“..fuori da quei monti che mi chiudono l’orizzonte..”
Andare lontano dalla propria terra impregnata da pregiudizi, andare contro il maschilismo schiacciante, incarnando ideali di libertà. Una lotta intessuta da coraggio e volontà contro le opprimenti convenzioni del tempo. Un esempio di riscatto e di grandi ideali, precorritrice dei diritti al femminile: Grazia Deledda scrittrice sarda, la prima donna a ricevere il Premio Nobel nel 1926, simbolo emblematico di emancipazione, celebrata in tutto il mondo a 150 anni dalla nascita.
“Sono nata in Sardegna, la mia famiglia, composta di gente savia ma anche di violenti e di artisti primitivi, aveva autorità e aveva anche una biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere, a tredici anni, fui contrariata dai miei. Il filosofo ammonisce: se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo per la strada dei monti; se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora; se va per la terza volta, lascialo in pace perché è poeta. Senza vanità anche a me è capitato così”. Si esprimeva così, il 10 dicembre 1927 Grazia Deledda dinnanzi all’Accademia Reale Svedese che le aveva assegnato il Nobel per la Letteratura, anno 1926. La seconda donna, dopo la svedese Selma Lagerlöf, a ricevere questo riconoscimento e la prima italiana per la letteratura, mantenendo ancor oggi il primato. Semplicità, ricchezza interiore e determinazione emergevano nel discorso di una donna volitiva e coraggiosa che, aveva sfidato gli inflessibili principi di una società arcaica come quella nuorese, dov’era nata nel 1871 contrastanti lo spirito libero della Deledda che aveva “un irresistibile miraggio del mondo, e soprattutto di Roma’’ disse ancora la scrittrice a Stoccolma per il ritiro del Nobel. Aveva 55 anni quando venne insignita del maggiore riconoscimento esistente “Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”. Questa la motivazione al Nobel attribuito dall’Accademia svedese e gradito da Grazia Deledda che al re Gustavo V di Svezia, rivolse semplici parole concluse nel dialetto dei pastori sardi Salude e trigu”.
“Io non so fare discorsi, mi contenterò di ringraziare l’Accademia Svedese. Lo stesso vale per l’altissimo onore che, nel mio modesto nome, ha concesso all’Italia e di ripetere l’augurio che i vecchi pastori di Sardegna rivolgevano ai loro amici e parenti: Salute!…
Salute al re di Svezia, salute al re d’Italia, salute a voi tutti signore e signori! Viva la Svezia. Viva l’Italia”.
Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, (Nuoro, 28 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936) nata da Giovanni Antonio Deledda e Francesca Cambosu, una famiglia di piccoli possidenti “tra il patriarcale e il selvaggio, che non appartiene né alla borghesia né al popolo né alla nobiltà2”…una “casta a sé” …’’La famiglia di Grazia ha le caratteristiche di una borghesia paesana’’ come recita una recensione di Luigi Capuana ad un romanzo di Deledda edito nel 1896.. Dopo le scuole elementari continua la sua istruzione di latino, francese e italiano, seguita da un precettore poi come autodidatta. La lettura è per lei un nutrimento, il fascino dei libri invadono il suo animo e si appassiona alla scrittura. La sua famiglia come ammise lei stessa le proibiva però di farlo “Poiché il mio avvenire doveva essere ben altro di quello che io sognavo: doveva essere cioè un avvenire casalingo, di lavoro esclusivamente domestico, di nuda realtà, di numerosa figliolanza”. Non si diede per vinta, Grazia Deledda, ostinatamente mai si sarebbe piegata alla barbarie di una società patriarcale, proseguendo nel suo intento letterario all’età di 13 anni inviava i suoi racconti a giornali e riviste italiane, sollecitata anche dall’amicizia con lo scrittore sassarese Enrico Costa e il calabrese Giovanni De Nava che per primi ne compresero il talento della giovanissima scrittrice. Furono scambi epistolari anche amorosi in un periodo di complicazioni familiari ed economiche per la morte del padre nel 1891 e della sorella, per l’arresto del fratello più giovane Andrea e i problemi di alcolismo del maggiore, Santus. Periodo (1888 – 1891) però fecondo di pubblicazioni e collaborazioni con la rivista “L’ultima moda” per i racconti (Sangue sardo e Remigia Helder), pubblicati dall’editore Edoardo Perino. Nel 1890 appena diciannovenne Grazia Deledda scrisse per il quotidiano di Cagliari L’avvenire della Sardegna, con lo pseudonimo Ilia de Saint Ismail, il romanzo a puntate Stella d’Oriente, e a Milano, presso l’editore Trevisini, Nell’azzurro, un libro di novelle per l’infanzia.
Tenacia e orgoglio aiutano la scrittrice, indomita e straordinaria donna a tessere il proprio destino nel vincere pregiudizi e non abbassare la testa mai ad una società maschilista e oppressiva. Ottiene apprezzamenti dal pubblico dalla critica ed anche da noti scrittori come Luigi Capuana che riconobbe nella giovanissima la grande volontà di perseguire i propri intenti, i propri desideri vissuti appassionatamente, descritti con grade enfasi nelle straordinarie pagine dei suoi romanzi che continuano a travolgere i lettori di ogni epoca.
