Roma, 29 novembre 2022 . Macchina dei sogni o i sogni che entrano in un circuito amplificato in cui l’immaginario, passando attraverso la finzione, ha la menzogna rappresentata. Il cinema, dunque. Racconta storie e avventure. Il raccontare è un mito. Il mito si dipana proprio nella focalizzazione di un concetto chiave: mettere in scena la espressione. Ci sono state diverse stagioni in cui il cinema è stato ribalta nella scena. Da Pirandello a D’Annunzio. Il punto innovativo è da ritenersi, a mio avviso, negli anni trenta del Novecento. Una premessa.
Il cinematografo negli anni del Ventennio non è soltanto una forma di “propaganda”. Si sgombri questa idea se si vuole entrare in quei parametri critici che misurano il linguaggio, le forme, gli attori nei personaggi e la scena. Il film è una espressione di comunicazione in cui l’estetica è caratterizzante e formativa.
Dal cinema dei telefoni bianchi al cinema che lascia la completa interpretazione agli amori neri. Tra il cinema degli amori neri ci sono i percorsi del cinema sviluppatosi sulla Laguna, dove il cinema romano si era trasferito, tra il 1943 e il 1945. Luisa Ferida e Osvaldo Valenti sono stati due straordinari protagonisti.
Luisa Ferida e Osvaldo Valenti si erano incontrati sul set di “Un’avventura di Salvator Rosa” del 1939 per la regia di Alessandro Blasetti. Film nella storia del cinema degli anni che annunciano le innovazioni cinematografiche degli anni Quaranta. Farà scuola nella scenografia e nei campi lunghi e corti. Una ribalta importante. Lui aveva una importante esperienza nella recitazione. Lei pronta ad apprendere e a diventare una diva. Lui era Osvaldo Valenti. Lei Luisa Ferida. Una carriera consolidata. Una carriera da formare e consolidare. Ma Luisa con questo film è già una diva. Il cinema e la vita. Gli estremi tra la finzione e la realtà. Una tragica realtà che ha coinvolto anche la macchina da presa e alcuni protagonisti del grande schermo.
Una storia d’amore negli anni terribili tra il 1943 e il 1945. Luisa venne uccisa insieme ad Osvaldo Valenti, il suo amore, nella notte del 30 aprile 1945. Erano due attori molto famosi che avevano dato volto al cinema della fine degli anni Trenta sino al 1944. Protagonisti di film importanti e famosi che hanno cambiato anche la struttura del cinema degli anni precedenti, quello dei telefoni bianchi, e che hanno consolidato nella filmografia contemporanea il ruolo del personaggio come chiave per comprendere i vari campi usati nella cinematografia. C’è da dire che quando il copione non bastava più era l’attore, sotto la guida dei maestri della regia, che creava il personaggio. Un’esperienza fondamentale e fondante senza la quale non avremmo avuto i cosiddetti campi e spazi cinematografici. Un passaggio dalla malinconia dai telefoni bianchi al tragico degli amori neri. Un tratto saliente per comprendere il cinema neorealista.
Luisa Ferida, pseudonimo di Luisa Manfrini Farnet era nata a Castel San Pietro Terme il 18 marzo del 1914. Tra i suoi film più famosi vanno ricordati “Freccia d’oro” del 1935 con il quale inizia sostanzialmente il suo viaggio nel cinema, “Re burlone” sempre dello stesso anno, “Lo smemorato” del 1936 (il 1936 sarà un anno molto impegnativo dal punto di vista cinematografico, infatti usciranno diverse pellicole come “L’ambasciatore”, “Amazzoni bianche”), “I fratelli Castiglioni” del 1937,”I due barbieri” sempre del 1937, “Tutta la vita in una notte” del 1938. Altri film usciranno nel 1938.
Sono appuntamenti significativi che lasceranno un segno indelebile sia nella chiave interpretava del cinema moderno, per quel tempo, sia nella critica che si svilupperà sugli organi di informazione quotidiani che quelli specialistici. Le testate dei quotidiani svilupparono un intendo e articolato dibattito che portò a coinvolgere la cultura nella sua complessità. La letteratura, dopo Pirandello e D’Annunzio, entrerà nella scena imperante della macchina da presa.
