Era il 19 marzo del 1994 quando il presbitero Don Peppe Diana veniva assassinato con 5 colpi, uno in faccia, all’interno della sua parrocchia San Nicola di Bari a Casal di Principe.
Casal di Principe è stato il suo paese natio e il luogo in cui l’impegno religioso e sociale si sono incontrati per salvare i ragazzi del posto dal sistema Camorra. Don Peppe era un sacerdote atipico. Per strada non lo avresti riconosciuto. Girava con giacca sportiva e sigaro in bocca e faceva discorsi di libertà apertamente opposti allo strapotere mafioso che gestiva il paese e non solo in quei tempi per mezzo del boss Francesco Schiavone.
Quel 19 marzo Don Peppino si accingeva a celebrare la santa messa e a ripetere una delle sue omelie contro la Camorra, a favore del popolo aversano, in linea con il suo scritto più famoso, la lettera “Per amore del mio popolo” del Natale del 1991. Proprio per questo motivo l’omicidio di Don Peppe è stato forse l’omicidio più controproducente commesso dalla Camorra. È stato ucciso un parroco, un innocente al di fuori delle faide e delle dinamiche mafiose di quei tempi. È stata uccisa una persona amata veramente dal popolo e che metteva in discussione tutte le coscienze. E questo lo faceva non con semplicisti e bigotti discorsi su senso di colpa o altri concetti stereotipati di cristianesimo moralista, ma basandosi sui valori veri dell’uomo, sul rispetto per la vita e sul futuro dei giovani.
È dunque doveroso ricordarlo e tramandare il suo esempio alle nuove generazioni, alle quali era molto affezionato. Come il gruppo di 10.000 scout che hanno manifestato ieri per tutta la cittadina di Casale in ricordo della loro guida. Loro sono il futuro e su questo personaggio hanno costruito la convinzione di uscire dalle maglie della criminalità per perseguire ideali più alti e virtuosi. Infatti come ha ricordato il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, «nel Casertano proprio le associazioni e la società civile hanno permesso allo Stato di infliggere colpi durissimi alla camorra».
Il primo passo è quello di ricordare, come hanno fatto le famiglie che hanno esposto le lenzuola bianche fuori dai balconi quel 19 marzo 1994 e come farà Libera! il 21 marzo a Padova per la giornata della memoria delle vittime della mafia; poi bisogna parlare e scrivere, rompendo la catena della violenza, entrando in contraddizione con gli schemi della società moderna, come ha fatto Don Peppe Diana per amore del suo popolo:
“Siamo preoccupati. Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”. Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.
La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l'imprenditore più temerario; traffici illeciti per l'acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.
È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l'infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d'intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L'inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l'inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l'Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti.
Il Profeta fa da sentinella: vede l'ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)
Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza.
Le nostre Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe. Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa. Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell'annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26). Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno.”
(Don Peppe Diana, Natale 1991)