Il 10 agosto ricorre l’anniversario della nascita dello scrittore brasiliano Jorge Amado. Cantore poetico di Bahia e autore di un’opera a tratti universale, volta a riflettere su valori sociali fondamentali quali la giustizia e la libertà, Amado diede spazio a culture negate come quella degli afro-brasiliani. Con la sua narrativa, spalancò la finestra del Brasile sul mondo: i suoi libri, tradotti in 48 lingue, affascinano ancora oggi milioni di lettori. L’obiettivo della sua opera era scrivere per un grande numero di lettori allo scopo di liberare la letteratura brasiliana dal dominio della élite. Per questo trovò le proprie radici nella tradizione popolare nordestina e nell’estetica del realismo critico. Era nato il 10 agosto 1912 nella fazenda Auricídia, in Ferradas, distretto di Itabuna, a sud dello stato di Bahia. Figlio di un commerciante sergipano divenuto fazendeiro di cacao, aveva tre fratelli: Jofre, Joelson e James. Presto la famiglia si trasferì a Ilhéus dove Jorge trascorse l’infanzia. Fin da piccolo mostrò interesse per la parola scritta tanto da fondare il giornalino A Luneta che veniva distribuito a vicini e parenti. Trasferitosi a Salvador, frequentò il collegio gesuita Antonio Vieira e grazie ad un professore, padre Luiz Gonzaga Cabral, iniziò ad ampliare la sua conoscenza di autori e opere. Quegli anni nella capitale baiana furono ricchi di esperienze: “Vivevo dappertutto, nel mercato di Agua dos Meninos, al mercato di Sete Portas, mangiavo sarapatel e maniçoba. Frequentavo bordelli, feste popolari, feste di strade, mangiavo pesce con i marinai” (Itazil Benicio dos Santos. Jorge Amado: retrato incompleto”, Rio de Janeiro: Record, 1993, p. 73). Abitava in un caseggiato al Pelourinho e ottenne anche un impiego come reporter al giornale Diario da Bahia. Collaborò poi alle riviste A Luva, Dom Casmurro, Para Todos e O Imparcial. Nel 1929 con Edison Carneiro e Dias da Costa scrisse la novella Lenita e si unì ad un gruppo di intellettuali con cui fondò l’ Academia dos Rebeldes che cercava “un’arte moderna, senza essere modernista”. Fondò due riviste: Meridiano e O Momento. Nel 1931 a Rio de Janeiro, mentre studiava Giurisprudenza, pubblicò il suo primo libro: Il Paese del Carnevale. Aveva solo 18 anni. L’anno successivo uscì la seconda edizione, mentre lui visitava Pirangi, nello stato di Bahia, ove rimase impressionato dalle difficili condizioni di vita dei lavoratori. Iniziò quindi a scrivere il suo secondo libro: Cacao. Da Il paese del carnevale a Cacao (1933), fino alla trilogia del 1954 I sotterranei della libertà (composta dai romanzi Tempos difíceis, Agonia da noite e A luz no fundo do túnel) e oltre, i suoi libri hanno continuato ad accompagnare da vicino la vita del popolo brasiliano. Considerato un sovversivo, nel 1936 venne imprigionato per la prima volta a Rio de Janeiro, proprio mentre usciva uno dei libri più lirici: Mar Morto, che ispirò l’amico Dorival Caymmi a comporre la musica E’ doce morrer no mar, di cui Jorge scrisse le parole.
Nel 1937, insieme al collega dell’Academia dos Rebeldes, Edison Carneiro, organizzò a Salvador il 2° Congresso afro-brasiliano, che in parte si opponeva al primo, organizzato da Gilberto Freyre nel 1934 in Pernambuco, a Recife. Il Congresso riunì non solo lavori di specialisti e intellettuali brasiliani e stranieri, ma molte persone afrodiscendenti del Brasile legate alla vita artistica, economica e religiosa. Nel giornale Estado da Bahia del 17 dicembre di quello stesso anno, leggiamo: “Il 19 novembre 1937 davanti alla Escola de Aprendizes Marinheiros, nella città di Salvador, sono stati bruciati libri giudicati come sovversivi e simpatizzanti del pensiero comunista: 808 esemplari di Capitani della spiaggia, 223 esemplari di Mar Morto, 89 esemplari di Cacao, 93 esemplari di Sudore, 267 esemplari di Jubiabà, 214 esemplari de Il Paese del Carnevale. Tutti i libri sono stati ritirati dalle librerie Editora Baiana, Catilina e Souza e si trovavano in perfetto stato”. Erano tutte opere di Jorge Amado. Censurato e perseguitato fin dalla sua pubblicazione, Capitani della spiaggia vide la luce proprio durante la nascita dell’ “Estado Novo” il regime politico dittatoriale instaurato da Getúlio Vargas in Brasile il 10 novembre 1937 con un colpo di Stato e durato fino al 31 gennaio 1946. Prima del golpe il Brasile era ufficialmente in stato di guerra con censura, prigionia politica, negazione dei diritti e della libertà. Lo sforzo del ministro della Educazione Gustavo Capanema e di tutta una rete di istituzioni che includevano il Dipartimento di Stampa e Propaganda (DIP), mosse molti scrittori a seguire il progetto getulista di un’ arte celebrativa della patria, di Dio e della famiglia, oltre ad una esaltazione del folclore.