La presenza di Luisa Ferida sulla scena cinematografica sarà costante. Al 1939 appartengono “Animali pazzi”, “Un’avventura di Salvator Rosa” per la regia di Alessandro Blasetti. Del 1940 è “Il segreto di Villa Paradiso”. Mentre al 1941 appartiene “Nozze di sangue” e “La corona di ferro”. Il 1942 è impegnata, tra gli altri film, con “La cena delle beffe”, “Fari nella nebbia”, “L’ultimo addio”, “La bella addormentata”, “Fedora”, “Gelosia”. L’anno successivo sarà protagonista in “Il figlio del corsaro rosso”, in “Grazia”, “Harlem” e “Tristi amori”. 1944 è l’anno de “La locandiera”, per la regia di Luigi Chiarini. Il 1945 lavora a “Fatto di cronaca”. Film che la vedranno accanto ad Osvaldo Valenti, come i precedenti, e costruiranno punti di riferimenti dal telefoni bianchi agli amori neri.
Film che, al di là del contesto storico, che restano nella bibliografia del cinema che rinnova e innova. Il tipo di recitazione è da teatro. Il film fa teatto. Come sino a tutto il periodo della fine degli anni Quaranta. Luisa, clara, Doris, Osvaldo, Gino, Amedeo, per citarne soltanto pochissimi, vanno oltre il contesto in cui operarono. “Avventura di Salvator Rosa” o “La cena delle beffe” o “La locandiera”, prima versione, sono “pezzi” d’arte realizzati con strumenti prima maniera che registi e attori hanno rappresentato con competenza e forza creatrice imponente. Si pensi ad uno dei film che ha dettato un modello di fare cinema: “Luciano Serra pilota”. Sono oltre ogni ideologia perché è la fenomenologia artistica che ha il sopravvento.
Luisa. Un’attrice all’interno di un tempo tragico e tragico fu il suo amore con Valenti. Credo che vada riletta la temperie cinematografica di quegli anni partendo proprio da Luisa Ferida e Osvaldo Valenti insieme ad Amedeo Nazzari, Clara Calamai, Doris Durante, Gino Cervi e tanti altri attori che hanno lasciato un segno indelebile. Molti di questi attori parteciperanno al cinema neorealista guidato da registi che chioseranno quel tempo drammatico. Quando il cinema aveva l’eleganza dei telefoni bianchi e le voci recitavano, raccontando l’istante del tempo, le storie delle vite puntualizzavano i segni e il senso dei personaggi negli occhi profondi che erano voci nell’intensità dello sguardo. Da qui è nato il cinema degli anni cinquanta la maestria dei registi che hanno tracciato quello che sarà la nuova pellicola e le immagini indelebili che hanno fatto sognare. Un cinema che passa attraverso gli amori neri.
Sulla tragedia di Luisa e di Osvaldo il regista Marco Tullio Giordana ha realizzato un commovente film dal titolo “Sanguepazzo”. Su di loro il regista dirà: “Valenti e la Ferida erano stati tra i protagonisti del “cinema dei telefoni bianchi” che il fascismo aveva tanto sostenuto. Ma in quelle pellicole rassicuranti e perbeniste avevano sempre recitato la parte dei cattivi, turbando l’Italietta piccolo‐borghese con personaggi che avevano eco anche nella spregiudicatezza della loro vita privata”. Il film uscì nel 2008 con l’interpretazione di Monica Bellucci, drammatica e splendida nella sua Luisa, Luca Zingaretti, identificazione magistrale nel suo Osvaldo. Insieme a loro Alessandro Boni, Maurizio Donadoni ed altri con la sceneggiatura di Leone Colonna, Marco Tullio Giordana, Enzo Ungari.
Ho raccontato tutto ciò in “Luisa portava in una mano una scarpetta di lana” per i tipi di Tabula Fati. Un raccontare in cui il tragico si è spettacolarizzato.
Le vite dentro l’arte della vita stessa ma anche nella visione della finzione. Il film è sì una recita, ma anche una vita dentro le immagini, anzi dentro la pellicola.
Una memoria che raccoglie avventure e le storie restano destino. Il cinema inventa destini. E alla fine il legame tra il reale e la finzione è completamente stretto. Uscire dal reale o dalla finzione? Bisognerebbe rispondere a questo interrogativo? Credo di no. Cosa resta alla fine? La finzione e il reale: il cinema come dimensione onirica nelle ambiguità della recita.