Immagine: Maurilio Assenza
“Sì, Simone, è mio figlio. Simone, come un 'bambino' tedoforo, ci lascia una fiamma. Una fiamma che non distrugge, che può illuminare una via. Che queste lotte dovute siano, usando una parola detta da Simone, una 'leva' di unione di intenti. Sì Simone è mio figlio”: così ha scritto Walter per chiarire quanto semplice, ma anzitutto autentico, sia stato suo figlio quindicenne nel dire, a quelli di Casa Pound che a Torre Maura sono arrivati a calpestare il pane destinato alle famiglie rom, che lui vuole “pensare con la propria testa” e che, secondo lui, “nessuno deve essere lasciato indietro: né italiani, né rom, né africani, né qualsiasi altro tipo di persone”. Un gesto, questo, che ha reso Simone icona di chi sa uscir fuori dalla folla anonima e gregaria, a contrastare con poche e chiare parole un rancore crescente e violento fino al disprezzo dell’uomo e di ogni simbolo sacro come il pane, per poi continuare la sua vita senza concedere interviste e senza sentirsi eroe, vivendo gioie e problemi veri della vita.
Ecco, arrivati a Pasqua nel nostro dialogo sulla città che quest’anno stiamo cercando di riscoprire nella sua quotidianità, vorrei augurare a me e a tutti di saper cogliere la bellezza dei tedofori che portano la luce nell’avanzare delle tenebre, e dare priorità a loro per superare il rischio che tanti atteggiamenti disumani si rafforzino concedendo loro un primo piano che non meritano (confondendo il quantitativo del loro farsi massa con il qualitativo dell’eterno dovere, anche se minoranza, di restare umani). Senza dimenticare che pezzi di tenebre ci sono pure in noi – soprattutto se pensiamo di partire da noi, se anche noi nel contrastare diventiamo autoreferenziali –, ricordando piuttosto che saranno i piccoli, i poveri, i migranti e i pellegrini che ci salveranno tutti. Colgo come tedofori, per iniziare a fare esempi del nostro territorio, i bambini dei nostri cantieri educativi, di Crisci ranni, della Casa don Puglisi, a Modica. Se arrivi di pomeriggio subito ti chiedono: “Mi aiuti a fare i compiti?”.
Cosa non ovvia, anni fa a Crisci ranni era un’impresa far fare i compiti, attraeva di più il campetto di calcio. Ora è una domanda che aiuta a far luce sulla nostra vita spenta. Subito mi viene di pensare quanto farebbe bene esserci in tanti a dire: “Sì, ci sono!” (è di Dio questa caratteristica: a Mosè si presenta come “Io sono” e Gesù saluta, prima dell’ascensione, rassicurandoli con un affettuoso “Sarò sempre con voi”). Penso a come questo esserci laddove c’è bisogno di una mano, guidata da un “cuore che vede”, farebbe uscire da una vita vuota giovani smarriti sempre davanti a un cellulare (quanta dipendenza dal cellulare si va diffondendo, quanto è brutta l’immagine di tanti giovani – e meno giovani – sempre con le orecchie prolungate dagli auricolari). Come un piccolo aiuto lascerebbe vivi e contenti tanti anziani che sempre più sostituiscono visite a persone e a chiese a visite ai tabacchini per giocare al tris (come sarebbe bello che i tabacchini, in un sussulto culturale e civico, scrivessero un cartello grande: “Qui non si gioca al tris, perché l’unico tris vincente è: mi scommetto con me stesso, mi scommetto con la città, mi scommetto con il creato”).
Torniamo ai ragazzi che vogliono essere aiutati a fare i compiti, a rilevare la qualità dell’esserci come aiuto a lanciare in alto, a crescere, a far da sé, condensato nel grido “Crisci ranni” che quest’anno a Modica si rinnoverà comunitariamente in piazza Matteotti il 4 maggio. Far crescere! Anzitutto nella quotidianità. Giorni fa, a Mohamed che doveva trovare 14 verbi nelle frasi e ne aveva trovato solo 8, ho spiegato che il verbo lo riconosci perché indica l’azione (ho anche accennato ad Aristotele, alla sua logica, e mi sembra aver capito meglio di certi miei alunni sazi e annoiati). E così siamo arrivati a 11 verbi … “E poi?” Mancavano tre verbi, è ho dovuto spiegare che c’è un verbo particolare che è il verbo essere: “L’azione più importante è – ho detto – essere, che diventa esserci”. Mohamed si è alzato, mi ha abbracciato e poi è andato ad abbracciare tutti … E mi ha detto, riallargando e di nuovo stringendo le braccia: “Questo è il verbo dei verbi!”.
