Gorizia, 29 novembre 2022 – Larga partecipazione a Gorizia per “Canti dell’Infinito. Filosofia, religiosità e poesia in Carlo Michelstaedter, Biagio Marin e Pier Paolo Pasolini“. Incontro- evento, ospitato nel Salone d’onore “Carlo X” del Grand Hotel Entourage e concluso la sera del 26 novembre, nel Salone degli Specchi a Palazzo Lantieri, in una magica atmosfera musicale dedicata all’ultimo rappresentante del classicismo viennese Ludwig van Beethoven. Ad interpretare le sonate del celebre compositore tedesco, il musicologo Alessandro Arbo e la pianista Letizia Michielon.
Declinata in due giorni di approfondimento sui tre esponenti di spicco del mondo intellettuale del ‘900, l’edizione 2022, ha sottolineato la prestigiosità dell’appuntamento Mitteleuropeo e Mediterraneo per il tema proposto e, il richiamo di molti studiosi europei e nazionali appartenenti all’area Mediterranea.
Presiedute da Suzana Glavaš poetessa croata, Andrea Vacchi Università di Udine e ricercatore dell’Istituto di fisica nucleare e dalla filosofa Elena Guerra, le tre sessioni dell’incontro, hanno ricevuto tra le personalità intervenute, il contributo di Pierfranco Bruni. L’antropologo, poeta e saggista, ha sviluppato una complessa indagine sul pensiero di Pier Paolo Pasolini ((Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) e le influenze letterarie, filosofiche e personali che, ne hanno caratterizzato la sua forza critica sociale e politica, precorritrice delle trasversalità del nostro tempo. Un Pasolini poeta, scrittore, regista, drammaturgo, al tempo stesso proiezione di un lacerante dramma privato e politico vissuto nel 1945, per la morte del fratello minore Guido, partigiano nella brigata Osoppo appartenente al Partito d’azione, vittima dell’eccidio a Porzûs il 12 febbraio 1945, per mano di partigiani comunisti combattenti per l’adesione del Friuli alla Repubblica iugoslava di Tito.
“Quel ragazzo era di un coraggio, di una innocenza, che non si possono credere. Io adesso vedo la sua immagine, il suo viso, la sua giacca, e mi sento afferrare da un angoscia così indicibile, così disumana. Perciò l’unico pensiero che mi conforta è che io non sono immortale; che Guido non ha fatto altro che precedermi generosamente di pochi anni in quel nulla verso il quale io mi avvio” Così Pasolini, esprimeva l’attanagliante dolore in una lettera all’amico Luciano Serra. Un trauma logorante che incise profondamente nei mutamenti interiori del poeta di Casarsa, il paese materno, con il rinvigorimento del friulano, lingua in cui scrisse versi condividendone la religione contadina. Un periodo in cui malgrado il tormento per la cruenta scomparsa di Guido ammazzato dai comunisti, scindendo la tragedia familiare dalla propensione ideologica al marxismo, si iscrisse al PCI. Era il 1947.
Da lì a poco, un altra esperienza traumatica avrebbe colpito Pasolini. Uno scandalo a sfondo sessuale, tristemente noto come I fatti del Ramuscello che, coinvolsero lo scrittore e ne causarono l’espulsione dal Partito Comunista Italiano, a due anni dall’adesione. Il tormento di quegli anni lo sostennero in una ricerca esistenziale ma anche strettamente concettualistica che, potesse superare la realtà in un’epoca così “profondamente desacralizzata”. La visione di Pasolini del mondo, spinge ad orientarlo in un incontro col sacro. La produzione successiva sarà in gran parte protesa all’affermazione del sacro, annullato dall’industria culturale del suo tempo che appiattisce ogni altra dimensione: “ Uno dei luoghi comuni più tipici degli intellettuali di sinistra è la volontà di sconsacrare e de-sentimentalizzare la vita. Ciò si spiega, nei vecchi intellettuali progressisti, col fatto che sono stati educati in una società clerico-fascista che predicava false sacralità e falsi sentimenti. E la reazione era quindi giusta. Ma oggi il nuovo potere non impone più quella falsa sacralità e quei falsi sentimenti… Dunque la polemica contro la sacralità e contro i sentimenti da parte degli intellettuali progressisti, che continuano a macinare il vecchio illuminismo quasi che fosse meccanicamente passato alle scienze umane, è inutile. Oppure è utile al potere”.
“Io…sono sempre più scandalizzato dall’assenza di senso del sacro nei miei contemporanei.
Io difendo il sacro perché è la parte dell’uomo che offre meno resistenza alla profanazione del potere ed è la più minacciata dalle istituzioni delle chiese”.
( Il sogno del centauro, Pasolini 1970).”
