Martina Franca è un grosso borgo dove si ammira il più bel barocco pugliese; diverso da quello di Lecce; organico, di forte struttura… Il disegno per il Palazzo Ducale è stato attribuito al Bernini, e sarebbe l’unica impronta lasciata da lui in tutto il Sud…”, scriveva nel ’57 nel suo “Viaggio in Italia” Guido Piovene.
E continuava parlando dei trulli con il tetto a cappuccio o, come diceva lui, a cupola conica e altri a cono di gelato. Gli rubo un’altra frase: “Siano quelle case a cono, sia quella vita patriarcale, modesta e dolce, mi è parso che le case, gli uomini e le stesse campagne si fossero messe d’accordo per esemplificare un’idea della mente. Intorno ad ogni abitazione la terra, splendidamente cesellata: gli ortaggi, un po’ di grano, la vigna, gli alberi da frutto, i ciuffi delle erbe aromatiche, i fiori di decorazione. Una fantasia di Rousseau tradotta in ambiente cattolico”.
Parlava anche delle conversazioni degli uomini: intelligenti, a volte urlate, introducendosi in quasi tutti gli aspetti della città, adorata dall’indigeno e dal forestiero. “Salute Valle d’Itria/ dolcissima mia valle/ di te mi sono portato come in sogno/ i canti che ho sentito da bambino/ Quei canti che sbocciavano da terra/ odorosi di sole e di fatica…” (versi di Sante Ancona).
Teresa Gentile e Francesco Lenoci
Piovene non si soffermò ad ascoltare le tante voci dei poeti di Martina. Poeti veri, delicati, profondi. Come, per esempio, Cinzia Castellana, che trasferisce sul foglio le proprie emozioni e sa anche interpretarle in modo coinvolgente. La ritroviamo nel volume “Cavalieri dell’Arcobaleno 2020“, nato dalla passione e dall’impegno di un’altra amabile poetessa, Teresa Gentile, animatrice del Salotto culturale di Palazzo Recupero, che un po’ ricorda l’ottocentesco salotto milanese della contessa Clara Maffei, e ci fa godere il “Soliloquio di un lampione”: “Nacqui su carta bianca/ dal tocco leggero/ di mano d’artista/ e nella vivida fiamma/ della fucina di un fabbro/ le mie forme forgiate,/ plasmate,/ al ritmo del maglio/ che risuonava sull’incudine…”. Cinzia Castellana è anche attrice dalle ammirevoli qualità, cacciatrice di tradizioni locali; instancabile, appassionata, fertile nella scrittura, colta, insensibile al fascino di ogni modello. Sempre molto belle le sue opere non solo in lingua ma anche in dialetto, ricco di suoni, di armonie, di onomatopee. La sua intensa attività poetica tocca tutti i temi, ispirata a volte da una profonda religiosità.
Passando da una pagina all’altra di questa antologia incrocio altri nomi conosciuti ed egregi, come Giovanni Nardelli, fresco,brioso, gustoso, che in una sua composizione esalta quella terra benedetta da Dio, che è la Valle d’Itria, di cui Giuseppe Giacovazzo nel suo libro “Puglia. Il suo cuore”, scriveva: “Le terrazze di ulivi che scendono in Valle d’Itria trattengono la poca terra orlata da un infinito ricamo di muri a secco”. Leggo dunque questi versi di Giovanni Nardelli, tradotti in lingua dal martinese: “Un mantello tutto stellato/ è caduto nella vallata/ ha coperto tre paesi/ che vicini si sono messi/ Ha portato bianchi trulli a mamme povere/ e con una vigna e tanta forza/ anche gli uomini ha accontentato./ Dei bambini non si è dimenticato/ e col sole li ha baciati…”.
Nardelli scrive anche canzoni gioiose, che ha raccolto in alcuni cd. I suoi temi sono lo splendore di Martina, i trulli, la cucina, la campagna con le sue viti inginocchiate, come le definiva il poeta e critico d’arte (“Epoca”, “Corriere della Sera”) Raffaele Carrieri, tarantino, a cui Mondadori ha dedicato un Oscar. Una sera, tornando in auto dalla masseria “Il cappotto” di Laterza, Giovanni, che non può certo essere considerato uomo schivo e solitario, interpretò una poesia, intrisa di ironia arguta, dedicata alle polpette preparate dalla moglie. Presenti il professor Francesco Lenoci e Benvenuto Messia.
Benvenuto Messia, appunto. Nelle pagine di questa silloge così ricca anche di fotografie, così preziosa, non poteva mancare la sua poesia in dialetto, briosa, brillante, spumeggiante, capace di sollevare lo spirito, anche quando gli baluginano idee che dalla penna di un altro uscirebbero tristi e malinconiche: testimone il suo ritratto del destino dei nonni, richiesti quando servono e abbandonati quando non servono. Messia è un mattatore: bravo in ogni ruolo (anche in quello del prete con Lino Banfi); e quando recita i suoi versi strappa risate a pioggia, abile com’è anche ad inserire improvvisazioni magari per uno spettatore giunto in ritardo, mentre lui si esibisce, oltre che con le parole, con una gestualità ritmica, pause, cadenze più che efficaci.