Amado continuò a seguire la sua strada e venne di nuovo arrestato. Liberato nel 1938, si trasferì a São Paulo. Nei primi anni ‘40, per fuggire alla polizia politica di GetulioVargas, andò in esilio a Buenos Aires e a Montevideo (1941/42). In quel periodo pubblicò il libro ABC de Castro Alves, una biografia del poeta baiano Antônio Castro Alves (1941), che tuttora, purtroppo, appare inedito in italiano. Rientrato nel suo paese venne di nuovo arrestato, con carcere domiciliare a Salvador. Tornato in libertà, l’anno dopo, diede alle stampe Terras do Sem fim (1943), il primo libro ad essere pubblicato e venduto dopo sei anni di proibizione delle sue opere. Seguirono São Jorge dos Ilhéus (1944) e un testo sulla città di Salvador, Bahia de Todos os Santos (1945). Nel 1945 fu eletto deputato federale per il PCB, come rappresentante dello stato di São Paulo ed entrò a far parte dell’Assemblea Costituente. Assunse il mandato l’anno successivo e divennero leggi alcune sue importanti proposte tra cui quella per la libertà dei culti religiosi. Il mandato durò due anni poiché il maresciallo Eurico Gaspar Dutra, allora presidente (1946/51), mise fuorilegge i partiti di sinistra.
In quegli anni Amado pubblicò il romanzo Seara Vermelha (1946) e un pezzo teatrale intitolato Amor do Soldado (1947). Perseguitato, abbandonò nuovamente il Brasile e viaggiò in diverse parti del mondo, svolgendo un’azione sistematica di denuncia della realtà politica brasiliana.
Nel lavoro e nella vita ebbe accanto per 56 anni una persona speciale: Zélia Gattai, figlia e nipote di anarchici italiani emigrati in Brasile. Con lei condivise tutto, dalla revisione dei libri all’amaro esilio che li vide fuori del Paese per cinque lunghi anni.
Si conobbero nel 1945, durante il 1° Congresso degli Scrittori Brasiliani, a São Paulo e Amado se ne innamorò subito. Nel libro Navigazione di Cabotaggio (Mondadori, 2005) ricorda:
“Mi innamorai di Zélia e lo dissi al poeta Paulo Mendes de Almeida, mio e suo amico, indicandola tra le tante che venivano ad ascoltare i dibattiti, e molte per avere storie con me. Dissi – Quella sarà mia moglie – . Paulo rise e rispose: – Quella chi? Zélia? Mai, non è una donna per te, è onesta, non è di quelle che tu seduci, dimenticala! ”. Lui non desisté: in sei mesi Zélia accettò la sua corte e divenne compagna di discussioni e sogni. Andò ad abitare con lo scrittore e non si lasciarono più. Complice di viaggi e avventure, divise col marito la passione per la letteratura.
Divenne scrittrice con il libro di memorie Anarchici, Grazie a Dio (Sperling e Kupfer, 2001) e da allora continuò sempre a scrivere e a pubblicare libri, oltre ad essere una fotografa, tanto che oggi il Fondo Gattai costituisce un corpus importante del patrimonio della Fundação Casa de Jorge Amado di Salvador Bahia.
Otre all’amore li unì l’ideale del rispetto per tutti gli esseri umani. “Ero affascinata da quell’uomo intelligente e coraggioso. Scriveva, lo imprigionavano, lui usciva, continuava a scrivere e a fare politica. Lo rimettevano in galera, usciva e continuava. Io avevo letto tutti i suoi libri”, mi disse Zélia Gattai in una intervista, “e gli occhi le brillarono”. (In: Zélia de Euá rodeada de estrelas di A.R.Roscill. Ediore Casa de Palavras, 2006).
