Ser Arthur Conan Doyle ci racconta nel suo "Il crimine del Congo", senza mezzi termini e giri di parole, le atrocità commesse ai danni della popolazione del Congo belga da parte del regime coloniale di Re Leopoldo II ai primi del ‘900.
Una raccolta di eventi e vicissitudini da non sembrare, quasi, appartenere al secolo scorso, e, seppur con qualche differenza lieve, ma non sostanziale, lo specchio dell’attuale società vissuta nel Sud del mondo.
Il padre del celeberrimo Sherlock Holmes, figura emblematica e carismatica che ha cavalcato il tempo fino a divenite un’icona del genere, si cimenta, in un’opera di un’attualità estremamente vicina ad ogni tipo di cultura, tempo e luogo, quindi, che permette, al lettore attento e scrupoloso di effettuare un parallelismo storico estremamente importante, dato che siamo il frutto del nostro vissuto e saremo la proiezione del nostro presente.
Pubblicato per la prima volta nel 1908, Il crimine del Congo è tradotto in italiano per l’edizione Bordeaux del 2020 e accompagnato da un’ampia introduzione storica da parte di Giuseppe Motta professore associato di Storia delle Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Lettere e Culture Moderne della Sapienza Università di Roma.
Il tratto consolidato di Doyle, quindi, si arricchisce, in questa edizione, di approfondimenti e riflessioni sullo strato collettivo dell’epoca e sulla condizione di potere e supremazia che la classe dominante intendeva imporre quale status sociale.
“Il crimine del Congo” deve intendersi, quindi, come una vera e propria denuncia degli atteggiamenti per l’appunto criminosi del regime belga, impostosi come pseudo dittatura a soppressione di ogni diritto umano.
Coglie bene, quindi, il professore Motta nella sua prefazione quando sottolinea che “L’esplorazione dei territori africani diventava essenziale per aprire nuove strade in regioni rimaste in gran parte sconosciute, rese ancora più misteriose e affascinanti da avventure come quella di David Livingstone, il quale dopo aver scoperto le Cascate Vittoria partì alla ricerca della sorgente del Nilo, giungendo fino alla parte superiore del Congo.” Ricalcando, quindi, la innata necessità umana di scoprire nuove terre, di vivere nuove avventure e, desiderio ancor più recondito, ma purtroppo presente nella natura di ogni essere vivente, riuscire a predominare e irrompere con la propria forza presso un dominio già precostituito.
Oltre a curare la redazione di questo manoscritto il professore Giuseppe Motta si è occupato prevalentemente di storia delle minoranze nel XX secolo, tema a cui ha dedicato numerosi volumi e articoli in riviste scientifiche. Fra le sue pubblicazioni più recenti The Great War against Eastern European Jewry, 1914-1920 (Cambridge 2017), Less than Nations. CentralEastern European Minorities after World War I (Cambridge 2013) e Robie. La schiavitù dei rom in Valacchia e Moldavia (Roma 2013).