Un mito. Cosa sono i miti? Lei è un mito. DuventaDuventaDiventa vimevime come gli Dei un archetipo lungo il viaggio degli anni nel tempo. Marilyn Monroe. A sessant’anni dalla sua morte. È morta il 4 agosto del 1962. Io avevo appena sette anni.
Los Angeles. È il mese di agosto. Una città tra le più importanti in una California immensa che ha connotati italo – spagnoli. Luoghi molto catalani. E la sua storia racconta simboli di una lingua che ha la Spagna nel cuore. La prima cosa che mi chiedono, prima di entrare nel mio albergo, è se desidero visitare i luoghi del mito di Marilyn. Sono un po’ distratto. Sapevo di entrare nella città del mito ma non pensavo che la mia interprete avesse questa velocità.
Giungo a Los Angeles quasi frastornato. Cambiamenti di orari, turbolenze lungo la rotta, confuso e con gli orecchi che sembrano aver subito un tuffo nell’Oceano. Dico subito: “Certo, sono qui proprio per lei ma ho bisogno di cambiarmi d’abito. Marilyn non avrebbe gradito un ospite vestito senza eleganza. Datemi il tempo di indossare il mio vestito di lino bianco con la camicia verde e poi si parte e a domani pensiamo domani …”. Così siamo tutti contenti.
Qui è nata e morta Marilyn Monroe. Era nata il 1 giugno del 1926. Era un anno più grande di mia madre. Un mito nell’attraversamento delle notti immaginate alla ricerca di un sogno. E Marilyn è stato un sogno. Nel velo della sua gonna bianca alzata dal vento in eros tutto tuffato in una seduzione capricciosa. Amava e moriva nel caldo torrido di una città che ha finestre aperte sui mediterranei. Ma sì.
Los Angeles non poteva che essere la città di Marilyn. La bionda mediterranea che si è fatta seppellire con la parrucca bionda che portava nel film Gli spostati e vestita con un abitino verde. Il biondo e il verde. Il sole e il mare. Avevo sette anni quando morì Marilyn Monroe.
Eppure ho un ricordo molto lieve. Me la ricordo nelle foto in bianco e nero dei settimanali che non mancavano mai in casa mia. Le prime pagine “sparate” con le immagini che riportano scene dei suoi film. La bellezza che si faceva seduzione. Sì, perché può esserci anche una bellezza che ha la sua sobrietà da statua. Ma Marilyn portava una bellezza sconvolgente. Marilyn era l’attrazione.
Sono trascorse stagioni e gli anni hanno consumato persino le rughe ma il fascino dei ricordi dentro il mistero restano a solcare ancora una leggenda. Meglio così. Era una estate di tanti anni fa e c’era un forte caldo. Allora come ora. La bella dai capelli biondi e dagli occhi penetranti. Il vento tra i suoi capelli e capelli come radici intrecciate nella terra. Chiedeva amore ma l’amore era un incubo. Un sogno vissuto sotto la luna. Una luna sul mare e le vele lontane in un viaggio senza attese.
Forse Marilyn non ha mai atteso. L’attesa non era dentro la sua vita. È morta nel sonno degli Dei con la nudità dei silenzi. Già, è stata trovata completamente nuda. Ma la fisicità era uno stile. La sua eleganza negli sguardi tremanti.
Diceva spesso: “Sapevo di appartenere al pubblico e al mondo non perchè avessi bellezza o talento, ma perché non ero mai appartenuta a nessuno”.La sua morte resta ancora un mistero? Forse sì o forse no. Ma Marilyn rincorre giovinezza sui prati verdi e tra le stanze della sua villa. Quanti amori e alla fine uno strazio senza più amore. Si raccontano storie e le storie diventano finzioni o illusioni. Il passo è breve. Tra la finzione e l’illusione c’è il sogno: il solo che smette di essere vero. Ma Marilyn è morta. Suicidio? Omicidio? Cosa ha deturpato la sua bellezza?
C’è chi dice che è stato un assassinio con tutte le regole commesso da Cosa Nostra. Ad ucciderla pare che sia stata una supposta contenente un potente narcotico. Il sonno degli dei che corre tra le vene e il sangue è un fiume che crede nell’impossibile.
Marilyn dormiva nuda. E così che l’hanno trovata. Con gli occhi nella morte e la morte nel cuore. In quell’agosto torrido del 1962. Tra il quattro e il cinque di agosto. Pare che a scoprire il suo corpo inerte sia stata la sua governante.
E poi il medico. La porta era chiusa a chiave. E la chiave? C’è sempre un problema di chiave. Il medico al suo arrivo non fece altro che constatare l’avvenuta morte. Ci fu l’autopsia. Anche questa un mistero. Come tutte le cose di questo mondo quando non si riesce a trovare la chiave, quella giusta, si parla di mistero. Ebbene si. Non guasta questo mistero nella morte di una donna che in vita è stata sempre un mistero. Lasciamola nel suo mistero. Perchè svelarlo?
