendo a ruolo appunto di attrattiva urbana di popolazioni anche lì spesso insediate in ordine sparso nel territorio circostante.

 

Chiudo rifacendomi alla formula friulana di ricostruzione post-sismica “prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese”. Il caso del San Pietro di Onna è stato fortunato. Per il resto invece si sta rivelando un vero disastro la legge 125 conseguente alla legge Barca che ha stralciato le chiese dalla ricostruzione privata degli aggregati in cui esse sono in genere inserite, per passarle alla ricostruzione pubblica, com’è noto pressoché paralizzata e provocando inestricabili problemi di cantiere e di messa in sicurezza circa le parti comuni trattate necessariamente da imprese diverse che intervengono ovviamente in tempi diversi. In tal modo, sì, le chiese verranno ricostruite per ultime, come nella formula friulana, ma passati già 10 anni dal sisma stanno sprofondando in un degrado tale che non saprei cosa e come di esse potrà restare in piedi. Non parlo da ecclesiastico, attenzione: la Chiesa potrà continuare a celebrare i suoi uffici divini dovunque e comunque, anche tornare nelle catacombe. Parlo da aquilano che vede, impotente, sfaldarsi sotto i suoi occhi pezzi importanti dello straordinario patrimonio architettonico-artistico formato essenzialmente, lo si voglia o no, appunto dalle chiese. Signore e signori, qui le nostre ‘fabbriche’ sono appunto principalmente le chiese, quelle storiche intendo, giacché sono esse oggi a costituire, assieme alle risorse naturalistiche e tramontati ormai da tempo pastorizia e zafferano su cui da tempi immemorabili si fondava l’economia di base dell’Aquilano e dell’Abruzzo montano in genere, la sola materia prima di cui disponiamo per la ripresa economica ed occupazionale del territorio. Spero si corra ai ripari sollecitamente, conformando finalmente la normativa alla realtà.” 

 

Come non concordare con le preoccupazioni e l’appello presenti in quest’ultimo capoverso dell’intervento di Mons. Antonini, se solo si pensa allo stato di assoluto degrado in cui versano la Cattedrale di S. Massimo, le altre chiese dell’Aquila e delle sue 64 frazioni, le numerose chiese dei paesi ricadenti nel cratere sismico e anche oltre. Per ultimo infine voglio citare il caso della Chiesa capoquarto di Santa Maria Paganica, massacrata dal sisma e dai danni delle intemperie – da anni le coperture provvisorie sono andate in malora – per la quale presto svanirono anche le promesse di ricostruzione con l’aiuto americano, pronunciate dal presidente Obama in occasione del G8 dell’Aquila, nel luglio del 2009.

 

 

 

 

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