A Francesco Lenoci bisognerebbe riconoscere il merito di diffusore di cultura. Spesso fa conoscere a chi parla la grandezza dei valori del proprio paese. L’ho ascoltato a Grottaglie, dove ha ripercorso la storia di una dinastia di figuli; l’ho seguito a Taranto, dove in un’elegante galleria del Castello Aragonese ha tenuto conferenze per l’inaugurazione delle mostre di Cataldo Albano fotografo insigne, su Matera e sulla stessa città dei due mari. Nella masseria “Il cappotto” di Laterza ha celebrato le caratteristiche del pane e lo stesso argomento ha affrontato ad Altamura: centri il cui pane è richiesto da ogni parte della Puglia, e non solo. L’ho ritrovato a Verona, invitato da Albano per la mostra su Taranto, città cantata da tanti poeti e scrittori non soltanto dei tempi moderni.
A Milano non si contano gli interventi di questo docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, autore di 35 libri su finanza aziendale, bilanci e revisione contabile.
È “Patriae decus” di Martina Franca, il suo luogo natìo e organizzatore di eventi di alto livello. La sua recensione orale a uno dei libri dello scrittore, fecondo e avvincente, Goffredo Palmerini sugli italiani nel mondo, tenuta nella sede di una banca nel quartiere di Lambrate è stata a suo tempo un avvenimento (Palmerini, persona adorabile è sempre sulle piste dei nostri emigranti, va nelle loro case, a New York, in Australia, in Canada, in Brasile… nei circoli che frequentano e ascolta le loro vicende, che poi raccoglie in volumi ricchi di interesse).
Lenoci dunque è un viaggiatore della cultura. Da anni prende aerei, treni, sale sulla sua auto per raggiungere ogni località, da nord a sud, sempre accolto festosamente da un pubblico attento e curioso. E folto sino a straripare, come alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari, dove trattò un tema di economia, applaudito anche per il suo linguaggio agile, piacevole, mai ostico.
Discute di materie da specialista, rendendole accessibili a chiunque, anche ricorrendo a fiabe e storielle. In una serata organizzata dal Rotary Club di Merate, alla quale partecipavano industriali, direttori di banca, liberi professionisti, magistrati, al termine fu assalito da parte dei presenti desiderosi di saperne di più o di soddisfare qualche dubbio nutrito da tempo. E durante la cena ancora domande di fila, al punto che il docente trovava difficoltà ad assaggiare il piatto che fumava sotto il suo naso. Ma non se ne dava pensiero, lui che è un noto buongustaio.
Negli ultimi tempi va valorizzando anche capolavori di sartoria, tra cui il capospalla di Martina Franca, forse in omaggio all’ultranovantenne papà Martino, che è stato un virtuoso del filo e dell’ago. E la cucina, perché anche questa è un’arte, e artisti sono non soltanto gli “chef” (ho conosciuto quelli delle regine del mare, la “Michelangelo” e la “Raffaello”, durante i miei viaggi di lavoro), ma anche tante casalinghe. Insomma Francesco Lenoci spazia in diversi campi. Compreso quelli del capocollo, salume tipico della Murgia dei trulli e apprezzato in quasi tutto il Sud già nel XVIII secolo, e della bombetta, entrambi di Martina Franca.
Quando non ha tempo di spostarsi, ricorre a Facebook e illustra i piatti della nonna: fave con cicoria, un piatto una volta povero quindi frequente sui tavoli dei contadini, e oggi gustato anche in vari ristoranti nel capoluogo lombardo; le melanzane o le seppie ripiene; riso, patate e cozze (rigorosamente quelle di Taranto); le chiancarelle con le cime di rapa… Con Francesco Lenoci non ci si annoia mai, anche perché il personaggio non assume mai atteggiamenti professorali. È persona alla mano persino con i suoi allievi, che lo adorano, nonostante lui non ami l’indulgenza.
