In letteratura, nel romanzo in particolare, non esiste la storia. Esistono i fatti. Ciò che definiamo tessuto storico, complesso storico, impianto storico, attraversamento della storia creano e sono il sostrato di una finzione. Lucia dei “Promessi sposi” di Manzoni e Angelica del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, due temperie completamente diverse, non sono storia. Creano lo sfinimento letterario ed estetico sul quale si contestualizza un fatto.
L’apparenza è nel fatto o è il fatto. Ovvero la fenomenologia si compie nella estetica. La letteratura quando non riesce a vivere l’apparenza pensa di aggrapparsi alla storia. Ma non si aggrappa alla storicità degli eventi. Si regge sui fatti – fenomeni e sul destino che i personaggi mettono in scena. Una deduzione conseguenziale: il romanzo storico non ha una “giustificazione” estetica. Potrebbe averla sul piano empirico. Ma se tale diventa non è più immaginario. L’immaginario è altro dall’immaginazione. Diventa speculare il dato che il fatto abbia trasformato la storia in un evento in cui è l’avventura ad avere senso.
In ciò che si definiva romanzo storico è l’epistemologia che campeggia altrimenti sarebbe (stato) quel tutto calato in un uno. L’estetica dello spirito non ha nulla a che fare con l’estetica crociana. Il crocianrsimo è fallimento. Un fallimento che è diventato macerie dei linguaggi e rovina della forma. Da Hegel in poi è mutato il transito dei generi sino a Maria Zambrano che intuisce la confessione come genere letterario. Tra Hegel e Zambrano c’è un mondo di attraversamenti in cui la letteratura non può fare a meno della filosofia. Perché? Perché l’idea della letteratura diventa pensiero.
La letteratura senza il pensiero si riduce a rappresentare e non può cogliere la dimensione della ragione o del mistero in un centro epistemologico del pensare. Si focalizza qui l’intreccio tra il moderno che è presente e l’antico che è tradizione. Questi due emisferi hanno la necessità di incontrarsi proprio sul piano dell’apparenza, ovvero in termini fenomenologici si realizza una griglia di modi esistenziali.
Allora, perché Lucia e Angelica? Subito annotato. Focalizzato nella interpretazione puramente critica dei “Promessi sposi” e del “Gattapordo”. Non bisogna neppure considerarli come romanzi della formazione. Dell’estetica certamente. La storia insiste chiaramente. Ma ciò non significa adottare tali romanzi come storici. Si tratta di un falso bugiardo affidato alla critica. Ma la critica ha ancora voce? La critica letteraria è il declino della creatività tranne se non si fa “critica dello sguardo” e non delle anali e interpretazioni. Il romanzo ha l’unicità del creato – creativo – creatività. Espressioni di una confessione tra arte – estetica – fenomenologica dell’esistenza.
L’arte è un fenomeno. La storia è la consapevolezza della cronaca che si trasforma in durata nell’immaginario. L’arte è un concepire uno spazio spirituale. La storia è un tentativo di trasformare una rappresentazione in reale. L’arte è liberatrice. La storia è tentativo di conservazione. L’arte è estetica nel cuore della civiltà. La storia è un raccontare le civiltà con la supponenza della verità. La coscienza non è trascrivibile in storia. In mistero ed esistenza sì. L’arte è un gioco inevitabile tra soggetto ed oggetto. La storia è un esternare. Il viaggio tra queste due eterogeneità di senso è dato dalla intuizione nell’arte e dal bisogno di conoscere la cronaca nella storia. In mezzo si trova il sapere dell’anima che è una fenomenologia dello spirito che vibra le corde dell’estetica del linguaggio poetico. Un altro livello ancora è nel vocabolario della appropriazione e della estraneazione.
La fenomenologia è appropriazione. Come nel “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche. Il quale legge in Hegel la voce della coscienza pensante. Lucia e Agelica sono la ragione della coscienza pensante delle epoche. Ovvero una antropologia tra l’umanesimo, lo spirituale e la temporalità. L’uomo mortale deve riconoscersi per conoscersi perché nella estraneità dei tempi deve trovare l’interiorità del tempo.
Manzoni e Tomasi di Lampedusa vivono in questo interno con i loro personaggi che sono, non diventano, destino. Raggiungono la loro coscienza sul limitare della teoreticità etica. La quale è sostanza ontologica da una parte e ragione dell’essere – esistente dall’altra. In fondo l’essenza formale è universalità nell’estetica e non nella storia. Entrambi i viaggi conducono alla esperienza. Ovvero alla coscienza e all’auto coscienza. Si tratta di entrare nella stanza di un umanesimo integrale grazie ad un passaggio nel sottosuolo che rimanda dalla eticità naturale alla eticità spirituale. L’umanesimo integrale è l’orizzonte tra la morte, la vita e il tempo il cui cavaliere – personaggio è nella metafora dell’aquila della padronanza. O meglio un rifugio e uno spazio tra la civitta e la talpa. Ebbene tutto si regge non sui fatti e tanto meno sulla e nella storia. Bensì su Lucia volontà di potenza e Angelica potenza della volontà. Metafore che dal sapere dellanima giungono all’anima come metafora dell’uno in tutto.