Era bella in quella allegria che si faceva inquietudine in cui la passione giocava con i giorni e il suo corpo un alito nel tempo che non invecchia. Marilyn non è invecchiata.
Gli incontri, i viaggi, le vacanze dalla parola, i riposi vengono rivissuti con un pathos inarrestabile che è humus del linguaggio. E restano i ricordi – sensazioni che guidono le nostre distrazioni, le nostre smemoratezze. E poi non ricordiamo più perché tutto diventa una sensazione come la musica.
È possibile vedere la musica? Sentiamo e ascoltiamo la musica vivendola, rivivendola e così il tempo che non c’è più noi lo percepiamo nell’alito di quelle alchimie che sono parte integranti della nostra memoria – sogno. Fuori dalla storia perché, in fondo, il tempo non sa che farsene della storia.
La figura di Marilyn diventa la metafora di una giovinezza, di generazioni che hanno sognato con lei il tempo intramontabile e, appunto, gli amori impossibili. La metafora che coniuga l’impareggiabile transito nelle stagioni del tempo con il desiderio di essere catturati e catturare quel destino di continuare ad amare il volto, gli occhi, il corpo di donne per le quali ci siamo sentiti leggeri nelle brughiere o nelle acque tagliate dalle gondole con gondolieri che non si abbandonano alle tristezze ma si lasciano rapire dalle ironie. Questi amori ci lasciano la quieta e la tempesta ed ecco perché continuano ad insistere nella nostra vita – letteratura.
È vero: chi muore giovane il tempo non lo raccoglie. E resta nella sua giovinezza a cantare l’amore e l’inquietudine, l’angoscia e la tristezza, la disperazione e il bisogno di credere ai sogni infiniti e di viverli nella fantasia che chiede sogni e colori.
Il bianco e il rosso erano i suoi colori tanto che sulla sua tomba a Westwood Village Memorial Park Cementery si sono alternati per anni, e forse ancora oggi, fasci di rose rosse e poi rose bianche.
E quel suo sorriso. Marilyn è la giovinezza che resta nel tempo che invecchia e ci invecchia. Ma il suo sorriso sulla sua bocca aveva la carezza della luna. Chi troppo ama troppo perde e i suoi sconvolgimenti si intrecciavano in un tempo che non conosceva quotidiano.
I suoi amori erano le inquietudini. I Kennedy. I fratelli. Tanto si è parlato. Forse adesso fanno girotondo e Marilyn li ha presi per mano per un inarrestabile giro giro girotondo. E con loro c’è pure quel Miller, lo scrittore, il drammaturgo che sposo Marilyn nel 1956. E danzano sulla sabbia della luna. Finalmente stanno insieme. Si sono ritrovati per non perdersi più.
Quanti mariti. Almeno tre. Il primo nel 1942. Marilyn aveva soltanto sedici anni. E poi nel 1954 il secondo marito. Era un campione di baseball: Joe Di Maggio. E poi Arthur. Quel Miller già famoso scrittore che tentò di inserire Marilyn nel mondo della cultura ma non ci riuscì. Era fatta di un’altra pasta. Si abbandonava ai sogni, alle fantasie e poi ai sonniferi.
La madre era pazza tanto che al primo matrimonio di Marilyn non le fu concesso di assistere alla cerimonia. Non si seppe mai il nome del padre. La sua paura era quella di fare la fine della signora Gladys Pearl Monroe, cioè la madre di Marilyn.
E poi i suoi desideri si trasformarono in angosce, in inquietudini, in tragedia. C’era sempre una grande inquietudine che covava nel cuore di Marilyn. Una allegria fatta di inquietudine. Come in fondo erano i suoi films. Così anche il suo ultimo film :Gli spostati” risalente al 1961, che la vede insieme a Clarke Gable, a Montgomery Clift, a Thelma Ritter. Un film in bianco e nero. Come era stato quello del 1952 dal titolo “La tua bocca brucia”. Marilyn cominciò la sua carriera posando per un calendario. Le sue foto più belle. La sua giovinezza senza segni. Il segno di un destino. Un viaggio bruciato sull’onda di una grande notorietà. Ma per Marilyn la vita fu passione? O suoi amori furono vera vita?
Mi sono chiesto, spesse volte, se Marilyn non fosse morta come è morta, che cosa sarebbe stato di lei? Sarebbe invecchiata e sul suo viso le tracce del tempo e sulle mani le rughe abbrunate che contano gli anni. Ma così non è stato. E continua a vivere. Con la sua allegria, con la sua calda giovinezza e con gli occhi che guardano il mare.