Melomane da sempre, appassionato del Festival della Valle d’Itria, che andrà in scena a luglio con “Il borghese gentiluomo” e “Arianna a Nasso”, e con i concerti nelle masserie e in altre sedi di Crispiano, Cisternino, Polignano a mare, città che dette i natali a Domenico Modugno, e nel centro storico della stessa città che si gloria di una terra rossa disseminata di case incappucciate, i trulli, amati da scrittori come Carlo Castellaneta e Guido Piovene.
Francesco Lenoci è fedelissimo di San Pio e di don Tonino Bello. Di don Tonino, nato ad Alessano e diventato vescovo di Molfetta e ora in odore di beatificazione, ha letto tutto quello che il vescovo ha scritto e applica gli insegnamenti nella sua vita quotidiana, ricordandolo sovente nelle sue relazioni: “Secondo don Tonino Bello non basta più enunciare la Speranza, ma occorre organizzarla”. Ha visitato più volte la casa e la tomba, a partire da quando nel 2007 fu tra i relatori di un convegno a Santa Maria di Leuca, rinomato centro turistico nel Sud del Salento.
Lenoci è stato amico dell’imprenditore Dino Abbascià, che venuto a Milano da Bisceglie all’età di 13 anni, ha costruito un impero, divenendo vicepresidente dell’Unione Commercianti e detenendo incarichi di alto prestigio in altri enti. Scomparso prematuramente nell’anno dell’Expo di Milano, Dino fu proclamato da giornali importanti re del settore ortofrutticolo, non soltanto perché era stato il primo a introdurre da noi la frutta esotica, ma anche per la notorietà di cui godeva anche grazie ai suoi furgoni che circolavano per Milano con la scritta della sua impresa e per le iniziative cui prendeva parte o che faceva organizzare. Un suo grande negozio in centro era così bene allestito da sembrare un’enorme tavolozza.
Abbascià era uomo generoso, dinamico, disponibile e faceva onore a Bisceglie e a Milano. Stimava molto Lenoci; lo voleva sempre accanto a sé nelle attività del circolo pugliese, di cui era presidente, che si tenevano anche al Circolo della Stampa in corso Venezia e all’Istituto dei Ciechi e gli dava sempre la parola. Lenoci esaltava la Puglia e le sue perle; metteva in luce i personaggi che si distinguevano, i progressi che la sua regione faceva…. Quando Lenoci qualche anno fa nella Sala Montanelli del Circolo organizzò l’omaggio a Martina Franca per i suoi 700 anni, con un pubblico che traboccava, la notizia del successo si diffuse in un baleno raggiungendo la stessa Martina, dove il professore ha parlato più volte ai Rotariani, ai Lions, alle Soroptimist, ai confezionisti, agli artigiani, agli studenti, alle confraternite….
Lo sento spesso al telefono, Francesco. A volte vado a trovarlo nel suo studio al quinto piano della Terrazza Martini, in piazza Diaz, dove negli anni 60, all’ultimo piano, incontrai per il mio giornale di allora Arnoldo Foà ed altre personalità dello spettacolo. Dalla finestra della studio di Francesco Lenoci si può lanciare lo sguardo verso piazza Duomo, la Cattedrale e l’ingresso della Galleria Vittorio Emanuele. I locali sono pieni di libri e di faldoni, la scrivania è sgombra. La segretaria, Annalisa, una signora dolce e preparatissima, fa il suo lavoro vicino alla finestra dell’ingresso.
E ogni volta che vado a fargli visita Lenoci tesse le lodi di Abbascià, di ciò che ha costruito cominciando da semplice garzone di fruttivendolo; e dice che Bisceglie, i cui prodotti della terra prendono le vie d’Europa, ha dedicato a Dino una scuola e il mercato Ortofrutticolo. Abbascià era anche giornalista e ha scritto spesso della sua “culla”; e, come gli uccelli che tornano sempre al nido, non mancava di fare un salto nel suo, accompagnato dalla moglie Teresa. Come Francesco Lenoci, che ha Martina Franca e il suo Festival nel cuore.
Ho voluto comporre questo ritratto per affetto e anche perché Francesco, terminata la clausura imposta da quel cecchino spietato che chiamano coronavirus, sta per riprendere i suoi viaggi culturali.