Insieme a Zélia e al loro figlioletto João Jorge, al quale dedicò la favola “Gato Malhado e Andorinha Sinhã, Jorge Amado visse esiliato dapprima a Parigi (1948/50) e poi a Praga (1951/52). Qui nacque la seconda figlia Paloma.
Rientrato in Brasile, aprì una nuova fase della sua opera letteraria e si distaccò dalla politica di partito. I libri successivi al periodo della militanza politica, pur continuando a ruotare su personaggi socialmente emarginati, rivelano, infatti, una prosa fantastica che descrive costumi e tradizioni. Questa seconda fase si aprì nel 1958 con il romanzo Gabriela, Cravo e Canela, uno dei suoi maggiori successi internazionali, tradotto in 33 lingue. Seguirono cronologicamente A morte e a morte de Quincas Berro d’água (1961), Os velhos marinheiros ou Capitão de longo curso (1961), Os pastores da Noite (1964), Dona Flor e seus dois maridos (1966), Tenda dos Milagres (1969), Tereza Batista Cansada de Guerra (1972), Tieta do agreste (1977), Farda, Fardão e camisola de dormir (1979), Tocaia Grande (1984), O sumiço da Santa (1988), A descoberta da América pelos turcos (1992), Milagre dos pássaros(1997), ecc. Sono testi che incantano il lettore straniero per il lato esotico, ma Amado incontrò, forse, un nuovo modo per esprimere i suoi ideali. Utilizzò, a volte, l’amore e le storie baiane come metafora per continuare a lanciare il suo messaggio socio-politico, non più diretto come nella prima fase, ma sottile e arricchito da elementi popolari, che lo rendevano inattacabile da qualsiasi tipo di censura. Continuò ad esprimere, infatti, una profonda critica sociale e politica ad un immenso Paese che ancora oggi oscilla tra il medioevo e e il post-moderno, permeato da un razzismo strutturale che spesso nega e/o disprezza sia la cultura dei popoli originari che quella afrobrasiliana. Anche per questo, forse, Amado utilizzò frasi provocatorie e piene di verità dicendo che in ogni brasiliano bianco scorre sangue africano nelle vene. La poetessa brasiliana Myriam Fraga, per tanti anni direttrice della Fundação Casa de Jorge Amado di Salvador Bahia scrisse: “Nessuno, proprio nessuno, ha cantato meglio le grazie di Bahia, con un tale incantato amore, con la più sincera tenerezza, nessuno ha parlato cosi del suo popolo, della sua povera gente che, seppure in mezzo alle sofferenze, ancora incontra le forze per amare la vita, intonare canti, danzare, pregare i santi e gli Orixás e di notte, nel silenzio delle ore, negli incroci, deporre un dispaccio per Exú – Laroie! Signore dei Cammini, messaggero degli dei! – affinché non abbandoni la sua gente, chiuda la porta al malvagio e apra i cammini a coloro che vengono nella pace del Signore: Axé. Così sia” (In:Bahia, a cidade de Jorge Amado. Ed. Casa de Palavras, 2000).
La vita di Jorge Amado rappresenta un esempio nobile di lotta costante ai preconcetti, cosa che ribadì anche nella sua ultima intervista rilasciata in Italia al giornalista Gianni Minà per il programma Rai “Storie”.
Morì il 6 agosto 2001, ma ancora oggi le sue opere costituiscono un documento prezioso per conoscere storie, persone, culture del Brasile. Molte di esse appaiono in traduzione italiana e per il centenario della sua nascita la Rai-Radiotelevisione italiana lanciò un documentario biografico, il primo realizzato da una televisione pubblica europea: “Realtà e Magia di Jorge Amado” di Silvana Palumbieri – RAI-Teche. Venne presentato in prima mondiale all’Ambasciata del Brasile a Roma, e poi in diverse occasioni sia in Brasile che in Francia. La sua vasta opera fu al centro di varie iniziative culturali a livello internazionale, organizzate per celebrare colui che è stato un vero ambasciatore del suo paese nel mondo, e che continuava a dire: “Non ho desiderato altro che essere uno scrittore del mio tempo e del mio Paese. Non ho preteso e non ho mai tentato di fuggire dal dramma che viviamo. Non ho mai preteso di essere universale, se non essendo brasiliano e sempre più brasiliano. Potrei anche dire, sempre più baiano, sempre più uno scrittore baiano.”
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Immagine di copertina Photo credit: ©Fundação Casa de Jorge A mado-Salvador-Brasile