Mario Fresa pubblica una nuova raccolta poetica dal titolo Bestia divina (La scuola di Pitagora Ed., NA, 2020). A leggere i 34 testi della raccolta(più le dodici note/’soluzioni’ in appendice) viene spontaneo il pensiero di una ‘riduzione’ stilistica dei testi. Se, infatti, nella precedente raccolta (Svenimenti a distanza) chi scrive aveva potuto parlare di “scomparsa dell’io lirico”, qui la scomparsa si è fatta totale e, al’apparenza, i testi restano deprivati di significato. Per fortuna (fortuna per il lettore non abituale) interviene la presentazione di Andrea Corona a indirizzare il lettore sull’asse del senso e della significazione. Il prefatore – citando M.Heidegger, J.F.Lyotard e M.Blanchot – ci dice che “torti e storture, sospensioni ipnagogiche e ipnopompiche situate ‘tra’ la veglia e il sonno, dissidi e mancamenti costituiscono alcuni dei tratti peculiari della poesia di Mario Fresa; una poesia in cui si ‘cade’ spesso e dove l’aut-aut del pensiero discorsivo e della enunciazione dialettica, che procede per polarizzazione di coppie di termini opposti mutuamente esclusivi (bene e male nell’etica, bello e brutto nell’estetica, vero e falso nella gnoseologia, essere e divenire nell’ontologia, realtà e apparenza nella fenomenologia, soggetto e oggetto nella epistemologia, nome e predicato nella logica, eccetera), lascia il posto all’et…et del linguaggio interiore e della frase-affetto” (p. 7).
La frase-affetto, come si legge ne Il dissidio di Lyotard, è quella in cui c’è un “dissidio insanabile e l’istante del linguaggio in cui qualcosa che deve poter esser messo in frasi non può ancora esserlo” (p. 5). Cioé le parole non si trovano perché imbevute di sentimento e di desideri, e perciò ancora “equivoche”. D’altra parte, “come nella Fenomenologia della percezione di Maurice Merlau-Ponty, vale il principio per cui, in colui che parla, la parola non traduce un pensiero già fatto, ma concorre al suo compimento” (p. 10). Forse è per questo che, per tale filosofo francese, si è parlato di “ambiguità”. A parte poi che anch’egli s’era formato alla scuola fenomenologica d Husserl, dove – com’è noto – la riduzione fenomenologica si basa sulla sospensione del giudizio (logico) alla maniera degli antichi scettici. La stessa indagine fenomenologica esige la ‘messa in parentesi’ del soggetto psicologicamente inteso.
Continua il prefatore: “I versi di Fresa osano l’aporia, osano avventurarsi oltre le catene della sintassi per approdare a quel che la psicanalisi freudiana chiamava l’ombelico del sogno, nodo inaccessibile all’analisi. La poesia si fa allora estroflessione dell’inconscio, si fa […] condensazione e spostamento, si fa sogno stesso. Di più, vi è una narrazione poetica che gioca con uno scollamento, quello tra linguaggio parlato e soggetto parlante, che gioca coi concetti di conclusione e sconclusione, di compiutezza e di incompiutezza, e dunque coi concetti di sapere e non-sapere, di conoscenza e ignoranza: non per nulla il soggetto del discorso resta il più delle volte ignoto” (p. 9).
