La fenomenologia dell’arte è un impatto con ciò che appare. L’arte come modello estetico e come espressione artistica in una visione in cui il dato è un fatto e il fatto può essere considerato, appunto, un fenomeno. L’arte è il racconto fondamentale di una spiritualità che celebra il senso della memoria nella memoria del passato. Il passato è dentro la fenomenologia. L’arte è l’estetica del fenomeno.
L’idea dell’arte come utopia. Un pensiero che ha dominato tutta la ricerca e lo scavo tra le arti di Jole De Sanna. Tra l’accademia e la militanza ha sempre sostenuto che: “L’idea di opera d’arte che noi possediamo è di un’opera che non distingua tra pittura, scultura e architettura ma che ha la qualità e la potestà di attestarsi attraverso i generi artistici e letterari come tale, opera d’arte. L’opera d’arte come tale è la conquista del periodo, ed intendo tutto il periodo moderno a cominciare dalla seconda metà del Settecento”.
Una “risistemazione” dell’idea dell’arte come pensiero totale in un processo in cui l’estetica è nella creatività e la creatività vive di fantasia e di lavoro. Il mestiere di vivere, pavesianamente, è nel lavoro totale dell’essere creativivo.
Con la sua visione dell’arte indissolubile tra la memoria della storia e il tempo che intreccia i destini delle civiltà. Jole De Sanna (1947 – 2004) ha saputo sempre coniugare l’archeologico, che vive dentro la nostra anima di confessori della pazienza e del genere letterario e artistico, con il moderno che interagisce con il contemporaneo.
Studiosa delle Avanguardie, sapeva molto bene che la rivoluzione dei linguaggi artistici passa inevitabilmente attraverso le rivoluzioni delle coscienze e i conformismi come non appartengono all’artista e all’arte non possono appartenere all’uomo come persona, come esistenza, come modello culturale.
Conoscitrice profonda di Lucio Fontana, di Medardo Rosso, di Giorgio De Chirico, di Carlo Belli ha sempre intrecciato il suo essere docente con la fantasia di esercitare il fascino dell’artista.
Jole De Sanna. Una docente senza il libro di testo perché l’arte era nel suo misterioso incontrare la fantasia con il mistero.
È stata mia amica, oltre che consulente negli anni in cui la cultura a Taranto ha avuto un progetto, ovvero tra il 1995 e 1999. Con lei, io Assessore alla Cultura della Provincia di Taranto e Vice Presidente, abbiamo ideato una mostra di una unicità estrema: quella dedicata a De Chirico e il Mediterraneo. Un percorso in cui la Magna Grecia e il Mediterraneo si sono incontrati con l’estremo modello metafisico.
Una metafisica del Mediterraneo ben definita nella filosofia degli spazi. Le piazze, le assenze, le solitudini di De Chirico non erano altro che le nostre attese. Bene, diceva Jole, ricordo benissimo, è vivere la metafisica del colore come se si vivesse la metamorfosi dell’anima. E l’arte non era soltanto ricerca ma estetica del gesto, dello sguardo, dell’attrazione. Nel 1998 con Jole abbiamo costruito il Mediterraneo metafisico sotto la guida silenziosa e mai menzionata di una filosofa a noi molto cara Maria Zambrano. Il Mediterraneo non è solo “destino”.
Nell’arte, chiosata nella ricerca di Jole, è provvidenza ed essendo considerata tale diventa profezia. L’arte come filosofia non della dialettica o della parola ma della religiosità del silenzio nell’accoglienza dell’osservare e del toccare.
Con lei abbiamo inventato il progetto sulla Pinacoteca e lei, da studiosa ma soprattutto con la sua capacità critica di non sottovalutare nulla e di non essere uguale a nessuno, ha tracciato un filo nella cultura della istituzione di una Pinacoteca che doveva rappresentare un valore nella coscienza delle arti. Era questo l’obiettivo.
Da Milano, dove insegnava all’Accademia di Brera, a Taranto il viaggio sembrava lungo ma nel giro di poche ore ci si incontrava, si parlava, si progettava e si concludeva. Il nostro dire e il nostro essere portavano un nome, dare una voce a quell’utopia delle culture che inevitabilmente passava attraverso le arti. E se la mostra su De Chirico è stata un raccordare arte antica con quella moderna l’istituzione progettuale della Pinacoteca era un voler lasciare un segno tangibile all’interno di un territorio che è ormai completamente sradicato sia culturalmente che saggiamente proprio dal punto di vista progettuale.
