"AUSCHWITZ E’ STATA LA MIA UNIVERSITA’"

Laurea honoris causa in comunicazione ad Edith Bruck

Si è svolta ieri, 21 novembre, presso l’aula magna della Terza Università di Roma, la consegna della Laurea Honoris Causa a Edith Bruck, su proposta al Collegio dell’Ateneo del prof. David Meghnagi.Hanno introdotto la cerimonia il Magnifico Rettore Prof. Luca Pietromarchi ed il Direttore del dipartimento di filosofia, comunicazione e spettacolo, Prof. Paolo D’Angelo.

Il dovere di non dimenticare Auschwitz e la condanna a ricordare in ogni istante ciò che è accaduto assumendo lo scomodo ruolo di testimone: è questo il senso profondo che ha caratterizzato la vita densa, generosa e ricca di significato di Edith Bruck, una sopravvissuta ai Lager che ha combattuto  attraverso la  parola scritta e parlata il rischio oblio delle atrocità commesse dal nazismo nel cuore di un’apparente civilissima  Europa.

Nonostante possa sembrare poco giornalistico, mi preme personalizzare questo articolo. Edith è stata da sempre un’amica di famiglia. Nata da famiglia ungherese come mia madre Eva Fischer, si sono incontrate in una Roma ancora sofferente per le vicende belliche. Il piccolo Alan Davìd le ricorda colloquiare nella loro incomprensibile lingua natia, ridere per fortuna spesso, ma anche commuoversi nei ricordi.

Fu Edith, donna intelligente, simpatica, bella e soprattutto dotata di una particolare dolcezza, ad introdurre il catalogo della prima mostra di opere pittoriche di Eva legate ad un suo “diario segreto” sulle vicissitudini della Shoah, dal titolo Ricordare il Tempo”. Scrisse nel 1989: “Guardando la pittura di Eva Fischer, compresi questi quadri dipinti nell'immediato dopoguerra, si potrebbe esclamare: II mondo è salvato dai suoi colori!” ed ancora “Come ogni vero artista, la pittrice ha in sé qualcosa di infantile, di giocoso, di intatto e allo stesso tempo è madre che feconda anche gli oggetti strappati di dosso ai deportati; scarpe, occhiali, gambe di legno, calze o guanti”.

Abbiamo tanto da imparare da chi come Edith, ha dovuto forzatamente rinunciare all’infanzia e credere in ogni attimo sopravvissuto nei campi, alla disumanizzazione perpetrata da proprio chi – salvo rari esempi – si è dimostrato “altro”, simile ad un’infernale macchina del male.  Il mondo è salvato dalla sua personalità, dai suoi scritti, dai suoi film. Grazie Edith a nome di chi non è sopravvissuto e di chi dovrà trasmettere nel futuro i tuoi insegnamenti.

 

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Chi è Edith Bruck

Nata nelle campagne di Tiszabercel, in Ungheria nel 1932, Edith Steinschreiber Bruck proviene da una famiglia ebrea numerosa e poverissima. La sua biografia narra di una bambina deportata nel 1944 insieme ai suoi cari nel ghetto del capoluogo e da lì ad Auschwitz, Dachau, Christianstadt e Bergen-Belsen, dove viene liberata dagli Alleati nel 1945 insieme alla sorella. Sarà un’esperienza sconvolgente che la segnerà per tutta la vita. Seguiranno anni di pellegrinaggi e ricerca di certezze: il ricongiungimento con alcuni parenti sopravvissuti, i matrimoni, i divorzi, i continui spostamenti da un Paese europeo all’altro dove fa la ballerina, l’assistente di sartoria, la modella, la cuoca e la direttrice di un salone di bellezza. Infine l’approdo definitivo in Italia, il Paese dove si stabilisce e ne adotta la lingua e dove conosce personaggi come Montale, Ungaretti, Luzi e Primo Levi. È quest’ultimo che la sollecita a ricordare la Shoah.

Una vita da romanzo quella di Edith Bruck, costellata di successi giornalistici e letterari. Indubbiamente fa parte di una generazione che nel decennio 1959-69 ha prodotto in Italia nuovi importanti memoriali della Shoah, prima della grande prolificazione di racconti successiva agli anni ‘90. Anche se, a onor del vero, la sua produzione letteraria va ben oltre la memoria concentrazionaria, spaziando a temi legati all’identità ebraica alla politica di Israele con uno sguardo all’attualità.

Scrittrice, regista e traduttrice, nel 1959 è uscito il suo primo libro Chi ti ama così, un’autobiografia che ha per tappe l’infanzia in riva al Tibisco e la Germania dei lager. Tra le sue opere ricordiamo il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito Nelo Risi ha tratto l’omonimo film. È autrice di poesia e di romanzi come Le sacre nozze (1969), Lettera alla madre (1988), Nuda proprietà (1993), Quanta stella c’è nel cielo (2009), trasposto nel film di Roberto Faenza Anita B., e ancora Privato (2010); La donna dal cappotto verde (2012); Una rondine sul termosifone (2017); Versi vissuti. Poesie – 1975-1990 (2018). Nella lunga carriera ha ricevuto inoltre diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue. Tra l’altro, è traduttrice a sua volta, di Attila József e Miklós Radnóti e ha sceneggiato e diretto tre film e svolto attività teatrale, televisiva e giornalistica.

Ma è probabilmente il suo ruolo di testimone del tempo che riassume meglio di tutto l’impegno  di questa grande donna. Ha dichiarato in un’intervista recente: «un giorno era lungo una vita e tutto sembrava non finire mai. Finalmente fummo liberati il 15 aprile 1945 dai soldati americani; eravamo denutriti, mezzi morti, pesavo 25 chili. Tornai in Ungheria e fu uno shock: la mia casa era in condizioni disastrose e nel 1956 sono arrivata in Italia. Era un Paese povero allora, ma mi trovai subito bene, conobbi tante persone che nonostante la miseria del dopoguerra mi offrivano da mangiare e mi sorridevano. L’italiano mi divenne molto famigliare e scrivere in questa lingua mi aiutò molto a esprimere le mie sofferenze. In ungherese non avrei mai potuto, mi ricordava troppe cose spiacevoli ed era troppo personale. Arrivata in Italia sentivo il dovere di testimoniare e cominciai a fare il giro delle scuole e a parlarne coi ragazzi».

Segnaliamo infine il toccante documentario su Edith Bruck, Il tatuaggio dell’anima, realizzato dal regista Raphael Tobia Vogel e prodotto dalla Fondazione CDEC: una intensa testimonianza sulla sua esperienza di perseguitata e deportata che lei stessa ha raccontato durante una serata al Teatro Franco Parenti nel gennaio del 2017, insieme alla proiezione del documentario di Vogel e alla presentazione del libro Una rondine sul termosifone (La nave di Teseo).

Grazie a “mosaico-cem.it” per la biografia

Nelle foto: “A. Davìd Baumann, David Meghnagi, Edith Bruck”

 

 

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