I tedofori consegnano la luce nel cammino che sei disposto a fare, nella misura della capienza del cuore! E mi ha commosso con quanta attenzione i bambini della Casa don Puglisi – in un’attività preparata con tanta cura dalla splendida e luminosa équipe educativa – si sono preparati alla Pasqua con un cammino in salita, dall’androne alla sala da pranzo, in cui c’erano quaranta caselle e, quando si arrivava alla domenica, ci si poteva liberare di pesi … Mi ha colpito la serietà con cui i nostri bambini dicevano che ci si liberava dalla mancanza di rispetto, dalla parolaccia, dal disimpegno, dallo spreco, dalle liti …. Se noi adulti ci pensassimo! Quanta responsabilità! E quanto è grave che si resti adolescenti a vita: simbiotici, banali, bugiardi, pettegoli, opportunisti, ipocriti, desiderosi di rilevanza per coprire la mancanza di sostanza vera, quella che non ha bisogno di applausi. “La vera gratificazione – mi confidava alla fine di quella bella serata uno degli operatori della Casa, che mi commuove per la sua riservata e sapiente generosità – io la trovo proprio in quello che facciamo, in quello che ci donano i bambini, e non sento bisogno di altro!”.
Qui sta la possibilità di un dono che sia dono di se stessi: nel ricevere luce e non aver bisogno di altro, e ricambiare con l’esserci! E mi pare importante quanto scrive Luigino Bruni, uno dei fondatori della Scuola di economia civile: “Il dono è una cosa seria. Il primo omicidio-fratricidio nasce da un dono rifiutato (quello di Caino). Il dono lo ritroviamo a fondamento delle civiltà, al centro delle famiglie e di ogni patto sociale, alla radice delle cooperative e di molte imprese, al cuore del mistero di chi si mette in cammino lasciando la sua terra per seguire solo una nuda voce. Essendo cuore, centro, radice, il dono è silenzioso. Lo troviamo nelle cose più vere e normali della vita. È più facile che sia nelle nostre sette ore di lavoro ordinarie in ufficio, che nella mezz’ora di straordinario che ‘doniamo’ alla nostra impresa; più nelle mille parole che ci scambiamo ogni giorno, che nelle poche che ci diciamo per accompagnare i regali di san Valentino; più nella fatica che facciamo per non dimenticare l’ultima preghiera, che nelle tante che recitiamo nei giorni facili dell’entusiasmo.
Il dono protegge la propria gratuità con un dispositivo naturale, che lo fa sparire quando vogliamo isolarlo per appropriarcene, fosse anche per ‘donarlo’. Per questa ragione, nei luoghi dove si racconta la vita vera, troviamo poche parole sul dono”. Solo se stai attento alla vita vera, poche ma vera parole aiutano a ritrovare qualcosa di tanto nascosto quanto fondamentale, che ti fa passare dalle superficie alla profondità, dal semplificare a cogliere la complessità, dall’apatia alla passione, dalla lamentela triste alla gioia sobria. E così, nell’imminenza della Pasqua, ragazzi di una parrocchia con i loro genitori e il parroco hanno potuto – scegliendo di fare la via crucis al Boccone del povero – incontrare un anziano prete di 99 anni, mons. Francesco Guccione (per tantissimi anni vicario generale), che – come prima parola – ha ricordato che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”, che la vita è gioia e lo diventa se restiamo pennello nelle mani del pittore, umili strumenti di Dio. Allora anche il male può essere vinto dal bene, che non si mette alla pari del male, non si scoraggia, non reagisce ma accresce la sua resistenza e forza. Un bene da tradurre in gesti di attenzione, che insieme ci fanno comunità.
E, proprio nello stesso giorno, dall’Aquila arrivavano le parole di don Federico Palmerini, giovane prete che ha aiutato a dare al nostro gemellaggio con Paganica il timbro della fraternità e della reciprocità, che a dieci hanno del drammatico terremoto ha ricordato come – malgrado le prove – sia possibile “non solo sopravvivere, ma vivere, se diventiamo ogni giorno più consapevoli che o ci si salva insieme o non si salva nessuno”. Ecco le piccole, “discrete”, Pasque della città, di noi chiamati ad essere città insieme, e così diventare luogo che riflette l’Esserci di Dio, che tutti abbraccia donando pienezza e felicità ‘pubblica’ – come amano pensare i cultori dell’economia civile. E come cerchiamo ogni giorno, con pazienza umile e tenacia silenziosa, di fare. Personalmente e e insieme.
La pubblicazione su invito dell'autore, che ne liberalizza la diffusione chiarendo che lo stesso sia stato già divulgato su DIALOGO, mensile di Modica (Ragusa)