Roma, 6 ottobre 2022 – Quando la scrittura tocca la storia della propria vita per uno scrittore scrittrice il senso del tempo si trasforma in un tempo di senso.
Un Nobel dato per meriti vissuti sul campo delle letteratura. Ottimo riconoscimento per Annie Ernaux. Una vera e singolare scrittrice che ha sempre abitato la scrittura con una pennellata tra l’autobiografia, anche se lei non ha mai amato questo termine, e il linguaggio scavato nell’esistenza.
Dalla Sagan alla Duras sino a toccare il davanzale dalla Yourcenar alla Cardinal. Un viaggio nei linguaggi della scrittura dove il narrare non è mai soltanto narrativa, e la prosa è sempre oltre il pensiero incardinato nel meditare. L’antropologia della lingua è la grammatica del frammentare il parlare con lo scrivere o lo scrivere si intaglia appunto nella scrittura.
Da “Passione semplice”, il mio libro fondamentale per un marcare sensualità e serenità dentro l’amore che vive di passione ed eros contemplante, a “Diario della periferia” dove la periferia parigina è un incentrare il cuore del reale nel filo delle immagini che si realizzano in un immaginario tra l’onirico e il materico.
Una scrittrice che abbandona il quotidiano e la cronaca pur vivendo il tutto si trova a raccontare la storia de “L’altra figlia” lungo il cammino di romanzi come “Gli armadi vuoti” e “Il posto” sino a “Gli anni” che stabiliscono il senso del vuoto e del pieno negli spazi e nel tempo. Una scrittrice impegnata. Il suo impegno però riguarda la sua storia, il suo contesto e le sue eredità.
Ne “Il posto” l’incipit ha una forza emozionale emblematica: “È una foto color seppia, ovale, incollata sul cartone ingiallito di un libretto, mostra un neonato di tre quarti seduto in equilibrio su cuscini decorati, sovrapposti. Ha indosso un camicino ricamato, chiuso da una sola asola a cordoncino, ampio, con un fiocco fissato poco dietro la spalla, come un grosso fiore o le ali di una farfalla gigante. Un bebè magrolino, lungo lungo, con le gambe aperte, tese, che arrivano a toccare il piano del tavolo. Arrotolato sulla fronte bombata ha un boccolo di capelli scuri, sgrana gli occhi con un’intensità quasi divorante. Sembra agitare le braccia, spalancate come quelle di un bambolotto”.
Un intreccio tra sensazioni ed emozione in una letteratura della percezione. Un percorrere sul quale continuerò a riflettere con le sue opere.
Ne “Gli anni” vorrei sottolineare: “Tutto si cancellerà in un secondo. Il dizionario costruito termine dopo termine dalla culla all’ultimo giaciglio si estinguerà. Sarà il silenzio, e nessuna parola per dirlo. Dalla bocca aperta non uscirà nulla. Né io né me. La lingua continuerà a mettere il mondo in parole. Nelle conversazioni attorno a una tavolata in festa saremo soltanto un nome, sempre più senza volto, finché scompariremo nella massa anonima di una generazione lontana”.
Forse nel cerchio proustiano non si lascia tra le parole ferite risolte. Ogni piega è una emozione “indurita” che si snoda tra lo sguardo e le esperienze di una esistenza. Gli anni sono i suoi anni, ovvero il suo tempo con tutti i vissuti che sono le cornice appunto di una esistenza.
Come in un inciso del libro “Gli anni”: “La distanza che separa il passato dal presente si misura forse dalla luce che scivola sui volti, proietta le ombre, disegna le pieghe di un vestito di una foto in bianco e nero; dalla sua chiarezza crepuscolare, qualsiasi sia l’ora in cui è stata scattata”.
Un profilo profondamente poetico si incide dentro il sentire le voci non solo di dentro ma anche oltre. Portare sulla pagina il pensiero lasciato sulla finestra affacciata sugli amori. Forse una metafora. Ma non tanto. Annie Ernaux, sulla quale ritornerò con un saggio più ampio, è nata il 1 settembre del 1940 a Llillebonne, in Francia sulla Senna Marittima. Una scrittrice tra la vita e il linguaggio, tra la parola e la scrittura.
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