E, trattandosi di “estroflessione dell’inconscio”, da ora in avanti ci sia lecito servirsi di nozioni della psicologia analitica junghiana. Com’è noto, Jung distingue fra inconscio personale e collettivo: il primo concerne le “fantasie (inclusi in esse i sogni) di carattere personale che risalgono indubbiamente ad esperienze, dimenticanze, rimozioni personali e perciò si possono spiegare interamente in base all’anamnesi individuale. Il secondo, le fantasie (inclusi in esse i sogni) di carattere non personale e che quindi non si possono far risalire alla ‘preistoria’ individuale, né spiegare da acquisizioni individuali. […] E’ perciò da supporre che esse corrispondano a certi elementi strutturali collettivi (e non personali) dell’anima umana in generale e […] che si trasmettano in via ereditaria. […] Tali casi sono così frequenti che non si può fare a meno di ammettere l’esistenza di uno strato-base psichico-collettivo” ( Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, TO, 1972, p. 114). Ci dobbiamo limitare, in questa sede, a citare solo qualche esempio di testi indotti dall’inconscio individuale dell’autore. Essendo Fresa un musicologo, c’è innanzitutto il titolo del testo di p. 38, I musici; poi viene citato Bach a p. 51. Ma è la sordità di Francisco Goya a dominare: a cominciare dal figlio, Javier, nominato a p. 28, e poi a p. 46, quando nel 1792 è “stretto nella ragna di un eterno assordamento. Lì precipita e s’abbuia. E poi da lì rinasce” (p. 61). Inoltre, lo stesso titolo del testo di p. 40, La quinta del sordo, può essere – anfibologicamente – interpretato in doppia maniera: in spagnolo “quinta” è una villetta di campagna e alluderebbe così a quella del ‘sordo’ Goya; oppure è, nella scala diatonica musicale, l’intervallo di cinque gradi separati da tre note (aumentata, diminuita, eccedente). Inoltre, che “il soggetto del discorso resta il più delle volte ignoto”, è quanto si può constatare attraverso i vari ‘nomi’ qua e là dispersi nei testi (“Kurt, Antonio, Anthony, Ester, Goffredo, Landi, Francesi, Franz, Luisa, Paola, Emme, Sara, Nievo, Merlino, Nicola”). Ciò d’altronde viene anche teorizzato, attraverso una citazione da I Giganti della Montagna di Pirandello: “Guai a chi si vede nel suo corpo e nel suo nome. Facciamo i fantasmi”. E rimarca l’autore: “ Abbasso la realtà. […] Fantasmare, fantasmare sempre!” (p. 60).
Per Jung, la funzione fondamentale dell’attività psichica è l’individuazione: “Individuarsi significa diventare un essere singolo e, intendendo noi per individualità la nostra più intima, ultima, incomparabile e singolare peculiarità, diventare se stessi, realizzare il proprio Selbst [Se stesso: personalità integrale]. […] Bisogna distinguere fra individualismo e individuazione. L’individualismo è un mettere intenzionalmente in rilievo le proprie presunte caratteristiche in contrasto coi riguardi e gli obblighi collettivi. L’individuazione invece è un migliore e più completo adempimento delle finalità collettive dell’uomo, in quanto il tener sufficientemente conto delle caratteristiche dell’individuo lascia sperare una funzione sociale migliore che se le caratteristiche vengono trascurate e represse” (C.G.Jung, L’io e l’inconscio, Einaudi, TO, 1954, pp. 75/76). Non vorremmo tuttavia che si pensasse che l’essersi soffermato sull’emersione dell’inconscio conduca Fresa a tralasciare il processo di individuazione. Una cosa sono i testi di Bestia divina e un’altra i processi psichici di autoregolamentazione per arrivare a possedere una personalità integrale. Piuttosto va detto che il titolo della raccolta di Fresa può essere riferito all’emersione dell’inconscio (“Bestia”) e alla sua sacralità (“divina). Afferma Jung: “Potremmo vedere nel simbolo prodotto spontaneamente nei sogni dei moderni una rappresentazione più o meno diretta del Dio, cioé il dio interiore. […] Considerando inoltre il fatto che l’idea della divinità è un’’ipotesi non scientifica’, possiamo facilmente spiegarci perché gli uomini abbiano disimparato a pensare in questo senso, […] e avrebbero paura di avvicinarsi all’idea di un ‘Dio interiore’, svalutando quest’idea come ‘mistica’. Ma è proprio quest’idea ‘mistica’ che viene imposta al Conscio da sogni e visioni” (Psicologia e religione, Ed. Comunità, MI, 1977, p. 82).
Infine, sotto l’aspetto grammaticale, non possiamo non segnalare che anche in questa raccolta c’è una tipica ellissi del complemento a cui ci ha abituato l’autore: “quasi pronto a dirmi cose che” (p. 41). Ci sono poi caratteristiche coppie di termini accostati dal trattino, che accentuano la complessiva “ambiguità” della scrittura e ne sono, per così dire, una sua sigla: “corpo-trasloco” (p.22), “corpo-orecchio” (p. 28), “desideri-soldati” (p. 33), “lupo-bambina” (p. 55). E, tanto per non dimenticarsi dell’uso fatto in passato, ci sono pure dei prosimetri.