A volte si ha l’impressione che la poesia per lui sia un gioco. È autentico, ha una “vis” comica travolgente. È un giovanotto di ottantasei anni che tiene banco senza mai traboccare. Amante della bici, continua a correre nonostante l’età; ad attraversare correndo il reticolo di strade, stradine, piazze, vicoli, “’nchiostre” della sua Martina. Ed è pedalando che forse fiorisce la sua arte. Quando a Martina passa il Giro d’Italia, gli si accoda, ma non per sentirsi un asso del ciclismo. Lo conobbi tanti anni fa nel trullo del maestro Oronzo Carbotti, dalle parti della via per Locorotondo. E in quelle “casedde” apprezzai per la prima volta la sua “verve”. Declinò tra le altre una poesia sull’uomo incoronato, categoria di cui il mondo è ricco; e risi tanto che rientrando a casa avevo la smorfia stampata sul viso. Benvenuto, tra l’altro maestro della fotografia, sembra nato sul palcoscenico e cresciuto sulla sella.
In “Cavalieri dell’Arcobaleno 2020” non scorrono soltanto poeti come Silvia Caramia, che nel suo “Giardino del melograno” a Martina, suona il piano e allestisce serate culturali. Troviamo: il musicista Franco Speciale; il cantante Gianni Nasti; l’attore Antonio Felice, che recita le poesie di Totò; la regista Antonella Conserva; la docente Pina Chirulli, che invita in classe poeti e narratori dialettali per fare gustare agli alunni le modulazioni fonetiche del loro dialetto; Anna Maria Gerlone con le sue porcellane; Angela Barratta con il suo mirabile ritratto di Teresa Gentile accanto a suo marito, scomparso prematuramente; oltre al poeta Giovanni Monopoli che ama il vernacolo tarantino. Il libro contiene anche le biografie, succose, dei vari autori, tutti del vivaio di Teresa Gentile, che ha dedicato questa corposa antologia al marito, professor Raffaele Cofano, un gentiluomo, che è stato una colonna portante del Salotto culturale di Palazzo Recupero. Qualche anno fa ho avuto l’onore e il piacere di conoscerlo nella sua villa sul Chiancaro, colpito dalla sua ospitalità, dalla sua curiosità sulla Martina che ho vissuto io nella campagna dello zio prete, quando avevo soltanto una dozzina d’anni e venivo da Taranto, che allora aveva sogni e speranze.
Nelle ultime pagine di questo “Scrigno di emozioni”, incontriamo anche due Patriae Decus di Martina Franca: il preside Michele Pizzigallo, storico di chiara fama, e il professor Francesco Lenoci, docente dell’Università
Francesco Lenoci
Cattolica del Sacro Cuore di Milano, autore di 35 libri di economia e conferenziere viaggiatore,oltre che amante del vernacolo e curioso di tutti i valori del nostro Paese (la moda, la ceramica, l’enogastronomia… che descrive con maestria, con passione ammirevoli). Il professore è presente con alcune sue “Lectio Magistralis” tenute in diverse città italiane: da Verona a Milano, a Taranto durante una mostra fotografica di Cataldo Albano al Castello Sforzesco; al “Giardino del Melograno” di Martina. Nel dicembre del 2003 è stato relatoreall’Angelicum di via della Moscova a Milano; correlatoriGiuseppe Giacovazzo, padre Eligio, Giuseppe De Tomaso, il noto e stimato imprenditore Dino Abbascià, dinamico, intelligente, schietto, generoso. Quella sera Al Bano Carrisi cantò alcuni dei suoi successi in un teatro strapieno nonostante la pioggia battente. Nel 2019, lo ritroviamo relatore nella tenuta dello stesso Al Bano a Cellino San Marco, dove ha reso omaggio a suo padre: don Carmelo Carrisi. Sempre lo scorso anno, relatore all’inaugurazione della mostra “Città Silenti” di Michele Volpicella a Matera presso la Fondazione Sassi. Francesco Lenoci, i cui interventi sono apprezzati ovunque, è ormai un personaggio.
Quanti talenti in Puglia, oltre alle sue bellezze – ha detto da qualche parte lo stesso docente. Aggiungendo che se si vuol conoscere bene la Puglia, se la si vuole capire, bisogna farsi forestiero, guardarla con gli occhi di quelli che vengono da lontano. Si capirà perché si fermano a contemplare i paesi, le chiese, i castelli, i due mari di Taranto, il Grande e il Piccolo (“‘u peccerìdde” per il poeta Alfredo Lucifero Petrosillo, che scrisse “’U travàgghie d’u màre”), sposati dal canale navigabile. Si ritroveranno i gesti che si credevano perduti, umanità e bellezza, eleganza e fantasia”. E ascoltando le voci dei poeti, innamorati del luogo in cui sono nati, orgogliosi delle loro origini, si potrà intendere l’anima della Puglia.