Debutta in prima assoluta al Teatro Studio Uno dal 9 al 12 gennaio 2020 “Paternoster – L'eredità dei figli”, primo spettacolo della giovanissima compagnia “Colletivo Est Teatro” con protagonisti Paolo Perrone e Ludovico Cinalli diretti da Beatrice Mitruccio, che porta in scena una profonda riflessione riguardo il bisogno di gridare la propria esistenza al fine di trovare un posto, e soddisfare la necessità di sentirsi vivi anche in un mondo intossicato.
Due personaggi: un “Legato” e un “Viandante”. Dallo studio di tali figure nasce il progetto di Paternoster, un confronto tra chi non se ne va mai e chi non riesce a rimanere. Il conflitto tra queste due personalità, la diversità di bisogni che hanno, è stato il punto di partenza della compagnia per sviluppare il tema Padri/Figli, cardine dello spettacolo, traendo ispirazione da “La parabola del Figliol Prodigo”. In scena, due lampadine, quasi lumini da cimitero, a tratti li illuminano e li accomunano e offrono il momento giusto per dare parola, per dare sfogo ad una generazione spaccata dalla paura del vuoto, spaccata dalla paura della morte.
Mimmo e Alberto sono fratelli, ma hanno preso delle strade diverse e diverse sono le loro opinioni del mondo: insofferenza, ribellione, sfida, rassegnazione sono solo alcuni dei vettori che li muovono. Non si vedono da anni, ed è la morte del padre che gli fornisce il pretesto per parlarsi di nuovo, con crudezza ed ironia, e per continuare questo dramma maschile. La drammaturgia di Paternoster è una scrittura scenica che prende forma in uno spazio scenico spoglio, vuoto, quasi buio, un affresco caravaggesco che racconta la loro relazione, quel rapporto tra fratelli che tra Mimmo e Alberto non esiste ormai da anni, ma che da tempo ha il bisogno di ritrovare calore e speranza verso il futuro.
Note di Regia
“E scappò via con la paura di arrugginire
il giornale di ieri lo dà morto arrugginito…”
La Canzone del Padre – Fabrizio De André
De André scrive questi versi raccontando un figlio che fugge dalla sua famiglia per paura di trasformarsi in una vecchia macchina arrugginita, in pieno stile kafkiano. È questa voglia di evasione e di libertà che ci porta ad andar via dalla nostra terra, a sbagliare forse, ad essere egoisti a volte. Alcuni hanno oggi un’esistenza tranquilla, conforme alle regole, integrata nel sistema e seguono le orme del proprio genitore; altri li ho persi di vista. Esigenze diverse. Ma che cosa significa oggi andarsene? Penso ad uno studente in una città diversa dalla sua, penso ai migliaia del Sud che andarono al Nord e che ancora lo fanno, penso ai viaggi di piacere che molti non possono permettersi più, alle crociere sul Mediterraneo, che di viaggi ne ha visti molti e diversi. Paternoster è un viaggio, è una metafora vera e ironica di questo nostro mondo che si sfascia, che stiamo sfasciando, e così come cade a pezzi lui, cadiamo a pezzi noi. Forse ci siamo abituati ad una crisi di cui si parla troppo, ma che sembra lontana, come se non ci riguardasse. Come un grigio che si fa sempre più fitto nel cielo, un fumo che ci annebbia la vista. A chi piace vivere nel fumo? Quello che ho fatto è semplicemente aver riconosciuto il mio, il nostro appuntamento con questo tempo, con le generazioni, con la morte. Dentro di noi, il desiderio di colmare una solitudine, di parlare al nostro passato, di immaginare un futuro”. Beatrice Mitruccio