La potenza della scrittura, sottolineata dalla motivazione del Nobel, continuerà per tutta la vita: “Io racconto di uomini e di donne” diceva Grazia Deledda, narrando realisticamente le verità più nascoste dell’essere umano.
Permeata da principi di libertà, Grazia Deledda improntò la sua vita, contro pregiudizi e imposizioni sociali, cui si oppose considerandoli ‘’invalidanti’’ per una donna. “…fuori da quei monti che mi chiudono l’orizzonte…” come scrisse in un copioso epistolario, Deledda evase dai confini vessatori di Nuoro e della Sardegna per “un irresistibile miraggio del mondo e soprattutto di Roma” pur restando radicata alla sua terra attraverso le narrazioni del mondo sardo, della fragilità umana dei suoi paesaggi senza tempo.
Nel 1899 dopo essere stata ospite a Cagliari dalla direttrice di una rivista con cui collaborava si aprirono gli orizzonti della Città eterna, dove si trasferì un anno dopo con Palmiro Madesani conosciuto in quella occasione e divenutone il marito. A Roma la scrittrice trascorse la sua vita tra emozioni familiari e letterarie incrociando influssi veristi e dannunziani.
Alla letterata Poste Italiane ha nel 2021, dedicato un francobollo celebrativo dei 150 anni dalla nascita. Un anniversario e una leggenda, Grazia Deledda figura rivoluzionaria per l’epoca in cui ha vissuto. Una donna che ha saputo affrancarsi dai preconcetti e dai vincoli sociali attraverso il piacere della lettura. I grandi classici come Omero, Manzoni, Shakespeare, Balzac e soprattutto i narratori russi Tolstoj e Dostoevskij formeranno la sua base culturale da cui trarre la forza e il coraggio delle idee. Una ribellione interiore che ha accompagnato l’interpretazione della sua vita e la narrazione di tradizioni ‘’dando la parola all’anima dei suoi abitanti’. Il francobollo commemorativo di Grazia Deledda stampato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. che ritrae la scrittrice riportando la riproduzione della sua firma autografa, ha una tiratura di trecentomila esemplari in fogli da quarantacinque.
Nel bollettino diffuso da Poste Italiane e firmato da Rossana Dedola, scrittrice e docente dell’Istituto C.G. Jung International School Psychology di Zurigo, e da Edoardo Alberto Madesani Deledda, pronipote della scrittrice, è citato il sonoro dell’unico discorso registrato di Grazia Deledda. Lo stesso pronunciato nel 1927 al cospetto dell’Accademia Reale di Svezia durante il conferimento del Nobel.
Nella autenticità della propria autorevolezza di donna determinata e corretta sostenitrice di principi di equità e giustizia, non perdonò il sarcasmo di Pirandello nel ridicolizzare il proprio ménage familiare. Il matrimonio Madisani Deledda era duraturo e corroborato da interessi comuni tanto da indurre Palmiro Madisani a lasciare il suo lavoro di funzionario dello Stato per intraprendere l’attività di agente letterario della moglie. Anche in questo Grazia Deledda aveva anticipato i tempi. Luigi Pirandello, diversamente dalla Deledda sempre trionfante in Italia e all’estero, era ormai un po’ fuori scena dopo il successo del Fu Mattia Pascal e sortiva una forma d’invidia per la scrittrice che per di più era stata insignita dal Nobel per la Letteratura. Sui rapporti tra i due scrittori sempre più freddi, pesavano anche le diverse idee politiche, la Deledda era profondamente antifascista. Una serie di componenti che avrebbero portato Grazia Deledda ad opporsi al Nobel per Pirandello.
Donna volitiva e niente affatto modesta, virtù che avrebbe cozzato con l’indomito carattere coraggioso e ostinato. Grazia Deledda si racconta in ‘Cosima’ il romanzo rimasto incompiuto per il sopravvenire della sua morte nel 1936 per un tumore al seno… Pagine dedicate alla sua infanzia alla famiglia, alla sua terra, alla sua vita, dove i ricordi si rincorrono lucidi e appassionati. La scrittrice sovvertì usi e tradizioni con razionalità, smise il fazzoletto in testa indossato dalle sue contemporanee di fine ottocento ma in segno di fedeltà alla sua terra anche se dura e amara, non abbandonò mai il rituale dell’ospitalità sarda, nella sua casa romana prima nei pressi di Monte Sacro e poi di via Imperia, dove si dedicava anche ai servizi affiancando la domestica. Nel suo percorso di emancipazione seguì sempre il processo di riflessione nella rivalutazione del passato inteso come esperienza da cui trarre gli strumenti di approccio al futuro nel contrasto ai pregiudizi. Grazia Deledda, esempio di modernità e di indipendenza che ha saputo mettere in scena sé stessa in modo autentico, infrangendo non senza sofferenze i duri schemi dell’epoca. Universale modello di coraggio e riscatto intellettuale più che mai attuale. @riproduzione riservata
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