Ed è dalla concezione di sacro che si snoda, in un defluire penetrante, l’indagine del professor Pierfranco Bruni, intorno alla realtà metafisica del mondo poetico pasoliniano, di cui riproduciamo un breve abstract dell‘intervento reso all’incontro a Gorizia ‘ Canti dell’Infinito’ ripreso integralmente nel video a margine.
“Un concetto di sacro, passione, crocifissione, del Cristo che costituiscono riferimenti di attraversamento in una dimensione il linguaggio. La parola diventa forma. La parola è forma in Pier Paolo Pasolini oltre l’estetica, perchè per essere forma il linguaggio di Pasolini supera la forma dell’estetica, della semantica stessa, per inserirsi in una visione in cui l’immagine diventa immaginario ma, che nasce all’interno di una antropologia dell’essere poeta e del recuperare il senso dell’esistenza. Ovvero, in Pasolini Il senso del sacro, non è soltanto una metafisica come nel caso del suo scritto su San Paolo, ‘Sulla strada di Tarso’, il testo rimasto incompiuto ma diventa sostanzialmente un sacrificio individuale piegato sulla parola.
La parola che diventa crocefissione del senso dell’essere e questo, lo si può notare soprattutto nei suoi scritti poetici, oltre che in quella parte cinematografica in cui il vangelo diventa riferimento. Ma è una lettura di un vangelo in cui la cultura popolare o meglio la visione antropologica diventa scavo tra i personaggi tra gli uomini, in una visione in cui il senso del sacro si mitizza all’interno di un processo, non solo esistenziale, personale ma, radicato in una identità antropologica. Già nei suoi versi iniziali, la poesia a Casarsa nel 1942, l’incipit della sua produzione letteraria, quel senso delle radici, della lingua che non è un dialetto ma che è lingua in senso vero. assorbe la cultura popolare che fa di Pasolini l’essere religioso del linguaggio. Nella religiosità ci sono le radici, c’è il paese, c’è la madre. C’è un vissuto che diventa sostanzialmente dimensione linguistica ma che nasce fortemente da una dimensione di trasposizione onirica. Nella prima fase della poesia a Casarsa del ’42 alla quale io lego ‘La meglio Gioventù’ del 54 e ‘La nuova gioventù del ’75. Siamo nell’epica e nell’epoca di un linguaggio in cui la parola diventa appartenenza, identita ed eredità. La tradizione recuperata da Pasolini .
Ecco perchè spesso parliamo di un Pasolini il cui il senso della tradizione diventa anche conservazione. Ma la tradizione è tale, soprattutto nella letteratura quando si cerca di recuperare il senso delle radici. Ma il senso delle radici è, non solo solo una questione ontologica in sè, ma diventa filosofica. La cui filosofia è chiaramente l’innervatura di una dimensione propriamente letteraria.
Dopo questi tre nuclei di poesia del ’42, ‘ 54, e del ’75 si va verso una nuova forma di linguaggio e poesia vera e propria come ‘Le ceneri di Gramsci’ del ’57, ‘L’usignolo della chiesa cattolica’ del 58′, il gruppo di poesia che va da ‘La religione del mio tempo, ‘Trasumanar e organizzar‘ del ’71. In questa seconda fase poetica quella visione della passione di Cristo diventa una forma in cui il senso di quello che noi pensavamo ignoto, diventa l’usignolo .. E qui si poggia una dimensione propriamente religiosa. Ma è una religiosità che lo porta verso il limite dell’eresia. soprattutto nella poesia ‘Universi della crocifissione’ ci sono elementi di una forte evoluzione che trova nella tradizione, il concetto forte della metafisica. Evoluzione, tradizione e metafisica . Potrebbe essere una contraddizione parlare di evoluzione, tradizione e metafisica, ma Pasolini è la contraddizione in sè, dal punto di vista formale e dal punto di vista letterario. Nella poesia ‘La crocifissione’, nei versi che danno un senso a quell'”Usignolo della chiesa cattolica” del ’58, c’è un incipit, tratto dalla lettera di San Paolo ai Corinti nel quale Pasolini sottolinea : ‘Ma noi predichiamo Cristo crocifisso: scandalo pe’ Giudei, stoltezza pe’ Gentili.. lettera che viene ripresa nel suo San Paolo pubblicato postumo, ed è una chiave di lettura, per entrare nel vivo di un Pasolini, altro, rispetto a Petrolio agli Scritti corsari, a quelli di narrativa ‘Ragazzi di vita violenta’, a ‘Lettera luterane’. Ed è qui che Pasolini incentra il suo confronto-scontro con la metafisica.
Con questo Dio possibile e impossibile, con questa croce che diventa il sacrificio del poeta e dell’uomo che assorbe in sè le piaghe del vivere quotidiano……”
Il Video intervento del professor Pierfranco Bruni a Gorizia il 25 novembre 2022