Lei studiosa di Luciano Baldessari, di Gino Pollini, di Fausto Melotti non poteva che portare dentro di sé e dentro il suo non testo scolastico un nome come Carlo Belli. Il razionalismo architettonico è stato per Jole De Sanna un vero e proprio esistenzialismo che ha trovato nelle avanguardie storiche un desiderio di incontro tra Futurismo costruttivismo (Russo) e secondo Cubismo.
Appunto attraverso l’idea dell’opera totale che si è potuto realizzare quel pensiero coinvolgente che trovava nell’estetica dell’astrattismo il segno tangibile di un Carlo Belli che coinvolgeva il luogo dell’opera d’arte e l’opera d’arte come atmosfera della dispersione della contemporaneità.
La multiformità dei metodi, importante resta il suo saggio: «Forma. Le idee degli artisti 1943-1997», attraversati nella ricerca di Jole de Sanno sono da considerarsi non solo un atto formativo ma una archeologia dell’essere in quella archeologia del sapere che può avere anche una sua funzione ma si legittima nel non relativismo che ci porta ad un costante rinnovamento. Ecco perché le avanguardie non sono riferimento di una rivoluzione culturale ma costituiscono una vera e propria rivoluzione in cui la bellezza non può essere una evoluzione ma una direzione profondamente estetica.
Lea Vergine ebbe a scrivere, in un inciso molto bello, su “il Manifesto” del 28 luglio 2004: “Storica dell’arte, inappuntabile per onestà e precisione, appassionata degli scritti degli artisti (si pensi alla sua lettura di Medardo Rosso o a quella di Lucio Fontana, libri entrambi usciti nel 1985 e nel 1993 per Mursia editore) debuttò, giovanissima, lesta come una gazzella e soavemente sexy per la chioma color ruggine, con la mostra Apatico (Museo di Verbania a Pallanza) nel 1976. Mostra e libro costituirono, e ancora costituiscono, una vera e propria summa nel senso della scultura interpretata da Fabro, Nagasawa, Trotta, Staccioli e Tonello; quel che ne fece un unicum fu che seppe mescolare sapidamente testi e citazioni che contrapponevano e mescolavano le affermazioni dei contemporanei con quelle di Gian Lorenzo Bernini, Canova, Medardo Rosso, Gemito, Melotti, Fontana, Paolini, Melani e un incredibile Brancusi”.
Ecco perché il De Chirico metafisico dei soli bruciati negli orizzonti è la cornice di una grecità che è stata sempre una appartenenza e in questo senso per dirla con Belli in Jole De Sanna viveva costantemente la rivoluzione della classicità. Oltre il sistema delle tradizioni per Jole sono le avanguardie a segnare le storie delle civiltà e queste storie sono dentro i processi della pura follia artistica.
Quella follia che è stata segnata nell’indefinibile di una filosofia del tragico: da Schopenhauer a Nietzsche. Due filosofi con i quali l’arte totale nel pensiero di Jole si è sempre confrontata. Ecco perché in Belli ha interpretato non soltanto l’Astrattismo di un “Kn” ben definito negli anni Trenta del secolo 1900 ma è andata lungo le vie del post – Astrattismo tanto da sottolineare, parlando di Carlo Belli, che “il futuro è ormai da misurare sulle relazione dello spazio con se stesso e del tempo con lo spazio”.
Una direzione che definisce la visione dell’arte in un passaggio fondamentale: “… la direzione totale allargata, perfino atmosferica, del luogo dell’opera d’arte” occupa ormai il non luogo stesso perché il tempo è vissuto come totale spazio. Jole De Sanna ha vissuto nella trincea della grandiosità dell’arte che intreccia il dato creativo con la metafisica del pensiero. Ecco perché quel Mediterraneo dechirichiano è sempre dentro una ancestrale metafisica vivendo sostanzialmente di una ragione poetica zambraniana.
L’atto creativo non ha la sua utopia. La metafisica ha la sua utopia. Ma c’è l’anima del mistero artistico che rompe ogni indugio e Jole con il suo graffiare il sogno nell’arte ha dato un senso alla vita nello spazio dell’artista. La sua lezione ha tracciati indelebili.
Lo stesso stato fenomenologico è un atto del pensare come sistema non sistemazione o sistematizzazione dello spirito. L’arte è una estetica della apparenza. Porta dentro la forma e linguaggio lo spirito. Una metafisica dentro la fenomenologia. Gli studi di Jole de Sanna entrano chiaramente in una visione in cui il senso dell’estetica è una apparenza del sublime che trova nel concetto di fenomeno l’esperienza più sensibile.