MARIO FRESA, Bestia divina, La scuola di Pitagora Ed., NA, 2020, €. 8,00.
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Mario Fresa (1973). Collaborazioni a riviste italiane, francesi e internazionali: «Caffè Michelangiolo», «Paragone», «Nuovi Argomenti», «Il Verri», «L’Almanacco dello Specchio», «Recours au Poème», «Nazione Indiana», «Semicerchio», «La Revue des Archers», «Poesia». I suoi testi poetici sono presenti in varie antologie pubblicate sia in Italia sia all’estero, da Nuovissima poesia italiana (a cura di M. Cucchi e A. Riccardi, Mondadori, 2004) alla recente Ventidós poetas por un nuevo milenio (numero monografico della rivista «Zibaldone. Estudios italianos» dell’Università di Valencia, 2017).
È stato tradotto in Francia (da Viviane Ciampi e Damien Zalio), in
Spagna (a cura di Paolino Nappi e Juan Pérez Andrés), nel Venezuela (da
Antonio Nazzaro), in Cile (da Julio Carrasco) e negli Stati Uniti.
Esordisce nel 2002 con Liaison, un libro di prose e di poesie
introdotto da Maurizio Cucchi (edizioni Plectica; Premio Giusti Opera
Prima, Terna Premio Internazionale Gatto) cui fanno séguito, tra le
altre pubblicazioni di poesia: Alluminio (LietoColle, 2008, con un’analisi critica di Mario Santagostini; tradotto in Francia nel 2019); Costellazione urbana (Mondadori, «Almanacco dello Specchio» n. 4, 2008); il poemetto in due tempi Luci provvisorie (Mondadori, «Nuovi Argomenti», 2009); un frammentario romanzo in versi, Uno stupore quieto (Stampa2009,
con prefazione di Maurizio Cucchi, 2012; menzione speciale al Premio
Internazionale di Letteratura Città di Como); La tortura per mezzo delle rose (nel sedicesimo volume di «Smerilliana», 2014, con un saggio di Valeria Di Felice); Teoria della seduzione (Accademia di Belle Arti di Urbino, con opere visive di Mattia Caruso, 2015); il prosimetro Svenimenti a distanza (Il
Melangolo, 2018, con una riflessione critica di Eugenio Lucrezi; Premio
Internazionale Cumani Quasimodo). Quindici nuovi testi poetici, tratti
dal suo prossimo libro Il mantello di Goya, sono stati anticipati sul n. 70 de «Il Verri» e sul quotidiano «La Repubblica».
Nel campo della critica letteraria ha pubblicato, tra l’altro, Come da un’altra riva. Un’interpretazione del Don Juan aux enfers di Baudelaire (Marco Saya edizioni, 2014) e ha scritto, insieme con il filosofo Tiziano Salari, tre libri di indagine saggistica: Il grido del vetraio. Dialogo sulla poesia (Nuova Frontiera, 2005); Le tentazioni di Marsia (Nuova Frontiera, 2006); La poesia e la carne. Tra il labirinto dei corpi e l’inizio della parola (La Vita Felice, 2009). Ha curato, inoltre, l’edizione critica del poema Il Tempo, ovvero Dio e l’Uomo di Gabriele Rossetti (nella collana «I Classici» di Rocco Carabba, 2010) e la traduzione e il commento dell’Epistola De cura rei familiaris attribuita a Bernardo di Chiaravalle (Società Editrice Dante Alighieri, 2012).
Ha tradotto dal greco moderno (Sarandaris), dal latino classico e medievale (Catullo, Marziale, Pseudo-Bernardo di Chiaravalle) e dal francese (Baudelaire, Rimbaud, Musset, Apollinaire, Desnos, Frénaud, Cendrars, Char, Duprey, Queneau).
Fa parte del Comitato di Redazione del semestrale «La clessidra» e della rivista internazionale «Gradiva» (Università di Stony Brook, New York).
Cura il blog Le parole viventi e, insieme con Federica Giordano, Il re pescatore (rassegna di Musica e Storia).
Nel 2017 gli è stato conferito, ad honorem, il Premio Internazionale Prata per la critica letteraria.