Con gli occhi belli e disperati che chiedono amore e sono luci in una storia che è divenuta un enigma. Ma senza il mistero, Marilyn sarebbe ancora un mito? Perché continuo a domandami ciò. Perché insisto?
Io sono a Los Angeles per fare altro e non solo per visitare l’America del sogno di Marilyn. Eppure ho negli occhi sempre il suo viso e tra le parole trovo costantemente quelle della mia interprete di origini madrilene: “Qui anche la letteratura porta il nome del mito di Marilyn. Come farà a parlare di letteratura del Mediterraneo senza citare la famosa frase di Marilyn: ‘Perchè non porto biancheria intima? Mi danno così fastidio tutte quelle piegoline’. Lei è uno scrittore e conosce bene le parole ma lei ama la bellezza e i profumi e Marilyn, inconsapevolmente, è anche il suo vocabolario. Le ricordo un altro episodio. Lei in un suo libro cita un profumo. Conoscerà certamente il profumo di Marilyn perché un suo personaggio usa lo stesso profumo di Marilyn, ovvero Chanel n. 5. Marilyn sosteneva che per andare a letto indossa soltanto una goccia di Chanel n. 5. Coincidenze?”
Poi mi guardò e riprese: “Ma so anche che lei non crede alle coincidenze. Non dirò più nulla”. Mi affascina e mi intimidisce sapere che domani dovrò parlare della bellezza nella letteratura nella città di Marilyn. Ho recuperato alcune riflessioni che avevo annotato tra i miei appunti che parlano della bellezza e sapevo, comunque, che giungendo a Los Angeles non mi sarei potuto sottrarre all’alchimia di Marilyn. Trovi foglietti piegati: “Ho sognato la bellezza per lo più a occhi aperti. Ho sognato di diventare tanto bella da far voltare le persone che mi vedevano passare”.
E ancora: “Non voglio essere ricca, voglio essere bellissima”. Ecco perché non smise mai di dire che alla sua morte non doveva mancare il trucco sul suo viso. Aveva timore di invecchiare e di invecchiare cedendo al tempo la sua bellezza.
“Solo gli amori impossibili sono per sempre” scrisse a mo’ di dedica Nantas Salvalaggio al suo libro su Marilyn. Proprio vero. Sottoscrivo, qui da Los Angeles, questa stupenda dedica di uno dei miei pochi amici scrittori al quale ho voluto molto bene.
Resterò a Los Angeles qualche altro giorno per conferenze con gli italiani che vivono qui e per gli americani che hanno desiderio di capire la cultura italiana. Qui è nato un mito avvolto tra la bellezza e la morte. Non riesco a ricordare in quale mio romanzo ho citato il profumo di Marilyn. Forse in “Quando fioriscono i rovi”. Già, in quel romanzo in cui la bellezza conosce solo il profumo della giovinezza. Il profumo delle rose rosse e delle rose bianche.
C’è una frase del film :A qualcuno piace caldo” del 1959 con Marilyn, Tony Curtis e Jack Lemmon per la regia di Billy Wilder che mi scava nella mente con una impressionante audacia. In un dialogo Zucchero (Marilyn) chiede a Josephine (Tony Curtis): “Aspetta da molto?” e Josephine risponde: “Non importa quanto si aspetta, ma chi si aspetta”.
Malinconie che ci rapiscono ma che ci fanno fare i conti con noi stessi. E gli amori vissuti e abbandonati, alla fine, ci impongono di fare i conti. Sempre con il tempo. Irraggiungibile come le meteore nelle quali viviamo da giovani. Per uno scrittore diventa sempre più difficile ritrovarsi in questi conti, perché fare i conti, attraverso il racconto e le parole che spingono alla confessione, significa creare uno spazio in quel tempo di ieri e nel tempo della scrittura stessa. Ovvero tra il tempo nel quale si sono vissute le avventure di un esistere e il tempo nel quali ci si trova con le emozioni che dettano, in una indefinibile nostalgia, percorsi di esistenza vissuta.
Non finisce qui il mio viaggio tra le immensità di Los Angeles. Ma resta una città, una grande città. Andare nel tempo dei filamenti sfilacciati è, comunque, restare lungo il fiume della salvezza della memoria. E la letteratura, nella profezia dei solchi traccianti, ci salva perché restituisce brandelli di tempo nell’archetipo delle memorie. Los Angeles. Marilyn non è soltanto, comunque, un mito. Dopo questo mio lungo racconto posso affermarlo. È emozione. È una giovinezza perduta in un tempo che non tornerà più. Resta tra i miei capelli una goccia di Chanel rigorosamente n. 5. Gli anni sono lunghi e restano in un tempo corto, ma Marilyn è nel profumo di un sogno che non si cancella.
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